Razzismo e xenofobia. Modesta proposta per prevenire.
di Pier Luigi Leoni
postaleoni@gmail.comAnche uno scribacchino di provincia, per poter scribacchiare, deve un po’ pensare. E, pensando, gli possono venire in mente idee che nemmeno sa se siano proprio originali, ma non può fare a meno di comunicarle per iscritto ai propri pazienti lettori.
Frastornato dal grande dibattitto su razzismo e xenofobia, lo scribacchino ha riflettuto sul fatto che gli Italiani non hanno dato modo di essere accusati di razzismo e xenofobia quando hanno accolto e regolarizzato centinaia di migliaia di badanti provenienti dall’Est, quando hanno accolto decine di migliaia di indiani indispensabili per la cura del bestiame, migliaia di filippini e mulatti capoverdiani bravi nei servizi domestici e così via.
Il problema si è posto quando gli ultimi governi comunisti albanesi, sepolto il feroce dittatore Enver Hoxha, hanno aperto le carceri e ci hanno rifilato la loro scomoda marmaglia; quando i Romeni, divenuti cittadini dell’Unione Europea, si sono liberati degli zingari, mal tollerati da secoli in quella nazione. Ma il problema è esploso quando gli schiavisti arabi del Nord Africa hanno rinverdito il loro atavico costume di trafficare coi poveretti dell’Africa Nera.
In passato li compravano dalle etnie nere rivali e li rivendevano agli occidentali (ma anche agli Arabi della madrepatria e agli Etiopi). Attualmente li spremono per abbandonarli in mare, dopo una truculenta sosta nelle prigioni libiche. E nel mare c’è chi, per ragioni umanitarie e giuridiche, li raccoglie e li scarica sulle coste europee. La fine di questi poveretti in Italia è la sosta provvisoria nei chiacchieratissimi centri di accoglienza, la semi-schiavitù nella raccolta dei prodotti agricoli, l’accattonaggio, la prostituzione e la delinquenza. Sono una minoranza coloro che riescono a sottrarsi a questa spirale infernale.Ci deve essere un motivo della difficoltà di assimilare i popoli dell’Africa Nera al modo di vivere dei popoli evoluti, che consiste nell’organizzazione di un decente apparato statale, nella lotta alla fame e alle malattie e nella crescita culturale ed economica. Le colpe del colonialismo c’entrano poco, perché anche popoli attualmente molto organizzati ed evoluti sono stati colonie delle potenze occidentali.
Ma ancora più difficile è spiegare la tenacia millenaria delle culture nomadi in piena Europa.
L’osservazione storica ci dice che i popoli dell’Africa Nera non sono passati per la fase dell’agricoltura. Chi frequenta quelle terre riferisce che la cultura dell’uomo cacciatore e raccoglitore è tutt’altro che superata e che è penoso osservare come la poca
agricoltura nei villaggi sia esercitata dalle donne, che vivono in uno stato di umiliazione, sottomissione e sfruttamento in tutti i sensi.
Mi permetto quindi di affermare che le politiche di sostegno allo sviluppo dei popoli dell’Africa Nera dovrebbero puntare sull’incentivazione dell’agricoltura: istruzione specifica, pozzi, mezzi agricoli moderni e officine per mantenerli efficienti. Non c’è bisogno di secoli per ottenere risultati. Il colonialismo, sotto questo punto di vista, otteneva risultati in pochi anni. Si tratta di spuntare le unghie ai satrapi che approfittano della miseria dei loro, stroncare le forniture di armi e orientare gli aiuti allo sviluppo dell’agricoltura.
Per quanto riguarda gli zingari, l’unica soluzione è una sana “intolleranza” civile e democratica. Nel senso che certi comportamenti devono diventare tabù: come non mandare a scuola i bambini e sfruttarli per l’accattonaggio e come il pretendere di vivere di furti e di espedienti. È tanto difficile togliere i bambini alle famiglie irriducibili? Credo che gli zingari, grazie al loro tradizionale culto della sacralità della famiglia, reagirebbero positivamente.
L’opinione di Barbabella
Anche io tento di esercitare il privilegio umano di poter pensare, e pensando dico che in fondo la scoperta che il popolo non è il regno della bontà e della perfezione è una acquisizione culturale di granitica solidità. A questo proposito mi viene sempre da pensare che, se la scelta fosse di nuovo tra Barabba e Gesù, il destino di Gesù sarebbe di nuovo segnato.
