La politica muscolare può porre i problemi, ma in genere invece di risolverli li complica. Per problemi complessi necessita una politica razionale di lungo periodo
di Franco Raimondo Barbabella
Al momento in cui scrivo non si sa ancora come finirà la vicenda Aquarius. Infatti la nave italiana Dattilo, che guida il convoglio di cui fa parte anche Aquarius, ha deciso di deviare verso le coste della Sardegna per problemi di maltempo, ma non pare che possa attraccare in un porto dell’isola. Il ministro Salvini lo ha escluso dicendo “non è che adesso possano anche decidere dove cominciare e dove finire la crociera”. Non credo sia il caso di commentare.
Qualunque sia il suo esito, questa vicenda un merito tuttavia già ce l’ha: ha fatto emergere le molteplici ipocrisie sul fenomeno migrazioni e insieme la natura irrazionale delle due opposte narrazioni, da una parte quella sovranista/populista rivolta alla pancia delle persone e dall’altra quella umanitarista/buonista rivolta ai buoni sentimenti. E per contro sta facendo però anche emergere l’importanza, cioè la necessità e l’utilità, di politiche ragionate di lungo respiro.
Le molteplici ipocrisie. Quella delle istituzioni europee, che hanno aspettato l’incidente (inevitabile, prevedibilissimo) per accorgersi che i flussi non sono né un problema solo italiano né solo di altri singoli stati ma dell’Europa come tale, se l’Europa vuole esistere. Quella del governo italiano, che con il suo ministro dell’interno ha creato l’incidente facendo finta che fosse un problema irrisolvibile far attraccare in un nostro porto la nave Aquarius di Sos Mediterranee (carica di 630 migranti trasbordati da motovedette italiane) mentre non lo fosse per la nave Diciotti della Guardia costiera (carica di 932 migranti). Quella del governo francese, che ha rivolto accuse all’Italia dimentico di aver tenuti ben chiusi i suoi porti e di aver respinto migliaia di poveracci alla frontiera di Ventimiglia (la resipiscenza dell’ultim’ora con la disponibilità ad accogliere qualche centinaio di richiedenti asilo non cambia di una virgola la figuraccia di un governo che si picca di essere la punta di un nuovo europeismo e che però di fatto, invece di combatterlo, aiuta con cecità politica evidente il montante sovranismo). Il nuovo governo spagnolo non può essere invece giudicato ipocrita, ma furbo si: ha dimostrato infatti sia sensibilità che intelligenza, al contrario di quello precedente che non aveva mancato di fare le sue belle prove di forza (diciamo che Sanchez ha dato anche un bell’aiuto a Salvini tirandolo fuori almeno per il momento, peraltro su richiesta di Juncker, da un bell’impiccio).
Le narrazioni contrapposte. Sono entrambe irrazionali. L’una (la sovranista/populista) perché sfrutta sia la paura di un fenomeno che si presenta di per sé come minaccioso (se ne ignorano natura, dimensioni e arco temporale di esistenza) sia l’indignazione (per molti versi giustificata) per come esso è stato gestito all’interno (sfruttamento, speculazione, tolleranza di situazioni indecorose, ecc. ecc.) con evidente mancanza di una politica dell’accoglienza e dell’integrazione (quasi tutti i problemi scaricati sulle singole località con la logica dello sparpagliamento coatto). L’altra (l’umanitarista/buonista) perché per governare fenomeni di questa portata, di fase storica, l’uso dei buoni sentimenti è il modo migliore per far scattare i sentimenti cattivi, che sono latenti e pronti ad esplodere, e c’è sempre chi è attento a quando e a come darsi da fare perché ciò accada. Se uno afferma che tutti vanno accolti, un altro può legittimamente affermare che non possiamo accogliere tutti e, con l’aiuto dei mass media e altri soggetti interessati, gridare all’invasione, con le conseguenti inevitabili reazioni di pancia.
