Governo giallo-verde versus burocrazia. La solita storia.
di Pier Luigi LeoniLa burocrazia non gode di buona fama, soprattutto in Italia. Lo scontro in atto tra il nuovo governo e l’Inps è indice di una dura lotta di potere. Meno rumoroso è lo scontro con gli apparati ministeriali. A livello locale lo scontro sempre strisciante tra le burocrazie comunali e gli organi politici regionali e locali frena i tentativi di razionalizzazione dei piccoli comuni e di accorpamento dei servizi.
Le ragioni che vengono addotte per spiegare l’inefficienza e la prepotenza della nostra burocrazia sono storiche, sociali, economiche e culturali, e spesso sono reali e drammatiche. Ma quasi sempre le analisi non sono immuni da cattive abitudini: una è quella di confrontare l’amministrazione pubblica italiana con quelle di nazioni da molto più tempo ricche e strutturate come stati moderni, un’altra è quella di concentrare il tiro sull’amministrazione pubblica dedicando una molto minore attenzione al potere legislativo e all’ordine giudiziario. In uno Stato in cui i cittadini sono costretti a districarsi fra 35.000 leggi e a subire la tortura di processi tra i più lunghi e costosi del mondo, l’amministrazione pubblica, che merita certamente critiche e necessita di riforme, si trova in buona compagnia. Tutto ciò legittima il sospetto che gli attacchi all’amministrazione pubblica siano più frequenti e generalizzati perché meno compromettenti e quindi meno rischiosi.
Del resto, i tentativi di riforma non sono mai immuni dal preconcetto che la classe politica sia eticamente superiore a quella burocratica. Se certa burocrazia può permettersi di rubare lo stipendio è perché alla classe politica non conviene intervenire e perché le gente comune sopporta, magari con una certa invidia e una punta di ammirazione.
È ovviamente auspicabile che la burocrazia sia fondata su sani principi etici che ne garantiscano l’imparzialità. Così come è massimamente necessario che la burocrazia non perda mai di vista lo scopo per il quale esiste: il servizio alla comunità. Ma, se i modelli ideali sono indispensabili sia alle istituzioni sia agli individui per non perdere la rotta, non si deve mai dimenticare che la realtà, data la natura degli uomini, non corrisponderà mai ai modelli ideali.
La realtà è più complicata, mutevole e sfuggente di quanto gli uomini possano immaginare nei momenti di lucida riflessione e di forte tensione morale. Una cosa è concepire buone idee e dotarsi di buoni propositi, altra cosa è modificare il costume di un popolo, anzi, i costumi dei vari popoli di cui è composta l’Italia. Non ci rimane che affidarci alla bella preghiera di San Tommaso Moro: “Signore, dammi la forza di cambiare le cose che possono essere cambiate, la pazienza per sopportare quelle che non possono essere cambiate e l’intelligenza per distinguere le une dalle altre”.
L’opinione di Barbabella
Certo, i contrasti tra potere politico e potere burocratico non nascono oggi né finiranno domattina. Ma qui ci sono due novità rilevanti. Una è data dall’attacco diretto, mai avvenuto prima, a due organismi di garanzia della stabilità dei conti pubblici, INPS e Ragioneria Generale. Non dice niente? Dice, dice, hai voglia se dice! L’altra è l’emergere e il rapido affermarsi nel nuovo ceto di potere di una vocazione padronale della politica dal sapore vagamente autoritario. Che cosa possono significare se non questo da una parte il disinteresse per come vengono preparati e adottati i provvedimenti di governo e dall’altra il disprezzo per le regole, anche quelle più elementari? Ciò che si spiega, penso, con la convinzione che circola sempre più con insistenza ai vertici e alla base: ora comandiamo noi e le regole le scriviamo noi. Anche questo dice, hai voglia se dice!
Ma per tornare al tema, le due novità ben poco hanno a che fare con l’interesse generale (seppure legittimamente interpretato) e dunque con la stabilità finanziaria (andrà ricordato a costoro che lo Stato non appartiene a due forze politiche, che sono pur sempre formazioni private), e invece hanno molto a che fare con gli impegni di campagna elettorale ai quali, per quanto strampalati fossero, si ritiene di dover dare seguito costi quel che costi, magari arzigogolando qualcosa da far passare come soluzione. Una concezione padronale della politica che certo a buona parte del popolo piace. Ma io sono della stessa opinione di coloro che da duemila anni a questa parte pensano che vox populi non è vox dei, perché hanno ben presente che tra Barabba e Gesù il popolo scelse Barabba.
