Nasce il governo patchwork
di Franco Raimondo Barbabella
Allora finalmente, dopo un lungo travaglio, è nato. Parto difficile ma futuro come? Chi può dire? Lascio agli entusiasti il loro entusiasmo e agli scettici il loro scetticismo, ma non sono certo neutrale. Quel che penso di 5 stelle e lega lo ho detto fino alla noia. Che il risultato elettorale del 4 marzo sia stato frutto di una lunga martellante campagna di poteri interessati a disgregare lo stato per interessi di parte (élites vere, quelle di potere, che scatenano il popolo contro élites apparenti, quelle politiche) è mia ferma convinzione. E però lo è anche che a ciò siamo arrivati perché il terreno era stato reso fertile da una lunga serie di demeriti delle classi dirigenti che si sono succedute alla guida del Paese in tutti i suoi gangli vitali. Una reazione era inevitabile e la rabbia vuole un cambiamento purchessia. Su questo in molti dovrebbero meditare.
Come si è sviluppata la vicenda della nascita del governo Conte tutti l’abbiamo vissuta quasi minuto per minuto e non vale aggiungere altro, se non il fatto che il risultato, buono o cattivo che sia in prosieguo di tempo, al momento è il massimo che si poteva ottenere nelle condizioni date ed è ascrivibile al Presidente Mattarella.
Ma insomma, ciò che da oggi vale di più è cercare di capire la natura di ciò che nasce e scegliere comportamenti coerenti con le proprie convinzioni. Ciò che è in gioco è il futuro dell’Italia e a questo tema conviene rapportarsi. Il governo che nasce io credo sia lo sbocco più coerente della vicenda politica del Paese: hanno preso piede tendenze estremiste che si sono tradotte in risultato elettorale e oggi in formazione governativa. Bisogna riconoscere ai protagonisti di essere stati abili. Con ciò, per la stessa ragione, bisogna guardarli in faccia.
Il governo di fatto è una specie di patchwork, un brandello di stoffa cucita con pezzi colorati sovrapposti. Infatti, se il contratto/programma era un collage di ciò che più interessava ai due contraenti per non perdere la faccia davanti ai rispettivi elettorati, il governo è un collage di eletti e non eletti (a partire dal presidente), persone di valore e persone che francamente ci si poteva risparmiare (stando ai curricula), un condensato di contraddizioni raro nella storia di un qualsiasi paese a democrazia rappresentativa.
Si tratta di una riuscita (per il momento, naturalmente) operazione di potere. Dove ci porterà non lo sappiamo. Però oggi è questo e con questo dovremo fare i conti. Anzi, un merito forse va subito riconosciuto: da una parte costringe un po’ tutti a capire quanto è importante interessarsi della politica, informarsi, partecipare, discutere per costruire; dall’altra fa emergere i limiti degli sconfitti e pone il problema dell’alternativa. Non mi pare infatti che ci sia un’alternativa politico-programmatica pronta. Anzi, tutt’altro. Le ipotesi in campo mi paiono frutto più di gente che annaspa che di gente capace di resilienza strategica.
Mi auguro che si esca presto da questa condizione di nullismo perché la democrazia vive solo se è dialetticamente costruttiva. Mi auguro anche che almeno a livello locale non prendano piede tendenze imitative del peggio che viviamo a livello nazionale. Bisognerà impegnarsi in molti perché ciò non accada.
L’opinione di Leoni
La campagna elettorale è stata particolarmente virulenta perché il sistema proporzionale quasi perfetto dava l’occasione al M5S e alla coalizione di centrodestra di fare il colpaccio, mentre il PD era fuori gioco, come indicavano impietosamente i sondaggi. Il risultato elettorale ha deluso tutti i partiti e li ha indotti a miti consigli. Ma tre elementi concorrevano a una soluzione politica di compromesso: il terrore di tutti i partiti di spendere soldi e tempo per nuove elezioni rischiando di ritrovarsi di fronte agli stessi problemi; l’umano desiderio degli eletti di godersi qualche anno in parlamento; la paura di tutti, compreso il Presidente della Repubblica, di un aggravarsi della delicata situazione economica nazionale.
Il comportamento dei cosiddetti populisti è stato arrogante, contraddittorio, platealmente demagogico, a tratti anche comico; ma il Presidente della Repubblica ci ha messo del suo. Il suo ben noto pensiero politico non poteva non renderlo intimamente ostile ai populisti. Ciò nonostante, coscienziosamente e pazientemente, aveva lasciato maturare l’accordo tra Lega e M5S; ma, a un certo punto, non ne ha potuto più e s’è impuntato sulla nomina di Paolo Savona sfidando i populisti a un braccio di ferro. Se il potere di nomina dei ministri proposti dal Presidente del Consiglio incaricato, si estenda fino al giudizio sulla linea politica, la Costituzione non lo dice chiaramente e va interpretata.
