Odore di fuffa
di Franco Raimondo Barbabella
Parto con una valutazione consapevolmente sommaria: mi pare che la situazione determinata dall’esito della recente tornata elettorale indichi, contrariamente a quanto dicono i più, qualcosa di già visto. Si, è vero che i 5 stelle e la Lega introducono novità nel panorama politico e che lo schema tripolare cambia molte cose rispetto a quello bipolare su cui si era attestato tutto il gran lavorio della lotta a sangue per il potere degli ultimi 20 anni. Ma anche questa è una lotta a sangue per il potere esattamente come le precedenti, e condotta come le precedenti sopra la testa dei cittadini.
Per tale ragione parlo di cose già viste. Dove sono infatti le novità che possono indicare un cambiamento reale in direzione di una auspicata svolta nei comportamenti a favore di verità, serietà, lungimiranza, idea di futuro, competenza, rispetto delle regole democratiche? Bah, non ne vedo granché, magari per difficoltà mia, non lo escludo. Però i fatti mi pare che confortino le mie impressioni a caldo. Vediamone alcuni.
Le promesse. Si rimproveravano i partiti tradizionali di fare promesse che non potevano poi essere mantenute. Ma i nuovi partiti che cosa hanno fatto? Ecco le promesse più forti: via gli stranieri irregolari (Salvini e Berlusconi), abbattimento radicale delle tasse (Lega, F.i.), via la legge Fornero (Salvini), reddito di cittadinanza (5 stelle). Cose fattibili? Cose efficaci da campagna elettorale, ma dire fattibili è davvero un azzardo. Dunque? Passata la festa gabbato lo santo, come sempre. Come minimo che se ne abbia il sospetto, per evitare poi la solita tiritera sul perché questo non si è fatto e quello si è rivelato impossibile, troppi ostacoli, non abbiamo avuto la forza numerica necessaria, gli altri si sono messi di traverso, e via enumerando.
Le alleanze. C’è chi le ha fatte e chi no, ma tutti hanno detto niente inciuci, soprattutto quelli che poi hanno vinto. Hanno detto: i partiti tradizionali hanno sempre tradito chi li ha votati perché hanno fatto accordi innaturali pur di mantenere il potere. Vero, ma ora che sta succedendo? Sta succedendo che chi si è presentato come duro e puro, e ha detto mai e poi mai come gli altri, sta facendo esattamente come gli altri: accordi purchessia. Si chiama apertura, ma va letta come potere ad ogni costo, abbandono senza timore di ciò che si è promesso criticando gli altri. Disponibilità all’inciucio? Per forza, come chiamarla altrimenti?
Si dice responsabilità. Suvvia, non prendiamoci ancora in giro! Responsabilità di tutti sarebbe stato non arrivare a tanto, sia da parte dei vecchi che dei cosiddetti nuovi. Responsabilità sarebbe stata da tempo governare bene. Responsabilità sarebbe stata poi una legge elettorale decente, chiarezza di programmi non ingannevoli, atteggiamenti politici orientati alla priorità dei beni comuni e non al facile consenso, fine dell’improvvisazione e dell’arrivismo. Ma di tutto questo è difficile trovare qualche traccia visibile. Ci si meraviglia addirittura che i risultati numerici non consentano di fare subito un governo. Ma che sfrontatezza! Si è scelto un sistema che tutti sapevano avrebbe portato a questo risultato, e oggi ce se ne lamenta? Ma via!
Mi pare che al momento il più responsabile sia proprio quello che da leader dell’ex partito di maggioranza si è comportato come il più arrogante e irresponsabile, pagandone giustamente il prezzo più alto. Si, proprio Renzi, che si rifiuta di dare il suo appoggio sia ai 5 stelle che alla Lega dicendo che, siccome loro hanno vinto, loro devono dimostrare di saper governare, e che dunque il PD deve stare all’opposizione. Ovvio che il ragionamento di Renzi contiene un buco logico, perché un’opposizione c’è se c’è una maggioranza, e però una maggioranza non si profila all’orizzonte per le ragioni dette. Ma come dargli torto, sia in linea di principio che in linea di fatto? Questa è la democrazia, se per democrazia si intende potere del popolo di decidere. E al popolo si è chiesto di decidere di punire i partiti tradizionali e di dare fiducia ai duri e puri che non faranno mai e poi mai gli inciuci che invece gli altri hanno sempre fatto. C’è poco da fare, se ne debbono trarre le logiche conseguenze.
Certo, il Presidente invita tutti alla responsabilità. Però bisogna dirlo: no, caro Presidente, questa volta la parola giusta è serietà, che vuol dire vietato ingannare, perché questo Paese è ridotto davvero malissimo se c’è gente che, a distanza di tanti anni dal metodo Lauro (una scarpa prima delle elezioni e l’altra dopo), non riesce ancora a distinguere tra una promessa elettorale e la possibilità effettiva di riscuoterla, pensando che chi vince la rende effettiva solo per il fatto di aver vinto e non dopo un provvedimento del Governo e del Parlamento. Mi riferisco alla notizia di non pochissimi cittadini del Sud che si recano ai CAF per prenotare o riscuotere subito il cosiddetto reddito di cittadinanza, che evidentemente qualcuno ha promesso con un certo ardore come cosa sicura e rapida.