Ma è vero quello che rileva Pier, cioè che le manifestazioni di razzismo da noi sono state piuttosto rare e si sono sviluppate in determinate circostanze storiche. Pier cita quelle molto recenti, che riguardano in ordine di tempo albanesi, rom e neri africani, però non possiamo dimenticare ciò che avvenne sotto il fascismo in concomitanza con la promulgazione del Manifesto della razza e delle leggi razziali. Le ragioni di queste esplosioni di ostilità sono completamente diverse, ma tutte si traducono poi in violenza contro chi è percepito come minaccia.
Dunque, anche il razzismo, come tutte le cose umane, è un fenomeno storico, qualcosa che si sviluppa in determinate circostanze. E non coinvolge necessariamente un intero popolo, ma frange attive che creano un clima. Questo clima, che trasforma il diverso in potenziale nemico, si è incominciato a respirare in tempi recenti quanto sono giunti in Italia folti gruppi di migranti che hanno portato con sé costumi non facilmente conciliabili con quelli consolidati nelle nostre comunità o hanno tenuto comportamenti inaccettabili in base a semplici principi di sana e onesta convivenza. In verità è stato in parte anche scientemente alimentato da settori politici interessati alla conquista del potere in tempi rapidi.
Le indicazioni di cura che Pier propone mi sembrano interessanti. Però non toccano se non indirettamente la paura e l’ostilità verso il diverso di consistenti parti del popolo che sono sempre pronte ad emergere ed assumere anche forme razziste nei periodi di crisi e di insicurezza diffusa. Per cui, oltre a intelligenti e coraggiose strategie di odine economico e giuridico, ho l’impressione che per le possibilità di integrazione molto dipende dai livelli di scolarizzazione e dalla preparazione culturale delle persone.
Sembrava un paradosso e invece c’è la prova: Achille pie’ veloce non può raggiungere la lenta tartaruga, almeno in Italia. Un ragionamento sulla tragedia di Genova
di Franco Raimondo Barbabella
franco.raimonbar@gmail.comA Genova ci sono vite spezzate, una città spezzata, una nazione spezzata. La metafora dell’Italia, in cui ieri diventa oggi e oggi non si sa che cosa sarà domani. Vediamo se, dopo lo sconcerto e al di là della scossa emotiva, si può tentare un ragionamento per guardare al domani.
Sembrava che dovesse restare solo il più famoso dei paradossi logico-matematici quello esposto da Zenone di Elea (V° sec. a.C.), secondo il quale Achille pie’ veloce non potrà mai raggiungere la lenta tartaruga. E invece, a quanto sembra, l’Italia ne sta dando una inconfutabile prova pratica. Lo testimonia il crollo dei ponti, cinque o più negli ultimi cinque anni, ultimo con il più tragico bilancio di morti, di sfollati e di danni materiali, morali e d’immagine, quello di Genova, il Ponte Morandi, insieme il simbolo dello sviluppo e della modernizzazione degli anni sessanta (epoca delle autostrade, del boom industriale, del coraggio imprenditoriale, della fiducia nel futuro, del coraggio di progettare e realizzare) e appunto dell’inveramento del paradosso di Zenone.
Ma vediamo più da vicino in che senso quel paradosso logico in Italia si trasforma in realtà materiale. Lo spiega questo inizio di un bel pezzo giornalistico di Antonio Polito pubblicato il giorno di Ferragosto: “L’Italia è un Paese costruito negli anni ’60, abbandonato negli anni ’90, che ha cominciato a venir giù da dieci anni. E la ragione è che abbiamo smesso di credere nel progresso. Tutto ci sembra più importante: l’ambiente, l’austerità, i comitati dei cittadini, la Corte dei conti, la lotta agli sperperi e alla corruzione”. Così tutto si ferma. Si potrebbe fare punto, ma è necessario spiegarsi, altrimenti troppe cose possono restare nebulose.