Lotta perenne tra potere burocratico e potere politico dunque? No, non credo che si tratti di questo. Si tratta piuttosto di un potere politico che nasce dal disastro del precedente assetto di potere e ne sta costruendo un altro sulle sue ceneri. I capi, con tecniche di comunicazione demagogica studiate a tavolino, tentano di scardinare (letteralmente sfasciare) l’assetto statuale esistente per consolidare un potere ottenuto con troppa facilità, e quindi attaccano quei settori della burocrazia che sono meno disponibili ad asservirsi e che preferiscono affiancare il cosiddetto terzo soggetto dell’alleanza (i ministri Tria, Moavero, Trenta, con riferimenti solidi al presidente Mattarella).
Il vero obiettivo degli strali di Di Maio e Salvini infatti, più che Boeri, sembra essere proprio il ministro del Tesoro. Per il resto, uno studio di FB & Associati dimostra con grafici molto eloquenti che l’attuale maggioranza gialloverde ha già attinto a man bassa, per le nomine nei vari ministeri e centri di potere, nelle diverse burocrazie, con preferenza in quelle (diciamo) trascurate dagli ultimi governi. Altro che lotta tra burocrazia e potere politico! Qui c’è semplicemente un “levate te che me ce metto io”. Competenza? Etica del dovere? Garanzia di fedeltà alle istituzioni? Non pare proprio, semmai altro tipo di fedeltà. Insomma, il trionfo dei mandarini, ma alcuni al posto di altri. Come lo chiamavano prima di prendere il potere? Mi pare clientelismo. E oggi? Boh! La bagarre delle nomine prima veniva bollata come scandalosa spartizione. E ora? Boh!
Mi pare che l’unica certezza italiana l’ha scolpita Tommasi di Lampedusa con “Il Gattopardo”, e non era una condizione dell’anima, ma della storia. Tristissimo che il popolo sovrano non abbia ancora imparato la lezione. E questo meriterebbe uno studio aggiornato.
“I numeri non si fanno intimidire”
di Franco Raimondo BarbabellaAl contrario dei francesi, agli italiani i numeri non piacciono. Qualche anno fa il matematico francese Cédric Villani disse scherzando: «La matematica? Come un piacere sessuale». In Italia un’affermazione del genere non sarebbe mai venuta in mente a nessuno. Eppure i numeri sono importanti, soprattutto nel dibattito pubblico. Con essi normalmente fa i conti chi vuole capire come stanno realmente le cose. Insomma, sono un bell’antidoto alla demagogia dei governanti che parlano di trasparenza ma non la praticano.
Lo dimostra la vicenda della relazione tecnica sul cosiddetto “decreto dignità” con cui la Ragioneria Generale dello Stato, sulla base di una valutazione INPS, ha certificato che quel provvedimento, invece di creare posti di lavoro, potrebbe farne perdere da qui al 2028 ben 83.300 e in conseguenza di ciò far diminuire di 527,7 milioni le entrate contributive e fiscali. Come si sa, ne è nata una dura polemica tra da una parte i ministri Di Maio e Salvini e dall’altra il presidente dell’INPS Tito Boeri, gli uni che parlano di boicottaggio e ne chiedono le dimissioni e l’altro che appunto dice “i numeri non si fanno intimidire”.
Ciò che colpisce non è che si litighi, ma che non si litighi sui numeri, cioè con numeri che contrastano altri numeri come espressione esplicita di interpretazioni diverse ma tutte fondate su analisi e ipotesi rese attendibili da calcoli in base a parametri. No, non una risposta argomentata con dati, ma la minaccia: “Vattene! E se non te ne vai ora, ti cacceremo via noi quando si tratterà di rinnovare la carica”. In definitiva assistiamo all’emergere di una concezione secondo cui i gangli dello stato posti a garanzia dei conti pubblici non hanno più questo compito ma quello di piegare la realtà alle esigenze politiche di chi al momento comanda. Si potrebbe dire una concezione padronale della politica. Evidentemente o già ci si è dimenticati che la crisi greca esplose perché l’istituto di statistica aveva truccato i conti oppure queste questioni si ritengono meno importanti di apparire in tv con lo scettro in mano.