Il Presidente della Repubblica ha scelto l’interpretazione che gli faceva comodo, creando un precedente molto pesante. Infatti mai un Presidente della Repubblica aveva ostacolato la nomina di un ministro per le sue idee in merito all’indirizzo politico. Messo all’angolo da Lega e M5S, ha cercato di cavarsela con un governo tecnico propedeutico allo scioglimento della Camere, ma si è trovato solo e ha dovuto accettare la mano tesa dai populisti. Da parte mia, poiché ne ho l’occasione, confesso che nessun membro del nuovo governo mi piace, ad eccezione del professor Giuseppe Conte, perché è molto colto, come non lo è affatto Luigi Di Maio; perché è molto distinto, come non lo è affatto Matteo Salvini; perché è figlio di un segretario comunale, come lo sono i miei figli; e perché, come il sottoscritto, è devoto di Padre Pio.La pubblicità è l’anima del commercio o il commercio dell’anima?
di Pier Luigi Leoni
In genere, chi inventa gli spot pubblicitari sa bene quello fa; e se sbaglia lo si vede dall’andamento delle vendite e deve subito cambiare spot o cambiare mestiere. Confesso di essere molto infastidito dalla pubblicità, che sono costretto a subire se voglio usufruire dei giornali e delle radiotelevisioni. Quando guardiamo la televisione, mia moglie toglie l’audio agli spot pubblicitari, mentre io, per scansarli, passerei disperatamente da un canale all’altro.
A volte mi sono illuso di essere un’eccezione nella generale stupidità dei teleutenti, ma poi sono andato a ripassare il prezioso libro di Vance Packard “I persuasori occulti” che spiega come la pubblicità agisca sui tratti emotivi della personalità umana riuscendo a indurre la gente a comprare delle cose di cui non ha bisogno, con denaro che non ha, per impressionare altre persone che le sono antipatiche. Si tratta di una conseguenza della produzione industriale e della sua capacità praticamente illimitata di produrre beni di consumo e della conseguente necessità di venderli.
È quello che chiamiamo “consumismo”. Il libro di Packard uscì nel 1957, alcuni mesi dopo che l’unico canale televisivo, quello pubblico della RAI, aveva introdotto, tra il telegiornale della sera e lo spettacolo serale, il celebre “Carosello”, un fortunato spettacolino pubblicitario di dieci minuti che durò 20 anni. Su un finto teatrino, appariva un finto sipario con effigiate tre ballerine in tre differenti pose che ricordavano la sigla del Partito Comunista Italiano. Ricordo la polemica che ne nacque, ma i democristiani allora imperanti lasciarono correre.
Il siparietto, al suono di una musichetta anch’essa divenuta celebre, si alzava e si abbassava all’inizio e alla fine di alcuni spettacolini. Erano prescritti Il numero dei secondi dedicati alla pubblicità alla fine di ogni spettacolino, la cui trama doveva essere estranea al prodotto. Per realizzare Carosello furono ingaggiati grandi registi e grandi attori del teatro e del varietà. Il consumismo era agli albori, mentre negli USA era già dilagante, e un italoamericano, Mike Bongiorno, imperversava sulla radio italiana con una martellante pubblicità di una marca di prodotti di bellezza. Bei tempi! Bastava spegnere la radio e godersi Carosello. Ma ormai ci siamo dentro: ribellarsi alla pubblicità è inutile e credere di non esserne influenzati è illusorio. Ci si può consolare con quel che diceva Cesare Marchi: «La pubblicità è vecchia come il mondo. Infatti, come tutti sanno, cominciò il serpente a decantare a Eva le virtù della sua frutta.» Ma ci si può sconsolare ricordando che da lì nacquero i guai dell’umanità.L’opinione di Barbabella
La pubblicità non è esistita finché non si è passati da economie chiuse, di sopravvivenza, ad economie di scambio, che di per sé spingono a società aperte. Anzi, nelle società industriali avanzate e nel mondo della globalizzazione, senza pubblicità non esisterebbero né commercio né economia. Dunque, che ci piaccia o no, la pubblicità è di necessità l’anima del commercio. A meno che non togliamo dal nostro orizzonte il commercio o dalle nostre convinzioni filosofiche e religiose l’anima. Scegli tu caro Pier, e scegliete voi cari amici lettori. Però, per favore ridatemi Carosello, nella versione originale, mi raccomando, non in quella ridicola rivisitazione edulcorata, sciatta e furbesca, di mi pare due anni fa.
Rivoglio il pulcino Calimero, Miguel e Carmencita, l’Omino coi baffi, La Linea, Gregorio er guardiano del Pretorio, Jo Condor, e poi Cesare Polacco e poi Ernesto Calindri, e poi … Ma che roba ragazzi! E diciamolo, c’è pubblicità e pubblicità! Se poi anche la politica diventa pubblicità, peraltro di quart’ordine, e la vita stessa si vuole che diventi o pubblicità o niente, allora che possiamo fare? Lamentiamocene, non importa se abbiamo accettato la pubblicità come anima del commercio o ne abbiamo provato repulsione perché commercio dell’anima! Che altro sennò? Beh, ad esempio possiamo versare lacrime di coccodrillo, come ha fatto Evan Williams, il co-inventore di Twitter, giusto un anno fa, quando a proposito di Internet e dei social network ha detto: “Pensavo che il mondo sarebbe diventato automaticamente migliore se avessimo dato a tutti la possibilità di esprimersi.
Mi sbagliavo”. Possiamo, ma teniamo presente che lui nel frattempo è diventato un pentito straricco che tende a diventare straricchissimo (per quanto mi riguarda senza nemmeno una punta di invidia); noi invece ben che vada possiamo spegnere radio e tv per poi comportarci magari come quel personaggio dell’episodio “Le isole” nel film di Nanni Moretti “Caro Diario” che, stufo dell’isolamento da allergia televisiva piccoloborghese, chiede sulla bocca del vulcano a due turisti americani di anticipargli le vicende di Beautiful. Più triste ancora che le manie consumiste davanti alla tv di Jerry Lewis in un suo film credo degli anni cinquanta. Che destinaccio!
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