Il ”Governo del cambiamento” può fare cose reazionarie? Pare di si, ma è una stranezza?
di Franco Raimondo Barbabella
Sono tra quelli che hanno giudicato necessario e inevitabile l’affidamento della funzione di governo a Lega e 5Stelle dopo le elezioni del 4 marzo. Necessario e inevitabile dati i risultati del voto e i susseguenti processi politici, non certo perché
garanzia di soluzione dei molti e gravi problemi della nazione. Non si trattava allora di pregiudizi, che sono odiosi e non mi appartengono. Si trattava invece di valutazione delle posizioni ideali e politiche via via assunte negli anni dai protagonisti e dei comportamenti da essi concretamente adottati di fronte a precise e specifiche questioni. È lo stesso atteggiamento che assumo oggi alla luce dei fatti che si stanno svolgendo sotto i nostri occhi. Non pregiudizi dunque, ma giudizi.
Colpisce la distanza non solo tra cose scritte e cose dette, ma tra cose dette un giorno e quelle dette il giorno dopo. Un caleidoscopio di dichiarazioni che alimentano continuamente la tensione tra i cittadini spingendoli a discussioni infinite sui social, tanto accanite quanto inconcludenti. Una palestra per essere più informati e responsabili? È raro. Il più delle volte invece il contrario, una palestra per identificarsi con qualcosa o qualcuno e scontrarsi su posizioni precostituite che tendono perciò a non cambiare. Direi un grande e diffuso esercizio di irrigidimento e chiusura piuttosto che di apertura alla comprensione degli altri. Specchio di una società incattivita e diseducante. E una spregiudicata operazione di marketing politico.
Colpisce la disinvoltura con cui si affrontano problemi complessi di lungo periodo. Si buttano là dichiarazioni roboanti come per mettere giudizio al mondo e si ottiene il risultato della montagna che partorisce il topolino. Le contraddizioni si sprecano e non c’è manco gusto ad elencarle. Qualcuna però non si può sottacere, tanto è grossa. È il caso del rapporto con l’Europa. Si fa esercizio muscolare sovranista e poi si scopre che senza solidarietà europea non si combina niente. Caso emblematico la questione dei migranti. Dopo il gran baccano fatto prima durante e dopo la campagna elettorale, ci si sarebbe aspettati che dall’Europa trattata come nemico da battere fosse venuto qualche cedimento e una solidarietà strappata sull’onda della paura per la forza italica. Niente di tutto questo: dal Consiglio europeo dei giorni scorsi pochissima concretezza, qualche dichiarazione di principio e qualche indicazione operativa solo su base volontaria. Inutile girarci intorno, ha vinto il Gruppo di Visegrad, quello dei Paesi sovranisti, affini alla Lega per ideologia, ma per interessi oggettivamente nemici dell’Italia. La realtà è solo questa.
Colpisce poi in modo particolare la contraddizione palese tra l’identità che il governo si vuol dare come “Governo del cambiamento” e il vento di conservazione se non di restaurazione che spira nella società. Ciò che non è certo scalfito dalle campagne devianti su reddito di cittadinanza e vitalizi. È il caso dell’ostilità dichiarata sia di Lega che di 5Stelle verso i corpi intermedi, le strutture della società che garantiscono nei fatti l’esercizio della democrazia rappresentativa. Ebbene, qui è chiarissimo un orientamento di vera e propria restaurazione (uso il termine nel senso di ritorno a ciò che c’era prima dei cambiamenti introdotti dai precedenti governi). Esempi: guerra alla legge Fornero; guerra al Jobs Act e ripristino dell’art. 18; guerra alle delocalizzazioni; cedimenti agli estremismi sindacali e movimentisti su Ilva e grandi opere; spinta per leggi di iniziativa popolare (ovvio, a detrimento della democrazia rappresentativa). E si potrebbe continuare. Su tutte queste questioni non a caso i partiti di governo incontrano il plauso della CGIL, il sindacato che più di altri si è opposto alle politiche riformatrici fatte, almeno nelle intenzioni, nel segno di più libertà e più concorrenza. E sempre non a caso gli iscritti a questo sindacato il 4 marzo avevano votato per il 33% M5s e per l’11% Lega. Più coerenti con l’ascendenza comunista ed estremista di quanto non si creda.
Ed allora non ci si può stupire se pochi giorni fa il neoministro dell’istruzione ha firmato un accordo integrativo con i sindacati scuola, con in testa appunto CGIL e Gilda, con cui si abolisce la possibilità della chiamata diretta dei docenti da parte dei dirigenti scolastici, una norma introdotta dalla legge 107/2015 (detta della Buona scuola) per consentire appunto ai dirigenti di governare gli istituti avvalendosi dei docenti ritenuti più adatti a svolgere determinate mansioni in attuazione del progetto educativo di istituto. Era stata quella norma niente più che un segnale, ma era bastata a far scattare le chiusure a riccio di un mondo sindacale ostile a qualsiasi forma di reale responsabilizzazione nel governo dei processi educativi per i nostri giovani. In Europa i dirigenti scelgono i docenti perché devono rispondere dei risultati. In Italia evidentemente i risultati non interessano, interessa piuttosto che nessuno si azzardi a dimostrarsi bravo e meritevole di qualche riconoscimento. Qui le differenze, invece di fare ricchezza, fanno povertà. Alla faccia del cambiamento!