La necessità di politiche ragionate. Quello delle migrazioni in realtà è un fenomeno complesso, sostanzialmente un fenomeno d’epoca. Dunque un fenomeno che non può essere trattato né come questione locale né come un insieme di singoli episodi slegati tra loro su cui ingaggiare per ciascuno una battaglia all’ultimo sangue per dimostrare forza e tenere sulla corda il proprio elettorato. Chi lo fa o è in malafede o ha obiettivi di basso profilo, strumentali, comunque contrari all’essenza degli interessi nazionali che pure si proclama di volere e dover affermare. Matteo Salvini sa benissimo quale è la natura del fenomeno e quale la sua portata. Sa che se non si va alla sua radice non si potrà operare né un controllo né un contenimento e per quantità e per qualità. Sa che senza una sensibilità diffusa non ci può essere convivenza e integrazione. Sa che la collaborazione europea è indispensabile. Ha creato il caso, certo non a caso. Ha fatto bene? Ha fatto male? A mio avviso non è questo il punto. Il punto è: si vuole modificare e come il Trattato di Dublino nel senso di rendere automatica la ripartizione europea dei migranti accolti come regolari? E più in generale si vuole ottenere finalmente una politica europea dell’immigrazione? Se si, allora bisogna stare attenti a non isolarsi, anzi, bisogna stare attenti a scegliersi bene gli amici (cioè i governi che hanno interessi convergenti). Insomma, c’è bisogno non di muscoli ma di intelligenza strategica.
Da questo punto di vista non mi sembra chiaro che cosa voglia il governo italiano, la cui agenda al momento sembra decisa unilateralmente proprio da Matteo Salvini, ministro dell’interno. È logico, rispetto ai nostri interessi nazionali, cercare gli applausi di Orban (Ungheria) e Kurz (Austria), che hanno obiettivi diametralmente opposti ai nostri? Noi dobbiamo non solo ottenere che l’Europa si prenda carico degli accordi con i Paesi di origine del fenomeno migratorio e quindi di un suo contenimento, ma anche di una distribuzione automatica dei migranti (quelli accolti) nei diversi Paesi, ciò che non vogliono quelli del Gruppo di Visegrád. No che non è logico. Ed è logico dichiararsi nazionalisti ed operare come tali nel contesto internazionale e però poi invocare la responsabilità comune europea? No che non è logico, soprattutto questo.
Io credo che ogni persona di buon senso capisca bene che l’Europa deve essere cambiata, e in profondità, perché bisogna capire se c’è o no una politica monetaria e una politica economica e del lavoro comune, se c’è una politica comune della sicurezza, se c’è una politica comune dell’ambiente, se c’è una politica comune dei flussi migratori, dell’accoglienza e dell’integrazione. Ma detto questo, e proprio per questo, ogni persona di buon senso capisce bene anche che, se si usa la politica muscolare dei fatti compiuti per porre un problema, poi ne deriva che quel problema non solo non si risolve ma rischia di complicarsi di brutto. E però governare vuol dire risolvere i problemi, non complicarli o crearne altri. Dunque, è auspicabile che ci si convinca che in questo mondo globalizzato e complicato l’eccesso di semplificazione è solo demagogia e che l’interesse nazionale legittimo si difende solo con politiche razionali di lungo respiro su cui cercare il consenso innanzitutto in sede europea.
L’opinione di Leoni
Franco chiede ai politici razionalità, equilibrio e lungimiranza. Se i politici possedessero queste doti, vivremmo nel migliore dei mondi possibili. E l’Italia sarebbe un paradiso. Uno sguardo alla nostra storia mostra che stiamo ancora leccandoci le ferite di folli guerre coloniali e mondiali, perse e vinte, mentre siamo ancora lontani dal vincere l’unica guerra giusta: quella contro le mafie. Ciò che ci umilia di fronte alle nazioni evolute è la delinquenza organizzata che compete con lo Stato dopo averlo a lungo affiancato e aver patteggiato con esso. Anche il fenomeno dell’immigrazione clandestina è finito nel gioco sporco della criminalità organizzata. Non affermò un organizzatore romano di cooperative criminali di fare più soldi con l’immigrazione che con la droga?
Le anime candide della sinistra chiamano pancia la sede della paura della gente. Ma la gente non ha paura dei neri perché sono neri, ha paura degli italiani che li mandano in giro a mendicare, o a fare gli schiavi nelle piantagioni di pomodori o a spacciare droga. Certo, abbondano in Italia, come in tutto il mondo, razzisti e xenofobi, cioè quelli che hanno paura dell’inquinamento del cosiddetto sangue nazionale e della cosiddetta civiltà nazionale. Ma la paura più diffusa, e anche la più giustificata, è nei confronti di coloro che hanno il sangue e la civiltà dei Totò Riina, dei Salvatore Bussi, dei Massimo Carminati ecc. ecc.
Perciò il governo fa bene a provocare gli altri governi europei perché la smettano di scaricare i problemi dell’immigrazione clandestina sull’Italia, ma farà ancora più bene se combatterà per sottrarre alla criminalità gli immigrati sfruttati e rispedire a casa loro, il più rapidamente possibile, quelli che hanno tendenze criminali. Non abbiamo certo bisogno di loro, siamo già al completo coi delinquenti di “razza” italiana.
