Alimentazione e bellezza
di Pier Luigi Leoni
Leggo su La Repubblica di una iniziativa che ha preso il via dall’EXPO e che è presente, oltre a Milano, a Rio de Janeiro, a Londra e a Parigi. Si tratta di un progetto, come dice il grande chef modenese Massimo Bottura, di solidarietà alimentare e di coscienza ecologica realizzato nel bello. Le persone bisognose possono trovare nei refettori in questione menu ideati da grandi chef, curati alla perfezione nel loro aspetto dietetico utilizzando alimenti che andrebbe sprecati nel meccanismo della grande distribuzione. Non solo, ma gli ambienti dei refettori sono allestiti e decorati con l’aiuto di artisti e designer internazionali. Dice Bottura: «Il bello è considerato a torto superfluo. Certo che vengono prima i bisogni materiali. Ma le persone considerate ai margini della società hanno diritto all’inclusione anche da questo punto di vista; così possiamo non solo dare nutrimento, ma anche restituire dignità alle persone. Gli individui non sono solo stomaco. Accanto al problema della fame c’è quello dell’isolamento sociale».
Non posso fare a meno di riferirmi all’immenso contributo che le religioni hanno sempre dato al godimento del bello da parte di tutti, compresi i miserabili e gli ignoranti. Nella nostra Orvieto ne abbiamo innumerevoli esempi eclatanti. Chi ha avuto modo di accedere ai palazzi signorili dell’Orvieto rinascimentale ha visto la bellezza dei pavimenti, delle pareti e dei soffitti; ma i grandi tesori dell’arte sono nella chiese, a cominciare dal Duomo, e sono stati sempre a disposizione di tutti. È difficile comprendere come tanta bellezza da tutti goduta non venga più percepita dalla sensibilità popolare. Lo dimostrano l’edilizia del dopoguerra e l’abbigliamento inverecondo. Forse è arrivato il momento di porci il problema, diceva Albert Camus, opportunamente citato da La Repubblica: «La bellezza non fa le rivoluzioni, ma viene un giorno in cui la rivoluzione avrà bisogno della bellezza».
L’opinione di Barbabella
Eh già, nonostante Bottura e i grandi chef che preparano cibi bilanciati per i refettori, nonostante questi vengano abbelliti dagli artisti, nonostante chiese e palazzi grondino di tesori, nonostante tutto questo e ancor di più, la bellezza non è diventata la dimensione normale della sensibilità popolare. Questo dice Pier. E si può anche concordare, ma poi se si scava anche solo un po’ si scopre che non si sa mica bene che cosa sia la bellezza o che cosa si deve intendere per popolo.
Un tempo era tutto più chiaro, c’erano il Canone di Policleto e l’Uomo vitruviano che indicavano nella proporzione delle parti costituenti il tutto il criterio per definire il bello. C’erano i poemi. C’erano le Tre Grazie. C’erano le cattedrali. C’erano le sinfonie. Insomma la bellezza come armonia, l’uomo iscritto nel quadrato e nel cerchio, cioè identità con la terra e con l’universo. Poi però sono arrivate l’industria e la società di massa, i criteri sono cambiati, si è imposta la disarmonia e il bello è diventato soggettivo. Il mercato ha fatto il resto: bello è ciò che si è deciso che in quel momento deve piacere, dai pantaloni agli occhiali, dall’oggetto per la casa al quadro da appendere in una parete vuota.
Certo, non ci sono più le grandi elaborazioni filosofiche che sviscerano questo tema e che fanno dividere le scuole di pensiero: Platone che svaluta l’arte in quanto imitazione che allontana dal bello ideale e Aristotele che invece esalta la bellezza come realizzazione piena dello scopo a cui qualcosa tende, la sua forma. La verità è che forse elaborazioni di quel tipo nemmeno servono. Servirebbe invece una educazione del gusto, una lotta dura contro la maleducazione e l’arroganza, un’educazione dell’anima capace di rendere interessanti i comportamenti gentili. Come servirebbe, prima che costruire nuove cattedrali, manutenere quelle che ci sono, tenere in ordine gli ambienti urbani, rispettare l’ambiente. Servirebbe la consapevolezza delle nostre interconnessioni con i nostri simili e con il mondo. Solo così possiamo avere buone emozioni.
