I politici troppo presenti in televisione si dànno la zappa sui piedi
di Pier Luigi Leoni
La cresciuta e sempre crescente presenza sui televisori dei personaggi politici non è dovuta a oscure imposizioni di un grande fratello, ma alla curiosità del pubblico. Chi opera nel sistema televisivo prende sul serio i dati dell’auditel, come li prendono sul serio gli acquirenti della pubblicità. Ma i personaggi politici, per un misto di vanità, di illusione e di narcisismo, ma anche perché invitati, circuiti e tirati per la giacca, non riescono a rendersi conto di eccedere e di finire col rendersi antipatici.
Lo ha capito Beppe Grillo, perché è un uomo di palcoscenico e sa quando è il momento del “vaffa” e quando è il momento in cui il “vaffa” può finire col tornare indietro. Non lo ha ancora capito Luigi Di Maio che, con quella sua faccia di borghese a modino, sta diventando stucchevole a coloro che non lo amano a prescindere, ma dei quali ha bisogno se vuole conquistare una maggioranza vera.
Non lo capì fino a poche settimane fa Matteo Renzi, che ha fatto molti più danni alla sua immagine parlando che stando zitto. È riuscito a disgustare la maggioranza degli elettori in merito a una riforma costituzionale della quale poco capivano, facendoli affezionare persino al senato, un costoso doppione che intralcia la esistenza dei governi e la formazione delle leggi. L’ha capito in ritardo Maria Elena Boschi, donna molto bella e faconda, ma inconsapevole che anche la bellezza femminile e lo scilinguagnolo vengono a noia. Non l’ha ancora capito Matteo Salvini che, più sproloquia in TV e più si rimangia i voti della gente incazzata che l’ha votato. Non sa che le incazzature passano? Non lo capirà mai Silvio Berlusconi, che però è un caso a parte. Lui le televisioni se le è fatte, le tiene strette e le sa adoperare.
L’opinione di Barbabella
Televisione, la passione indiscussa della comunicazione analogica che proietta le sue luci e le sue ombre anche nella fase della comunicazione digitale. Ed è logico, nessuno vuole rinunciare al proprio momento di gloria. Ma il tuo momento non ce l’hai se non passi almeno una volta in tv. Chi poi per diverse ragioni un posto in tv se l’è conquistato come persona di potere non sarà certo disposto ad abbandonare lo schermo di sua spontanea volontà. Semplicemente perché, nell’un caso e nell’altro, tutti sanno di vivere nell’epoca dell’apparire, e apparire in tv è il massimo dell’apparire.
Si, c’è chi sa gestire meglio di altri la propria immagine, e anche chi, essendo personaggio noto, utilizza la propria sottrazione di immagine come strategia fondamentalmente commerciale o comunque utile a qualcosa per sé. È il caso di Mina. Forse è anche il caso di Grillo, ma per Grillo dico forse perché lì c’è qualcosa di più complesso, di meno lineare. Comunque sia, se è vero che il piccolo schermo è troppo attrattivo per essere abbandonato per libera scelta, è anche vero che ciò che è raro è prezioso e ciò che è consueto può diventare banale.
C’è da dire però che ci sono persone, attività o presenze che stancano, ed altre che non stancano seppure ripetute. Ci sono facce che vedi volentieri ed altre che appena appaiono ti invogliano o a cambiare canale o a spegnere il televisore. La gran parte di chi fa politica appartiene alla seconda categoria. Non c’è bisogno di chiedersi nemmeno perché.
Follia del mondo? Follia degli uomini che vogliono perdersi
di Franco Raimondo Barbabella
L’anno scorso, l’economista Giulio Sapelli, parlando del suo libro “Un nuovo mondo. La rivoluzione di Trump e i suoi effetti globali”, se ne era uscito con un’affermazione che fa pensare. Aveva detto: “La follia si è impadronita del mondo”, per cui come ci si può accorgere di ciò che accade prima che accada?
In verità non ci vuole molto per verificare come attendibile la notazione di Sapelli: è il mondo stesso che ci impone ogni giorno con i suoi accadimenti quel giudizio, e la drammatica vicenda siriana, divenuta guerra calda in queste ore, ne è la più chiara esemplificazione. Però non sempre è vero che non ci si può accorgere di ciò che accade prima che accada, il che equivale a dire che ci sono cose ampiamente prevedibili. Nel mondo come in Italia.
Nessuno può pensare che un mondo dominato da autocrati non si caratterizzi più prima che poi per una diffusa politica muscolare, e una politica muscolare più prima che poi si tradurrà inevitabilmente in confronto armato. Così è accaduto anche nel passato, ed è squadernato oggi davanti ai nostri occhi. Fa un po’ pena la corsa a schierarsi con gli autocrati, ma fa anche pena il buonismo ad ogni costo così come anche il pacifismo unilaterale degli anni scorsi che, tutto teso a dare addosso comunque e dovunque all’America, si trova oggi ad essere indifferente di fronte al bellicismo dalle molte facce ma certo con in primo piano quelle della Russia e della stessa America.