L’ombelico delle studentesse
di Pier Luigi Leoni
Qualche settimana fa, mi sono trovato casualmente, con un amico anch’esso anziano, all’uscita di un liceo linguistico. Gli studenti e le studentesse uscivano a frotte con la vivacità propria dei giovani. Era evidente la differenza di maturità sessuale e gestuale tra coetanei maschi e femmine. I maschi indossavano quasi tutti jeans e maglietta; le femmine erano più variopinte. Alcune di esse che erano, o volevano sembrare, più graziose, erano truccate, calzavano scarpette coi tacchi ed esibivano l’ombelico. Abbiamo commentato la scena con qualche battuta scontata e malinconica.
Tornato a casa, sono andato a ripescare un articolo di Silvana De Mari, medico e scrittrice, per cercare conforto ai pensieri che mi erano passati per la mente. Soprattutto cercavo di trovare qualcuno che condividesse la mia ferma convinzione che anche l’abito fa il monaco e che, nelle scuole dedicate ai minori, sarebbe bene imporre le divise.
Scrive De Mari che un povero giovinetto in guerra con gli ormoni, i brufoli e la voce che cambia è irresistibilmente attratto dalla coetanea con l’ombelico di fuori e la provocazione lo eccita e lo fa soffrire. Magari la ragazza vuole solo provocare l’invidia delle compagne cicciottelle, che l’ombelico se lo tengono per sé, e trascura il fatto che è una grave forma di scortesia provocare un’erezione se non si ha nessuna intenzione di soddisfarla.
Scrive De Mari, rivolta alle donne,: «Noi siamo la società che ha la maggiore libertà per quanto riguarda il vestiario, e da un lato è molto bello, dall’altro la libertà non consiste nel fare quello che si vuole, ma nel capire cosa si sta facendo e nell’assumersene la responsabilità. Se non vogliamo sedurre un uomo, non vestiamoci in maniera provocante. È possibile che lui scambi il nostro vestiario per un invito e, per un errore di traduzione del messaggio, tenti un approccio esponendo se stesso e noi alla sgradevole scena del rifiuto. Non è vero che possiamo sempre vestirci come vogliamo, come non è vero che possiamo sempre dire quello che ci è venuto in mente. La libertà è la maggiore forma di intelligenza che esista, altrimenti diventa impulsività e capriccio.»
L’opinione di Barbabella
Poco avrei da aggiungere a quanto dice Silvana De Mari, se non che ciò che vale per le femmine vale anche per i maschi: le une e gli altri, quando provocano desideri possono anche essere oggetto di approccio e relativo sgradevole rifiuto a danno di chi troppo avventatamente lo tenta. Ma questo è il sano gioco dei desideri e dell’amore. Non c’è su tale piano né da stupirsi né da temere. Piuttosto sono da evitare gli eccessi: dal massacro del proprio corpo nel tentativo di assimilarsi agli aborigeni di qualche parte del mondo per l’illusione di essere così baciati dallo spirito dell’autenticità (che vuol dire?) fino al vestiario lacero per sembrare poveri griffati o alla scomparsa di copertura di parti essenziali nella convinzione che solo così ci si valorizza, però senza distinguere bellezze e bruttezze. Portato di false libertà, certo. Ma chi fermerà la forza dell’apparire nella società dell’apparenza? No, non credo le divise, anche se l’omologazione spinge le coscienze al punto che se dai ad una persona una divisa te la troverai tutta compunta a fare quello che mai avresti immaginato senza di essa. Trovo ammirevole la lotta di alcuni presidi (pardon, dirigenti) contro il malcostume fatto di tante cose: arroganza, maleducazione, sciatteria, sconcezze varie. Lotta forse inutile, visto che come ci si azzarda a fare il proprio mestiere come minimo arriva un genitore e ti da un pugno in faccia. Allora domando: ma quando le autorità pubbliche prenderanno sul serio il compito di stimolare e assicurare l’esercizio della funzione educativa della scuola e dei genitori come questione nazionale prioritaria? L’ombelico scoperto non è solo una faccenda di desideri tra adolescenti.
Tardani: “La rinnovata fiducia una responsabilità da condividere per rispondere alle aspettative della città”
ORVIETO –Venerdì 20 dicembre, nella Sala consiliare si è tenuto il consueto incontro tra la Giunta e i...