Perché in fondo bello è ciò che suscita in noi emozioni che ci rendono sintonici con ciò che vediamo, ascoltiamo, assaporiamo o anche semplicemente desideriamo. Bello è ciò che ci educa al bello. Bello è ciò che riesce a generare amore. Troppo difficile dunque per non richiedere educazione, ricerca, riflessione, sensibilità e applicazione. Non basta dire o sapere che c’è bellezza perché la bellezza venga automaticamente apprezzata. Ripeto, ci vuole un interesse a cercarla, una spinta interiore a superare un senso di mancanza. Se questo non c’è, come può mai esserci il senso del bello?
E l’Italia infine approdò alle magnifiche sorti e progressive del Boh!
di Franco Raimondo Barbabella
Dopo il voto del 4 marzo che succede? Boh! Alcune cose però sono chiare: un Paese spaccato in due, tre poli minoritari, difficoltà di fare una maggioranza per autoingabbiamento dei protagonisti. Altre cose invece non sono né possono essere chiare, visti non solo i risultati numerici quanto piuttosto le posizioni politiche e le sottostanti culture. A proposito di questa situazione credo si debba preliminarmente chiarire un punto, altrimenti il ragionamento non fila.
Qualcuno dice che lo stallo attuale è colpa della legge elettorale. Quella adottata è certamente una legge pessima, ma il risultato non dipende da essa. Uno studio di YouTrend dimostra che esisteva un orientamento al tripolarismo (concentrazione su tre soggetti consistenti) già molti mesi prima che la legge fosse concepita e approvata. E il tripolarismo non se lo sono scelti nemmeno gli elettori ma è la proposta venuta fuori dal lungo percorso di riorganizzazione del sistema di potere, un esito nella sostanza magmatico e inconcludente, che loro si sono trovati a poter-dover scegliere.
La situazione che si è creata appartiene dunque alla sfera della politica, quella cosa complicata che non si può ridurre a formulette. E invece sembra che tutti prima abbiano chiesto i voti proprio su formulette per voler poi costruire oggi su quella base una maggioranza di governo, addirittura in modo rigido chiedendo agli altri di aderirvi punto e basta. Ovvio che non si può: le promesse sono state tali che non possono reggere alla prova dei fatti e i protagonisti alla fine si sono messi in gabbia da soli. Saranno costretti ad uscirne, ma non potranno non rinnegare se stessi, in tutto o in parte.
Matteo Renzi e il contorno hanno fatto tutto il possibile per perdere e avviare il pd e quel che resta della sinistra verso l’irrilevanza. Dato il disastro, anche il pd ‘derenzizzato’ si è dovuto mettere, provvisoriamente, sull’Aventino in attesa delle mosse del presidente Mattarella. Le uscite di Dario Franceschini sulla legislatura costituente, di per sé belle e impossibili, servono solo a dimostrare che gran parte di questo partito è solo in attesa di rientrare in gioco, essendo attanagliato dal terrore del ritorno alle urne con il pericolo incombente di essere risucchiato dai pentastellati.
Matteo Salvini ha promesso tassa piatta, abolizione della Fornero ed espulsione rapida degli irregolari; ha ottenuto per questo una messe di voti e ora vorrebbe l’incarico per fare il governo sul modello del neogeocentrismo leghista; ma non ha i numeri. Luigi Di Maio si trova in una situazione simile: ha promesso reddito di cittadinanza, repulisti generale e governo di vergini; anche lui ha ottenuto per questo una messe di voti e di conseguenza come Salvini invoca l’incarico, anche lui secondo un modello neogeocentrico, questa volta grillino, più fantasioso, mobile, spregiudicato; però anche lui non ha i numeri.
Ma guarda, tutti si sono accorti oggi che nei sistemi democratici e con le leggi proporzionali i governi si formano se dopo il voto si formano le maggioranze, che si fanno con i numeri e perciò con gli accordi sui programmi e sugli incarichi! Hanno detto niente inciuci, ma se vorranno fare un governo debbono per forza fare l’inciucio. Si, inciucio (il loro linguaggio), perché hanno ottenuto voti su promesse incompatibili tra loro. Ad esempio, il nord apprezza la diminuzione drastica delle tasse ma non il reddito di cittadinanza, mentre per il sud vale esattamente il contrario e le due cose insieme sono incompatibili. Perciò, poiché un accordo è possibile solo se ciascuno rinuncia a qualcosa, per uscire dallo stallo sarà inevitabile il vituperato inciucio. Ne verrà però un merito: questa parola o sarà dimenticata o assumerà addirittura un valore positivo. Forse resterà solo Giorgia Meloni a custodirne il sapore di cosa spregevole.
