I numeri sono innocenti, ma non le statistiche
di Pier Luigi LeoniSi chiama “rispetto umano” – ed è un comportamento moralmente riprovevole – il lasciarsi condizionare dall’eccessiva considerazione per ciò che gli altri pensano o dicono di noi. Una modalità del rispetto umano è il fenomeno che va sotto il nome di “politicamente corretto”. Tale fenomeno investe anche le statistiche, che mascherano con l’apparente innocenza dei numeri vigliaccherie sulle quali è bene riflettere. Prendo a esempio un tema molto caldo: l’immigrazione.
Quella legale (che quasi non esiste più) e quella illegale. Un semplice esercizio del buon senso rende evidente che esiste una immigrazione che ha effetti positivi sulla vita della nostra società. Le badanti dell’Est non sono forse indispensabili? Gli indiani che curano i nostri allevamenti zootecnici non sono utili? I filippini non soddisfano da decenni le necessità domestiche degli italiani ricchi? I cinesi non hanno arricchito l’offerta commerciale per gli italiani poveri? E i boscaioli montenegrini, i cuochi egiziani, i camerieri bengalesi, i giardinieri romeni che male fanno? Certamente esiste anche un aspetto deleterio dell’immigrazione che consiste nei furti cui sono particolarmente dediti i romeni di etnia Rom, nell’aumento dello spaccio di stupefacenti, nel commercio illegale e nell’accattonaggio molesto in cui s’impegnano particolarmente gli africani sub sahariani e nello sfruttamento della prostituzione esercitato da molti albanesi.
Di questi fenomeni mancano le statistiche perché chi le statistiche le fa non vuole essere accusato di xenofobia o addirittura di razzismo. È una pavidità non nuova, perché nemmeno per i vari popoli della nostra penisola esistono statistiche sulle caratteristiche e sulle frequenze dei reati che commettono e sulla loro presenza nelle patrie galere. Con una buona dose di faccia tosta e malafede si va dicendo che gli italiani in galera o sotto processo sono molti di più degli stranieri, ma non si dice che, in proporzione alla loro consistenza globale in Italia, gli stranieri delinquono molto di più.
Figuriamoci poi se qualcuno osasse fare un rilevamento su quanti veneti o campani o abruzzesi sono in galera. Eppure sarebbe facile individuare a quale popolo ciascuno appartenga. I dialetti che ci stanno a fare? Con altrettanta faccia tosta si dice che gli stranieri sono indispensabili per garantire le pensioni anche agli italiani; ma non si sottolinea che si tratta degli stranieri che lavorano regolarmente e che versano i contributi. Insomma, le statistiche spesso mistificano la realtà e spessissimo non si fanno. C’è chi pensa che certe cose è meglio che il popolo non le sappia, altrimenti s’arrabbia più di quanto è arrabbiato.
Però il popolo le statistiche se le fa da solo con l’unico strumento a sua disposizione: il nasometro. Un po’ più di scienza, di coscienza e di conoscenza eliminerebbero molti pregiudizi e se ne gioverebbe la democrazia. È la verità che rende liberi. Ma non è facile liberarsi degli ipocriti che sostengono che i furti degli zingari, i loro sudici accampamenti e i loro ragazzi analfabeti usati per l’accattonaggio sono fenomeni marginali di una millenaria cultura. Mentre invece sono la prova evidente della codardia dello Stato.
L’opinione di Barbabella
La questione della natura della matematica, la scienza dei numeri, è una di quelle che nemmeno i grandi scienziati e i geni della filosofia hanno saputo chiarire nel corso dei secoli. Perciò non mi ci addentro se non per sottolinearne la complessità e l’importanza. Il tema com’è noto è se la matematica sia da considerare un prodotto dell’ingegno umano o una sua scoperta. In altri termini, se le sue regole sono un’invenzione o esistono in natura, nel senso che ne rispecchiano e ne descrivono il funzionamento (le leggi). La millenaria avventura umana può anche essere interpretata come tentativo di strappare alla natura i suoi segreti e la matematica è certamente risultata nel tempo lo strumento più efficace per darne una descrizione convincente, oltre tutto, a dispetto delle apparenze, anche in ragione della sua plasticità.
Prendiamone atto, ormai l’oggettività è negata, ma la soggettività non si è trasformata in arbitrio. La scienza è una conquista che sposta continuamente il limite, la sua logica è guardare oltre, ma appunto è un cammino con una logica, con delle regole. La scienza non è democratica. Però la democrazia non può fare a meno della scienza, se vuole essere sul serio democrazia e non arbitrio, giacché, se l’arbitrio non può appartenere alla scienza, può appartenere invece alla politica, come peraltro dimostra la realtà. Un uso spregiudicato della statistica è appunto la dimostrazione che la democrazia può corrompersi in demagogia se la politica è dominata dai demagoghi.
