di Sandra Grassini
Il “padre” di Montalbano, dopo averci regalato le più svariate indagini del commissario più amato dagli italiani, cambia genere, trasportandoci con il suo ultimo libro in una narrazione autobiografica che nello stesso tempo si configura come un percorso a ritroso nella memoria. Si inizia da Porto Empedocle, città che gli ha dato i natali, e si arriva fino a Roma, città nella quale si svolge il suo percorso di vita e di carriera, raccontato in modo a tratti divertente, in mezzo il quotidiano che poi è diventato “storia”.
Episodi come il bambino ebreo cacciato da scuola gli fornisce l’occasione di riflettere sul significato della parola “razza”, e di prendere coscienza sul senso delle disuguaglianze. Stessa cosa vale per l’adesione al Partito Comunista Italiano come punto di riferimento per chi vuole combattere le disuguaglianze, un sogno che si infrange con la presa di contatto con i vertici del partito e con le loro dinamiche di potere.
La memoria prosegue in bilico tra passato e presente con il ricordo dei cartelli con su scritto “non si affitta ai meridionali” diffusi al Nord negli anni Sessanta, da qui arriva il boom economico, lo stragismo , l’ avvento dei socialisti, il berlusconismo, poi l’ oggi. La forma narrativa è quella della lettera alla pronipote Natilda, alla quale intende dare il supporto per sviluppare negli anni una coscienza civile.
Se vogliamo trarre una morale da questa lettura che, pur se impegnativa nei temi, è molto godibile, possiamo dire che l’ autore ci consegna l’ immagine di un Paese che ha “dimenticato! Il passato e non analizza ciò che gli accade intorno, mettendo a rischio il futuro delle giovani generazioni. In mezzo, come accennato, la vita e la carriera dell’ autore dai primi esperimenti teatrali, agli studi all’ Accademia d’ Arte Drammatica al lavoro di regista e di scrittore in una sorta di “biografia storica” che scorre con una narrazione godibile nonostante gli argomenti trattati.