È vero tuttavia che la coerenza è termine desueto e storicamente idiosincratico per il nostro popolo, ma qualche limite all’indecenza c’è anche per noi. E siccome l’hanno sparate proprio grosse, gli eventuali cambiamenti si vedrebbero distintamente, per cui qualche timore di boomerang serpeggia anche tra i più propensi all’avventura del potere. Pensate un po’, per fare ad esempio un governo Lega-5stelle bisognerebbe di fatto ammettere non solo che i due sono due facce della stessa medaglia sovranista per di più inciuciosa, ma anche che per far nascere un governo degli onesti (così si presentano) bisogna chiedere aiuto al partito dei disonesti (così loro chiamano tutti gli altri).
Dura eh! Ma siamo in Italia, e qui niente è impossibile. Vedrete che ne vedremo delle belle, a partire dai flussi. Quelli elettorali? Macché, i flussi dei passaggi sui carri dei vincitori, in atto già con la formazione delle liste e diventate fenomeno non più tardi di cinque minuti dopo le prime proiezioni. Flussi con protagonisti di testa, come sempre, intellettuali, giornalisti e politici di ogni fila, in cui si distinguono particolarmente i sedicenti di sinistra, meglio se estrema, gente magari incerta sull’aldilà (in inglese a seconda dei gusti the other side o afterlife) ma con idee molto chiare sull’aldiquà (bella l’espressione inglese earthly life), insomma in qualche modo gente di fede.
No, non c’è da rallegrarsi, ma il geniale risultato di una classe dirigente (quella tradizionale) che, cieca e arrogante, ha portato il Paese nelle condizioni di esasperazione che sappiamo preparandolo così ad accogliere nuovi padroni, non può non lasciarci in qualche modo ammirati. Così come non può non lasciarci ammirati il percorso davvero originale di questi, che avendo promesso uno sfacelo del sistema si ritrovano però a doverlo gestire usando la loro furbizia per uscire dalle gabbie in cui da soli si sono cacciati.
Magari ne usciranno e il modo cambierà in qualche misura il Paese, ma certo non nel senso delle riforme che ci diano quel ruolo di Paese moderno, giusto e faro di civiltà, cui da sempre ci siamo candidati nel mondo e che però non riusciamo mai a raggiungere e ad esercitare come vorremmo e potremmo. Tutto ciò è cosa che come si fa a non ascrivere al genio italico? Diciamolo, quanti altri Paesi sarebbero stati capaci di accumulare decenni e decenni di pulsioni al cambiamento per approdare infine all’Italia del Boh?
L’opinione di Leoni
Tra una coalizione di centrodestra e una di centrosinistra s’è messo in mezzo un partito che non è né di destra, né di sinistra, né di centro. Alla gente tradizionalmente e tenacemente “de sinistra” è crollato un mondo. Credevano di essere i soli a nutrire un forte sentimento di giustizia, a sognare che lo Stato li liberasse dalla pena per i poveri, i diseredati e gli sfruttati, ma è uscito fuori un tizio che si è inventato un reddito di cittadinanza all’italiana: promettere soldi e lavoro ai disoccupati del Sud continuando a spremere con le tasse gli occupati del Nord. Le conseguenze si sono viste: la “giustizia” grillina è piaciuta tanto al Sud e ha fatto arrabbiare il Nord.
Evidentemente le masse sofferenti del Sud preferiscono l’ “ingiustizia” grillina alla giustizia sociale sognata e promessa dalla sinistra. Se poi si considera che l’assistenza ai più poveri fra i poveri è concretamente messa in atto dal volontariato cattolico, laico e perfino fascista, per la gente “de sinistra” è diventato molto difficile riordinare le idee. Situazione che prelude alla depressione. Mi permetto di consigliare alla gente “de sinistra” di stare serena. Il nord si è occupato di chiudere la strada della maggioranza parlamentare al partito del reddito di cittadinanza. L’inventore della trovata, insofferente del fatto che un giovanotto azzimato gli abbia rubato la scena, s’è adesso inventato il reddito di nascita. Una confusione che fa rimpiangere il grande partito della sinistra e il suo riformismo inconcludente.