Il paradosso del nostro tempo è infatti che, mentre la scienza offre possibilità di conoscenza straordinarie, il suo uso tende ad essere sempre più strumentale e dunque contrario allo spirito che ne contraddistingue la natura. È il clima antiscientifico di questo nostro tempo. Qui si corre dietro ai no vax, si crede alle scie chimiche, si discetta di cure miracolose nei salotti tv, si diffonde a piene mani scetticismo nei confronti di chi sa, per studio ed esperienza. E abbiamo uno dei livelli più bassi di istruzione dei Paesi OCSE. Ci si bea di ricordare qualche espressione latina per apparire colti e però si è refrattari ad ogni dimostrazione che la matematica è parte necessaria della cultura di base di un cittadino. La qualità della formazione ne è un fedele rispecchiamento. Scatta l’orgoglio nazionale quando un giovane geniale come Alessio Figalli vince la medaglia Fields, il Nobel della matematica, ma non ci si chiede perché la sua brillante carriera si è svolta fuori dall’Italia: Francia, Stati Uniti, Svizzera. Diciamo dunque che ognuno ha la statistica che si merita.
L’irrazionalità diffusa crea un clima pesante di incertezza e paura
di Franco Raimondo BarbabellaHo dato sempre importanza a due parole, che sono pesanti perché, mentre non tarpano le ali a chi ce l’ha e nel contempo impediscono di essere in balia di ogni vento con il pericolo di schiantarsi a terra, sono anche quelle di cui non possiamo fare a meno. Naturalmente se vogliamo capire che cosa ci succede intorno e avere la percezione che il nostro cammino sia almeno sensato. Si tratta di ragione e realtà.
Conosco ovviamente l’importanza dei sogni, della creatività, della fantasia, quella del dubbio e anche quella delle sconfitte. Ma senza l’uso della ragione, un uso critico e non dogmatico, e senza il richiamo al senso di realtà, anch’esso criticamente interpretato, non si va da nessuna parte. Vale nella vita individuale come in quella di comunità.
Ho l’impressione però che viviamo in un’epoca in cui prevale proprio il contrario: chi tenta di ragionare argomentando, di analizzare per capire e proporre punti di vista sensati, e chi perciò dimostra di saper osservare la realtà per quello che se ne può capire, beh, chi fa così sembra uno venuto da Marte, un po’ strano e un po’ fastidioso. Uno anche spocchioso, che vuole imporre agli altri il suo punto di vista. Messaggio indiretto: bisogna schierarsi, bianco bianco, nero nero. Invece io penso che la realtà sia colorata e che anche il grigio abbia una vasta gamma di sfumature.
Ecco, mi pare che questo sia il clima, un clima di desertificazione del cervello. Non me la prendo con qualcuno in particolare, perché è il risultato di un cammino lungo, che però ha subito negli ultimi tempi una straordinaria accelerazione. Sembra ora che le parole d’ordine siano verbi come falsificare, appiattire, omologare. Il capo assume il comunicatore che fa diventare virali i suoi twitter e il popolo plaudente ha materiale per darsele di santa ragione. Si dice: solo a parole, per fortuna! Ma è sempre meno così: si sta diffondendo un clima di arroganza e violenza che non mi piace per nulla.
Molti sono stati i cattivi esempi, la crisi ha inasprito le difficoltà, i cambiamenti veloci (tecnologia, migrazioni, ecc.) hanno creato un clima di incertezza e di paura per il futuro. Ma questo non basta a spiegare il clima che ormai condiziona i nostri comportamenti. Si è allevata la serpe spargendo veleno in ogni dove, e ora si sta perdendo il controllo. Non so come finirà l’esperienza del governo gialloverde, se durerà o sarà seppellita presto nel mare delle sue contraddizioni, a partire dal tradimento delle aspettative di cambiamento. Ma l’Italia non sarà più la stessa. E al momento non mi pare che sarà migliore, se non altro per un fenomeno che Claudio Cerasa ha descritto come diffusione della richiesta di “affiliazione sincera alla società del sospetto, in cui l’unica forma di competenza richiesta è l’essere genericamente contro ogni forma di ‘potere costituito’ ”. Le regole? Le faccio io, dov’è il problema?! Amen, cosa dire di più?
L’opinione di Leoni
Vedo che la prolissità del tuo amato Kant, colui che ha scoperto il pensiero critico, non ti ha influenzato al punto da non farti cadere le braccia (e la penna) di fronte alla stranezza del tempo che stiamo vivendo. Ma è stranezza o è vita? È scandalo o realtà in movimento? Certo, il pensiero critico è una facoltà umana ormai irrinunciabile; ma una cosa è cercare di capire senza sudditanza a chi vuole anticiparci autoritariamente il risultato, altra cosa è dominare le emozioni che rendono spaventoso il futuro come lo immaginiamo e fanno rimpiangere il passato come crediamo di ricordarlo. Tanto per prenderla alla “leggera”, cito alcuni versi di Mogol:
E chiudere gli occhi per fermare
Qualcosa che
È dentro me
Ma nella mente tua non c’è
Capire tu non puoi
Tu chiamale, se vuoi
Emozioni
Non ci resta che continuare a pensare criticamente cercando di dominare le emozioni, altrimenti si finisce col prenderla alla “leggera” come Vasco Rossi:
Voglio trovare un senso a questa vita
Anche se questa vita un senso non ce l’ha.