Ovviamente non è che quelle cose che Polito cita non siano importanti, ma possibile che si debba contrapporre tutto a tutto e non ci si debba avvalere di scienza, buon senso ed esperienza per conciliare le diverse esigenze e risolvere i problemi secondo dettami razionali? Che tristezza!, la patria di Dante, Galileo, Machiavelli, Beccaria (per citare i grandi filoni culturali), e anche di Mattei e Olivetti fino a Marchionne (per citare alcuni autori di moderne linee di sviluppo), ormai da parecchio tempo dà l’impressione di aver dimenticato la sua storia e di voler provare il masochistico gusto di avvitarsi in un processo senza fine di autodepressione e autolesionismo.
Che cosa può significare se non qualcosa di simile la frenetica corsa alla polemica e alla ricerca immediata del colpevole, ancora a macerie fumanti e a morti da tirar su, senza nemmeno una pausa di riflessione? Tutto, con sgradevole evidenza di fronte ad una immane tragedia, per dare in pasto all’opinione pubblica la sensazione che ora comanda gente diversa, gente che va dritta alla verità, decide l’azione risolutiva e sconfigge i nemici del popolo. Un atteggiamento preoccupante per più ragioni.
La prima, perché mente sulla realtà dei fatti. Matteo Salvini, ministro della Repubblica, dice che vuole subito i colpevoli, quelli di ieri e quelli di oggi. È ciò che vogliono tutti gli italiani onesti, ma li deve cercare e scoprire la magistratura. Io penso che sarà un lavoro lungo e difficile, perché i colpevoli a occhio e croce sembrano essere molti, se si considerano quelli diretti e quelli indiretti, quelli vicini e quelli abbastanza lontani.
Danilo Toninelli, anche lui ministro della Repubblica, si è affrettato a dire che ad Autostrade per l’Italia sarà revocata subito la concessione e che il suo Ministero si costituirà parte civile, ma Di Pietro gli ha ricordato che prima di parlare si deve bene documentare perché l’una cosa sarà difficile e l’altra impossibile per i termini stessi della concessione.
Lo stesso ministro Toninelli e il vicepresidente Di Maio nel frattempo hanno detto all’unisono che la colpa è della mancanza di manutenzione. Ma tutto ciò che si sa dice invece che la vera manutenzione era la chiusura di quel ponte, perché il degrado era noto ed era tale da avvicinare i costi di manutenzione a quelli di una sostituzione integrale.
A parte le responsabilità di Autostrade per l’Italia (che dovrà accertare la magistratura), chi doveva controllare? Problema serio questo, perché mette in gioco diverse competenze istituzionali, per cui potremmo avere delle sorprese. Comunque, c’è da chiedersi se e come si sarebbe potuto chiudere quel ponte senza un’alternativa, data la sua funzione di snodo strategico, locale, nazionale e internazionale. Difficile, ma l’alternativa c’era e da almeno dieci anni, solo che non era realizzata.Era la “Gronda di Ponente”, che però appunto da anni è tenuta ferma da contrasti durissimi e paralizzanti, tecnici e istituzionali, in cui però un ruolo rilevante l’ha avuto il solito comitato del no, sostenuto attivamente proprio dai 5 stelle, quelli i cui rappresentanti al governo oggi attribuiscono la tragedia alla mancata manutenzione. Ormai è noto il perentorio dispaccio di Grillo del 2013: “Questa gente va fermata. Con l’esercito italiano.” Com’è noto il conseguente comunicato, sempre sul blog 5stelle, del Coordinamento dei comitati No Gronda (cancellato, non a caso, subito dopo il crollo del ponte): “Ci viene poi raccontata, a turno, la favoletta dell’imminente crollo del Ponte Morandi, come ha fatto per ultimo l’ex presidente della Provincia …”. Benedetto quel presidente, si dovrebbe dire, e benedetti tutti coloro, politici e tecnici, che si erano preoccupati per tempo di evitare quella che oggettivamente appariva una situazione da superare! Ma allora, di quale manutenzione parlano costoro? Il buon senso dice che quel ponte andava chiuso e semmai (ma proprio semmai!) rifatto. È ovvio che o consenti l’alternativa (la Gronda di Ponente) o ti tieni il ponte. Non puoi accusare nessuno se sei parte integrante di un sistema, quello del bloccatutto!
