Massimo Gnagnarini, come sa chi lo conosce o lo segue su FB o lo ha visto nella sua ex attività di amministratore, ha pensieri sgradevoli e usa parole sgradevoli. Non sembra neppure un politico con velleità da politico, che liscia il pelo ai concittadini per il verso dei loro interessi. Non ha un partito classico di riferimento, non ha un “colore” ben definito, così gli accade di far incavolare tutti, a destra e a manca, dirigenti ed elettori. Gli è capitato perfino di passare per razzista, ma quella è altra storia, montata da chi aveva interesse a toglierselo dai piedi.
Qualche giorno fa su FB, ormai fonte inesauribile di spunti, ho letto un suo commento stimolante e fastidioso, di quelli in linea con il personaggio. Sosteneva, a proposito dello sviluppo di Orvieto, che la città « Ha bisogno di essere “cavalcata” e stimolata, aperta e partecipata e messa a sistema, per non rimanere ripiegata su se stessa crogiolandosi in una “orvietanità” che non esiste e che riguarda solo privilegi di competitività (rendita) di chi ha avuto i propri nonni che si sono dati da fare» .
Praticamente ha ritenuto che la presunta “orvietanità” è una caratteristica di cui sono portatori soprattutto quanti difendono interessi, abitudini, modelli di comportamento, “privilegi”, che hanno lasciato loro in eredità nonni o parenti svegli.
Mi si è visualizzata nella mente una successione di orvietani che rispondono perfettamente alla definizione e che sono più o meno quei “lodatori del tempo passato” che vorrebbero tutto come è, perché il nuovo mette paura e crea complessità, la cui soluzione pretende doti di apertura al confronto, visione, faticosa disponibilità al cambiamento.
Sono quelli che rimpiangono la mitica abbondanza portata da migliaia di militari e dai giuramenti, età d’oro, soldi facili, una botta e via. Odiano i supermercati, le gite scolastiche e i pellegrini che mangiano il panino, non sono mai soddisfatti. Sono quelli che se i turisti ci sono non spendono e se non ci sono è colpa del Comune. Lamentano la città deserta alle 20:00 e vorrebbero ridensificare il centro storico, come si diceva orribilmente un tempo, e portare giovani coppie fertili sulla rupe, per ricreare le condizioni di venti, trenta, quarant’anni fa, come se fosse possibile.
Non tengono conto che non si torna indietro e che soltanto sul sito www.airbnb.it sono offerte a Orvieto 300 tra case vacanza, B&B, agriturismi, ma sicuramente sono molte di più, sia regolari che abusive. La seconda casa o casetta è affittata da 50 a 100 euro al giorno e rende molto di più che un affitto insicuro. I nostri odiano le isole pedonali, i varchi elettronici, le limitazioni del traffico, i divieti di sosta, che nel mitico passato non c’erano e che nel loro immaginario garantivano vitalità e ricchezza.
Sì, ha ragione Gnagnarini, la città deve essere aperta al pensiero, deve esprimere un’adeguata classe dirigente, politica, economica, sociale, culturale, deve trovare luoghi di confronto delle idee, scoraggiare politicanti autoreferenziali, sollecitare la partecipazione civica.
Ma questa CITTÀ IDEALE da cui partire chi è? servono nomi, cognomi, il fuoco della passione, indipendenza dai partiti, ormai senza né capi né capocce, idee da spendere e da acquistare.
Per concludere posso soltanto ritornare ad una preghiera che ho abbandonato da anni: « San Pietro Parenzo, protettore degli amministratori, aiutaci. Noi orvietani che ti abbiamo martirizzato, prostrati, chiediamo perdono e sostegno» .