di Mumble Mumble 46
Mumble Mumble diverrà una rubrica fissa di varia orvietanità. Rigidamente anonima.
Circola, da qualche giorno, una raccolta di firme on-line dal titolo: La libreria dei Sette è un bene comune. In molti hanno firmato in ossequio alla confortevole e rilassata illusione di democrazia che qualche social ci consegna. Ma, la libreria dei Sette non è un bene comune. Infatti la prima è un’attività commerciale, gestita da una S.R.L in affiliazione con grandi editori: è, cioè, un’attività con un profitto per il titolare che applica localmente le strategie di marketing dei gruppi editoriali.
Il bene comune, invece, è qualcosa di condiviso da una comunità, di cui nessuno può vantare la proprietà ed è fruibile da tutti per usi civici: l’aria, l’acqua, l’ambiente, il territorio, ne sono esempi classici cui si vanno aggiungendo la vita, la salute, la cultura.
Il duecenteso Palazzo della Mercanzia o dei Signori Sette, in quanto patrimonio storico artistico potrebbe essere considerato bene comune. Ma allora, proprio l’attuale situazione, cioè una S.R.L. a gestirne alcuni spazi, dà forma a ciò che è noto come “tragedia dei beni comuni”, cioè l’utilizzo esclusivo per rendiconti particolari di una propriettà collettiva.
La raccolta di click, per pollici veloci e cervelli distratti, non è un’informata e consapevole iniziativa sul valore di un presidio culturale. È una scaltra mossa mistificatrice di interessi privati. Ah, avere lo spazio per analizzarne tempistiche e modalità e per ricostruire l’operato e l’interesse dei vari attori. Ma, fallo da te, “detection di cittadinanza”.
Dicevo la cultura, prendiamo per buona l’accezione più diffusa (ma ci ritornerò), è un bene comune: a tutti i cittadini deve essere lasciata la libertà di informarsi, istruirsi, accedere al patrimonio storico e sociale della comunità.
Il Palazzo dei Signori Sette è uno spazio pubblico destinato, ottimamente, a libreria ed attività culturali. Questo è poco, forse, ma è acquisito. Ora, la programmazione, la fruizione e la gestione di questo spazio pubblico perché sia un presidio comunitario di cultura e un accesso ai diritti di cittadinanza, devono rimandare alle logiche e alle forme della “governance aperta”, chiedo scusa per l’anglicismo ma è termine tecnico per significare partecipazione comunitaria diffusa, coinvolgimento di stakeholder, aridaje, diretti (operatori del settore) e indiretti, progettazione partecipata.
Soprattutto in considerazione del fatto che, per quanto riguarda la dimensione culturale accessibile attraverso i libri, l’atrio del Palazzo dei Signori Sette deve essere animato in maniera sinergica e complementare almeno con la biblioteca Fumi, le biblioteche scolastiche, gli archivi pubblici e privati etc. etc. E che soltanto queste complementarietà possono armonizzare diritti di cittadinanza, cioè pluralismo e inclusione e sostenibilità economiche.
Concludo: il concetto di bene comune consente di approcciare questioni fondamentali per la vita sociale della comunità (la qualità dell’ambiente e del territorio, il patrimonio storico e culturale, le scelte urbanistiche, il tipo di sviluppo, la promozione della salute individuale e collettiva, per es.). Spero che qualcuno (Associazioni? Cooperative? Comune?) prima dei più che probabili abusi commerciali o elettorali visto il caso appena discusso, si faccia carico di riportare il tema nei termini adeguati e in uno spazio pubblico di discussione appropriato. Secondo me la questione dei beni comuni può ispirare un programma di sviluppo di comunità.