Prevedibile questo, come prevedibili parecchi aspetti della vicenda italiana. Ad esempio, non era forse prevedibile che Renzi, con il referendum su quelle riforme costituzionali raffazzonate, avrebbe dato il destro a tutti i suoi nemici di coalizzarsi e di farlo uscire di scena? O non era prevedibile che quella strana legge elettorale chiamata “Rosatellum” avrebbe dato l’esito che ha dato, cioè nessun vincitore e nessuna maggioranza senza alleanze nel dopo? O, ancora, non era anche prevedibile che le posizioni politiche e le improbabili proposte di cinquestelle e lega sarebbero state utili ad acchiappare voti, ma non a costruire una solida proposta di governo ancorata ad una prospettiva di reale rinnovamento? Rinnovamento? Chi era costui?
Evidenti altri due aspetti della vicenda italiana. Il primo è l’appello a favore dell’ex presidente brasiliano Lula da Silva per permettergli di partecipare alle elezioni presidenziali promosso da un gruppo di esponenti della sinistra politica e sindacale. Prevedibile in sé e prevedibili anche le motivazioni (indagini parziali, sentenza più politica che giudiziaria, probabile persecuzione). Ma perché lo stesso comportamento non c’è stato nei confronti, non dico (si fa per dire) di Craxi, non dico (si fa per dire) di Bruno Contrada o di Mario Mori, ma certo di Calogero Mannino, e soprattutto di Ottaviano Del Turco, il cui caso somiglia come una goccia d’acqua a quello di Lula?
La verità è che è scomparso da un pezzo dall’orizzonte culturale della politica nostrana, di tutta ma in particolare della sinistra e della stessa area moderata, l’idea stessa dello stato di diritto e del suo concetto cardine che “la legge è uguale per tutti”. La prima conseguenza è che il garantismo, a sinistra, come a destra e al centro, vale ormai solo per “i nostri”, mentre “gli altri” sono solo “altri”. La seconda conseguenza, logicamente derivazione della prima, è che diventa montante un pericolosissimo giustizialismo, la cui esemplificazione è ben rappresentata dal discorso che ha pronunciato il giudice Di Matteo all’evento “Sum 02”, organizzato ad Ivrea nei giorni scorsi dalla Casaleggio & C., con tanto di applausi scroscianti del pubblico.
Il percorso è stato lungo, ma alla fine ci si sta arrivando nell’incoscienza generale. Ed è il secondo aspetto. Iniziò 25 anni fa con le monetine davanti al Raphael, osannate da giornali, politici di destra e di sinistra e magistrati, che poi con questo ci fecero la loro bella carriera. Da allora c’è stata una vera e propria gara a seminare i germi del populismo e della politica antisistema, la denigrazione dell’avversario, la personalizzazione e il culto del capo. Meno democrazia, più bugie di prima, promesse a manciate, inganno continuato e aggravato. Lo spettacolo di oggi era tutto scritto. Grande e grave responsabilità della politica di ieri, delle persone come dei partiti, grande e grave responsabilità della politica di oggi, che sta producendo ancora più danni.
Ce lo meritiamo? Forse. Certo è che ci siamo incartati. Ieri, una politica miope, autoreferenziale e decadente, si è lasciata distruggere da una magistratura ansiosa di protagonismo. Oggi, una politica improvvisata e facilona, non meno parolaia ma ancor più arrogante e strutturalmente eterodiretta, ci angoscia seminando incertezza del presente e ansia del futuro. Quando non si ha il coraggio di fare i conti con la storia, la storia si vendica. È una legge non scritta, ma è una legge non meno capace di far sentire i suoi effetti.
Non è la follia del mondo, è la follia degli uomini che vogliono essere folli. Non ci siamo accorti che non c’è giorno che non sia il “giorno del ricordo” di qualcosa, e però poi non c’è occasione che dimostri che di quel qualcosa ci ricordiamo sul serio? Ricordiamoci comunque almeno di questo: “Quos vult Iupiter perdere, dementat prius”, che letteralmente significa “A coloro che vuole rovinare, Giove toglie prima la ragione”. E la ragione mi pare che ormai interessi davvero a pochi.
L’opinione di Leoni
La democrazia moderna è un meccanismo molto complesso che la mente umana, pur avendolo concepito e realizzato, non è in grado di controllare perfettamente. Perché la mente umana è volubile, condizionata com’è dalle emozioni. Credo che dobbiamo rassegnarci ai guai che certe emozioni collettive provocano alla società, sperando che gli stessi guai suscitino emozioni positive che ci diano la forza per evitare di precipitare nel baratro. Certo, la prospettiva di ciò che accadrà in quello che gli economisti chiamano il breve periodo, che corrisponde a un anno, o nel medio periodo, che corrisponde a quattro-cinque anni, non è rosea. Forse dobbiamo rassegnarci a una ripresa del buon senso nel lungo periodo. Ma, come diceva il grande economista inglese John Maynard Keynes (1883 – 1943), “l’unica certezza è che nel lungo periodo siamo tutti morti”.