ORVIETO – “Da vicino nessuno è normale”. È il titolo dell’incontro pubblico, organizzato dalla Coop. Sociale “Il Quadrifoglio “ e dall’A.S.D. “Tartaruga xyz”, in programma venerdì 11 maggio dalle 9.30 alle 13 presso l’Auditorium di Palazzo Coelli di Orvieto, per ricordare i quarant’anni della “Legge Basaglia”.
La “180/78”, questo il numero del provvedimento approvato in Parlamento il 13 maggio 1978, traduce in un dispositivo normativo il pensiero e la pratica di Franco Basaglia, figura cardine del più radicale ripensamento dello statuto sociale, terapeutico ed epistemologico della psichiatria dei tempi moderni. “Io ho detto – affermò Basaglia nel 1979 in occasione di un ciclo di conferenze tenute in Brasile – che non so che cosa sia la follia. Può essere tutto o niente. È una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia”.
La legge, di cui lo psichiatra veneziano fu l’ispiratore, affronta quel “problema” senza reticenza, mettendo assieme concretezza e utopia. La “180”, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità “uno dei pochi eventi innovativi nel campo della psichiatria su scala mondiale”chiudeva i manicomi e contestualmente prevedeva Servizi di Salute Mentale diffusi sul territorio, con residenze comunitarie, gruppi di convivenza, relazioni sociali e un contatto quotidiano con persone, educatori, maestri.
A quei tempi, erano gli anni Settanta, si discuteva di follia e ragione e istituzioni totali con Michel Foucault e Erving Goffman e si pensava che il mondo potesse essere cambiato con la forza delle idee. Basaglia era però consapevole di dover affrontare un’impresa debordante di insidie e di difficoltà: “Noi – diceva – nella nostra debolezza, in questa minoranza che siamo, non possiamo vincere. È il potere che vince sempre; noi possiamo al massimo convincere. Nel momento in cui convinciamo, noi vinciamo, cioè determiniamo una situazione di trasformazione difficile da recuperare”. Oggi, ed è questa la domanda più urgente, ha nuovamente prevalso il potere oppure l’aver dimostrato “che l’impossibile può diventare possibile” resta l’innesco di un’inesausta volontà di costruire, tenacemente, quella società che deve ancora dirsi “civile”?