Ecco, ora il piatto della neoconservazione è servito: si deve dirigere, ma senza avere gli strumenti per dirigere; si deve essere responsabili, ma le scelte te le devono fare gli altri o devono venire da meccanismi automatici sotto il puro controllo burocratico. Ma che diamine, non sia mai che introduciamo a scuola elementi di carriera e di selezione di qualità! Attenzione, nel contempo docenti e dirigenti devono essere tutti alti, belli, biondi, con gli occhi azzurri, e poi geniali, e poi disponibili mattina sera pomeriggio e, se ci gira, anche nelle ore notturne. Però zitti, non ci si azzardi a chiedere più soldi e soprattutto non ci si permetta di sbagliare, che è pronta la denuncia!
Non c’è dubbio, questo è proprio un cambiamento. Se si potesse aggettivare senza passare per maldicenti si dovrebbe dire cambiamento pessimo. Ma perché lamentarsi? In fondo al popolo vengono offerte occasioni di discussione a sfascio che possono diventare di sfogo e magari anche di litigio, ciò che non guasta, data la tensione indotta dal “Governo del cambiamento”: ha valore terapeutico, tiene vivi, non fa pensare alle molte miserie, dà una sensazione eccitante di protagonismo. Vabbè, l’aspirazione di molti era che cambiamento significasse almeno avvio di soluzione dei problemi che angustiano la vita di ognuno, metodi diversi, fatti contro propaganda, coerenza, verità. Si dirà: aspettate, abbiate pazienza. Aspettiamo, per forza. E poi niente agitazione, è il popolo che ha voluto così! Che si sia sbagliato?
L’opinione di Leoni
Eh no! Caro Franco. Un tempo la sovranità formale apparteneva al Re e quella effettiva al Duce (il Duce ha sempre ragione). Poi le due sovranità furono riunite nel popolo, che perciò ha sempre ragione. Tutti gli Italiani che hanno compiuto diciotto anni, se lo vogliono, possono esercitare la loro sovranità e scegliere una volta Renzi e un’altra volta Salvini. Adesso tocca a Salvini a menare il gioco e lo fa basandosi sulle opinioni che molti membri del popolo sovrano
proclamano al bar. Anzi, non tutte, perché molti (che i sondaggisti si guardano bene dall’interpellare) risolverebbero il problema dell’immigrazione clandestina lasciando affogare i migranti fino a quando gli schiavisti non fossero costretti a cambiare mestiere. Quindi Salvini non la dice tutta. Ma prima o poi arriverà qualcuno che andrà oltre. Intanto Grillo lancia (anzi, rilancia) l’idea di sorteggiare i senatori. Se anche gli imbecilli possono eleggere i senatori perché non proviamo un senato con imbecilli sorteggiati invece che eletti? Evidentemente c’è qualcosa che non quadra nella sovranità popolare. È per questo che sono stati inventati i partiti, che però funzionano se il popolo li rispetta. Se teniamo conto dei contributi volontari ai partiti mediante assegnazione di una quota dell’Irfef, dobbiamo prendere atto che il popolo sovrano non ha alcun rispetto per i partiti. Quindi i partiti vecchi e nuovi devono riguadagnarsi la stima del popolo. Non è un consiglio, è un avvertimento. Finché non lo faranno, andremo avanti così, costretti a sopportare dei narcisisti che pontificano ritti sulle camere d’aria dei loro ego.
I movimenti migratori non si affrontano con le chiacchiere, ma con la rifondazione dell’ONU.
di Pier Luigi Leoni
Tra gli avventurosi esseri umani che cercano di raggiungere clandestinamente l’Europa predominano giovani uomini dell’Africa nera. Essi affrontano spese, sofferenze ed elevato rischio di morte affidandosi a banditi arabi che hanno rinverdito la tratta degli schiavi nella quale i loro antenati si sono tristemente distinti per oltre mille anni. Sanno bene con chi hanno a che fare e, ciò nonostante, accettano il ricatto e il rischio. Sono uomini sani e forti, perché allora si abbandonano alla disperazione? Evidentemente hanno perso la speranza che le loro nazioni raggiungano livelli accettabili di vita sana e ordinata. Si sono dovuti arrendere al fatto che né i loro governanti, né il contesto internazionale, riescono a sottrarli al disordine e alla miseria. Hanno davanti agli occhi lo spettacolo di una Europa prospera e vogliono godere un po’ di quella prosperità anche per sfamare, con le rimesse di un po’ di denaro, i loro cari rimasti in patria.
Ma queste rimangono considerazioni banali e non aiutano ad affrontare positivamente il fenomeno dell’immigrazione illegale se non si tiene conto di un’altra realtà che Erasmo da Rotterdam (per il quale, chi mi conosce sa che ho un debole) mise a fuoco nel suo celebre “Elogio della Follia”.