La seconda ragione per cui un atteggiamento che si ferma alla superficie è pericoloso, è che in tal modo si piega la realtà alle ragioni della politica di partito e ci si rifiuta di trarre dalla realtà le lezioni utili a cambiare ciò che è sbagliato. Il ministro Toninelli non a caso aveva messo anche il progetto Gronda, ormai in fase di partenza, in stand by tra le opere “da valutare”, come la Tav, il Tap, ecc. Ma da valutare che cosa, se tutto era già in fase di appalto dopo infinite valutazioni? Sembra tutto insensato, ma non lo è se si pensa al sistema del bloccatutto, che per forza di cose è a prescindere. E si spiega con l’idea di un Paese che deve fermarsi, non ammodernarsi, e preoccuparsi solo di amministrare l’esistente. Ideologia, il male del Novecento, altro che futuro!
C’è però anche una terza ragione per definire pericoloso quel comportamento. Ed è la congiunzione della tendenza negazionista da cui ha preso avvio il grillismo (il vaffa day, e il legame con tutto ciò che è no alla modernità: la scienza, la competenza, le gerarchie di valore) con l’indebolimento del ruolo di governo del sistema istituzionale, cosa che interessa anche la Lega.
Ciò si traduce in ambito territoriale nell’incentivazione del ruolo dei gruppi del no (no non tanto alla discarica, cosa giusta, quanto ad una gestione razionale dei rifiuti; no non tanto ad impianti deturpanti e pericolosi, cosa giusta, quanto a qualsiasi tipo si fonte energetica alternativa che comunque comporti una qualche modifica ambientale), con i sindaci che mettono la fascia e ne capeggiano le manifestazioni. E si arriva al punto estremo che vi sono privati che assumono iniziative al posto delle istituzioni pubbliche su materie di loro competenza e i sindaci se ne gloriano rinunciando alle loro funzioni. La democrazia, si sappia, muore per le modifiche che la offendono giorno dopo giorno senza che i cittadini se ne rendano conto. La rinuncia a progettare il futuro, se è deleteria a livello nazionale, a livello locale lo è ancora di più.Credo di aver detto abbastanza. Il crollo del ponte Morandi non è solo la metafora di una nazione con mille emergenze che si sono accumulate negli anni, frutto di classi dirigenti spesso non all’altezza ma anche di un anarchismo diffuso. Esso ci colloca tra i Paesi malati d’Europa, ma stavolta l’Europa non c’entra. C’entriamo noi, con il nostro fardello storico e recente. Non so se e come ne usciremo. So però che nessuno può far finta di non sapere che siamo ad uno snodo fondamentale del nostro sistema di convivenza.
L’opinione di LeoniPensare ai tempi belli dell’Italia in progresso mi lascia freddo, sia perché il nostro slancio economico e civile è stato meno ordinato ed efficace di quello dei due Stati insieme ai quali abbiamo perso la guerra, sia perché esso è andato in tilt non appena il contesto economico internazionale è diventato meno favorevole.
Insomma, ringrazio Dio di avermi fatto nascere italiano, ma lo ringrazio pure per avermi dato il senso della vergogna di appartenere alla nazione delle mafie, della corruzione, dei ponti che cascano e dei partiti che si fanno umiliare da quattro avventurieri ispirati da un vaffanculista da palcoscenico.
Detto questo, l’unico concetto sensato mi sembra quello espresso dal capo del governo Giuseppe Conte, che sta cercando di dare un minimo di dignità a un governo arraffazzonato, in cui due partiti che si detestano stanno insieme pensando più alle prossime elezioni che allo Stato. Due partiti sostanzialmente conservatori, come hanno dimostrato facendo abortire la riforma costituzionale che avrebbe limitato la confusione nella quale sguazzano.
Ha detto Giuseppe Conte che la concessione statale alla società che gestisce, per grazia ricevuta, la maggior parte delle autostrade italiane, compreso il ponte crollato, può essere sospesa senza aspettare gli accertamenti della magistratura, che non accerterà un bel niente in tempo utile. La società guadagna un miliardo all’anno anche per non far cadere i ponti. Il ponte è caduto e la società deve subire le conseguenze. Anche il governo ha poteri di acclaramento dei fatti e di intervento. E almeno un fatto è già chiarissimo: un ponte è crollato e ha schiacciato decine di persone costrette per lavoro o per svago a mettere la loro vita nelle mani di un branco di mascalzoni pubblici e privati. Il crollo non è dovuto a un bombardamento, o a un terremoto, o a un intervento degli alieni.
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