Ma appunto i numeri contano, e se ne possono fare parecchi altri esempi. Eccone alcuni. 100 punti di spread in un anno significano 5 miliardi di euro in più di interessi sui titoli di stato e denaro più caro per i prestiti. Carlo Sangalli (Confcommercio) ha fatto notare che la riduzione del 75% di esercizi aperti la domenica significa diminuzione di circa 400.000 posti di lavoro e riduzione del fatturato di 20 miliardi. La banca d’investimento Merrill Lynch ha certificato poche settimane fa che il 35% degli investitori esteri intende ridurre il prossimo anno la propria esposizione sull’Italia. Paolo Uggè (Federazione autotrasportatori), commentando il pericolo della chiusura della frontiera del Brennero, ha detto che ciò metterebbe a rischio 17 miliardi di export verso l’Austria e determinerebbe la perdita per la nostra economia di ben 370 milioni di euro in un anno. Marco Bentivogli (FIM-CISL) ricorda da settimane a Di Maio e a Salvini che non chiudere presto e positivamente la vicenda Ilva per acquiescenza alla linea antindustriale di una parte del sindacato e del presidente della regione Puglia significa perdere un investimento di 4,2 miliardi e un punto di PIL all’anno. Basta così. Atti superficiali o affermazioni che incrinano la credibilità possono produrre danni seri.
Credo che quanto detto sia sufficiente a mettere in luce che non è vero che la politica è fatta necessariamente di chiacchiere e che la demagogia è il suo inevitabile connotato. Non solo non è vero, ma c’è anche l’antidoto: sono i numeri, naturalmente se li si usa a fini di verità, di produttività e di trasparenza. Contro l’inganno politico vale sempre il principio di realtà.
L’opinione di Leoni
Potrei cavarmela citando uno che dice di citare Einstein: «Se le leggi matematiche si riferiscono alla realtà, non sono sicure; se sono sicure, non si riferiscono alla realtà». In ogni modo, una cosa è predire un’eclissi di sole (lo facevano anche gli antichi senza sapere che la terra girava intorno al sole) altra cosa è predire con esattezza matematica le conseguenze per il sistema economico di una nuova legge. Le variabili sono tante, anche di carattere psicologico.
Va poi tenuto conto della psiche del burocrate: da quella di chi sta in alto, come il presidente dell’Inps, a quella dell’ultimo degli uscieri. Siamo abituati ai tre poteri dello Stato e alla necessità della rispettiva indipendenza. Ma i costituzionalisti sanno che esiste un quarto potere pubblico, che è quello burocratico. I burocrati, come tutti i cittadini, hanno varie simpatie politiche, ma soprattutto una tenace affezione al proprio potere.
Il presidente dell’Inps sa che, se dura il governo giallo-verde non sarà riconfermato nel 1919, quando scadrà il mandato conferitogli dal governo Renzi. Quindi punta a far saltare il nuovo governo. Lo fa servendosi di cifre, che altro non sono che opinioni interessate. Come quando va dicendo, con una certa faccia tosta, che gli immigrati contribuiscono alle pensioni dei nostri figli, guardandosi bene dal precisare che si tratta degli immigrati regolari o regolarizzati e che lavorano regolarmente. Non si tratta certo di coloro che stazionano inutilizzati nei centri di accoglienza, o che accattonano o spacciano o rubano o si prostituiscono. Gli attuali governanti, se vogliono durare, devono non farsi fregare dai burocrati.
Non sarà facile, ma dovranno mettercela tutta e fare tesoro della fregatura che prese Monti quando, con grande presunzione e altrettanto grande ingenuità, si fece imbrogliare dai burocrati dell’Inps che gli fornirono calcoli taroccati sulla quantità di esodati che la legge Fornero avrebbe provocato.
Sold out al Teatro Mancinelli per lo spettacolo di Chiara Francini
ORVIETO – E’ un Teatro Mancinelli sold out quello che attende Chiara Francini domenica 17 novembre alle 18 a Orvieto....