Dice Erasmo: “Mi rendo conto che la natura, come ha infuso un amor proprio nei singoli individui, ne ha instillato uno comune a tutti i cittadini di ciascuna nazione e, addirittura, di una stessa città. Di qui la pretesa degli Inglesi di primeggiare, oltre che nel resto, sul piano della bellezza, della musica e delle laute mense; gli Scozzesi vantano nobiltà, parentele regali, nonché dialettiche sottigliezze; i Francesi rivendicano la raffinatezza dei costumi; i Parigini pretendono la palma della scienza teologica vantandone un possesso quasi esclusivo; gli Italiani affermano la loro superiorità nelle lettere e nell’eloquenza. Tutti si cullano nella piacevole convinzione di essere i soli non barbari fra i mortali. Primi, in questo genere di felicità, sono i Romani, ancora immersi nei bellissimi sogni dell’antica Roma; quanto ai Veneti, si beano del prestigio della loro nobiltà. I Greci, quali inventori delle arti, si vantano delle antiche glorie dei loro famosi eroi; i Turchi e tutti gli altri musulmani pretendono il primato anche in fatto di religione e quindi deridono i cristiani come superstiziosi. Molto più gustoso è il caso degli Ebrei che aspettano sempre incrollabili il proprio Messia. Gli Spagnoli non la cedono a nessuno in fatto di gloria militare; i Tedeschi si compiacciono dell’alta statura e della conoscenza della magia”.
Se Erasmo scrivesse oggi, ci spiegherebbe che i popoli che premono alle nostre frontiere si sentono superiori a noi in molte cose e desiderano il nostro cibo e i nostri soldi, non le nostre presunte superiorità. Quando si dice “aiutiamoli a casa loro” si dice una cosa vana se non ci decidiamo a capirli e a farli capire dai nostri giovani. Impariamo a rispettarli, a non circuire i loro capi per avere merci in cambio di armi. L’ONU, che avrebbe il compito di evitare che i popoli risolvano le loro tensioni con le armi, è diventata un pressoché inutile baraccone, quindi andrebbe riordinata aggiungendo un’altra forte dose d’amore per l’umanità a quella che ispirò, nel 1948, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Io lo spero, anche perché “quando si dice che una situazione o una persona è senza speranza, si sta sbattendo la porta in faccia di Dio” (Charles L. Allen).
L’opinione di Barbabella
Condivido la parte finale delle riflessioni di Pier Luigi. Bisogna però tener conto del fatto che oggi nel mondo, come in Europa, la fanno da padrone i sovranismi declinati in tutte le salse. Basti pensare alle politiche dei Paesi ad impronta teologica musulmana (ad es. Iran e Turchia) o alle politiche espansive di Putin o alle guerre commerciali iniziate da Trump e ora in pieno svolgimento. L’Europa per suo verso sta sempre più scivolando verso le chiusure nazionali nell’illusione di combattere i sovranisti adottandone le posizioni nei consessi ufficiali, come accaduto nell’ultimo Consiglio europeo.
Sarà difficile da una parte non tanto rafforzare quanto mantenere l’unità europea, e dall’altra ancor più difficile riformare l’ONU nel segno della solidarietà tra i popoli della Terra. Per intanto io penso però che bisogna lavorare perché l’Europa esista come soggetto politico che opera con una visione mondialista. Tutto il contrario delle politiche muscolari di Salvini e dei suoi amici, tanto bravi a strillare e a minacciare e pochissimo propensi a collaborare in nome di comuni valori e interessi.
Resterà dunque a lungo e forse si aggraverà il dramma dei migranti (in queste ore si continua a partire dalla Libia e a morire davanti alle sue coste, nella più totale indifferenza della civilissima Italia e della civilissima Europa). D’altronde, quando l’aria non era sovranista, si è del tutto esagerato con un buonismo superficiale e paraculesco. Oggi si raccolgono i frutti di una miopia culturale, politica e religiosa coltivata troppo a lungo.
Non so francamente come reagirebbe il grande Erasmo alle chiusure, non tanto e non solo dei porti e delle frontiere quanto soprattutto delle menti, ma certo la fede nel libero arbitrio lo spingerebbe a riproporre la “follia” della responsabilità degli individui di fronte ai drammi dei propri simili. Perché, qualunque sia il presunto “carattere” dei diversi popoli (io non credo ai caratteri dei popoli ma solo ad orientamenti prevalenti in determinate condizioni storiche sempre soggetti a cambiamento) gli egoismi sono l’inconfondibile timbro dei tempi. E richiedono una decisa reazione.
Poiché si sta esagerando, è legittimo domandarsi: possiamo sperare che il vento cambi? Io rispondo con un sì, anche se preceduto da un forse, perché appunto non dobbiamo “sbattere la porta in faccia a Dio”. Ma per questo penso che debba valere anche il detto “aiutati che Dio ti aiuta”. Ci vorrà convinzione, lucidità di analisi, impegno costante e coraggio. Tutte virtù non degli altri soltanto, ma nostre, in ogni luogo.