E allora serietà, e di conseguenza responsabilità, forse oggi, alla luce dei fatti, vuol dire non governo ad ogni costo ma governo provvisorio appoggiato da una maggioranza con tutti dentro solo per cambiare la legge elettorale, renderla realmente democratica (minimo tre cose: via le liste bloccate, preferenze e sfiducia costruttiva) per andare subito a nuove elezioni. E poi governi chi vince sul serio, dichiarando prima quello che vuole fare e con chi è disposto a farlo. Il resto è fuffa, chiunque lo dica. E la fuffa di oggi non è migliore di quella di ieri.
Lo dico così, ma temo che saremo sommersi dalla fuffa, per cui converrà attrezzarsi almeno psicologicamente e sperare come sempre nello stellone.
L’opinione di Leoni
Sia la matematica che l’esperienza dimostrano che negli Stati veramente democratici non sono possibili leggi elettorali che garantiscano immediatamente la cosiddetta governabilità. Questo lo sanno i quasi mille parlamentari neoeletti, che peraltro credo poco propensi a privarsi del prestigioso ruolo al quale il popolo li ha voluti, o almeno accettati. Perciò non mi sembrano probabili elezioni anticipate senza che prima sia tentata ogni soluzione per allontanarle.
Le elezioni, del resto, se non hanno espresso una maggioranza, ne hanno espresse ben due:
Una maggioranza centromeridionale, dove la promessa grillina del cosiddetto reddito di cittadinanza ha allargato il cuore della marea di disoccupati. I quali se ne infischiano del fatto che, secondo il programma grillino, dovrebbero prestare ai comuni otto ore settimanali di lavori socialmente utili. Essi non vivono sulla luna e sanno bene che i comuni sono difficilmente in grado di organizzare lavori del genere che richiedono programmazione, direzione, attrezzature e spese per beni di consumo. E comunque 8 ore sono pochine e non disturbano troppo i lavoretti in nero con cui i disoccupati, i sottoccupati e i cassintegrati sono soliti sbarcare il lunario. Anche il fatto che, dopo tre offerte di lavoro rifiutate, si perderebbe il reddito di cittadinanza non fa né caldo né freddo a gente che sa che il lavoro da offrire non c’è.
Una maggioranza settentrionale di centrodestra, eletta da gente che paga alte tasse e spera di vedersele ridurre, e che non ha nessuna voglia di mantenere i disoccupati del Centro e del Sud.
Verrebbe da prendersela con Garibaldi che consegnò a Vittorio Emanuele II (che, ormai ribelle alla saggezza di Cavour, accettò) i territori del Regno delle Due Sicilie. Ma quel che è fatto è fatto e persino i polentoni della Lega hanno capito che non si può tornare indietro.
Quindi le due maggioranze devono prendere atto l’una dell’altra e del fatto che poco meno di un terzo dell’elettorato nazionale ha votato per il reddito di cittadinanza, mentre più di un terzo ha votato per la flat tax. Sarà il centrosinistra che, impegnato a difendere quel poco che ha combinato in cinque anni di governo, non ha avuto il tempo di inventarsi una terza follia, l’arbitro della situazione. Il primo degli schieramenti vincenti che rinsavirà dalla propria follia governerà con l’appoggio del centrosinistra. Sono pronto a scommettere.
L’etica singolare dei politici
di Pier Ligi Leoni
C’è una feroce battuta di Woody Allen: «I politici hanno una loro etica. Tutta loro. Ed è una tacca al di sotto di quella di un maniaco sessuale». Io sono d’accordo con Karl Kraus quando dice che «l’aforisma non coincide mai con la verità, o è una mezza verità o una verità e mezzo». Ebbene, Woody Allen dice una mezza verità. I politici veri, quelli che non fanno politica per passatempo, o per vanità, o perché costretti dalle circostanze, o perché spinti dai familiari e dagli amici, tengono comportamenti machiavellici. Nel senso che la loro etica è funzionale alla conquista e al mantenimento del potere. Essi sentono la vocazione di mettere a posto il mondo. Impegno che è cosa buona e che fa diventare moralmente lecite le azioni utili a tale impegno. Di politici me ne intendo, non solo perché ho fatto politica (per passatempo), ma soprattutto perché sono stato per professione quarant’anni al fianco di politici non sempre di piccolo cabotaggio.
Posso dire che molti di loro erano bravi cittadini, mediamente più intelligenti dei loro elettori, buoni d’animo, generosi, pazienti. Ho stretto con alcuni di loro una fraterna amicizia anche se li vedevo fare cose che non condividevo, come sopportare pazientemente le persone moleste non per carità cristiana, ma per mantenerne o ottenerne il consenso. Li ho visti sorridere quando avevano voglia di piangere e piangere quando venivano liberati dal peso delle cariche politiche. Mi sono fatto la convinzione che i politici sono indispensabili perché gli esseri umani hanno bisogno di essere coccolati, orientati, diretti, governati, comandati. E solo pochi sono adatti a tale funzione. Il problema, almeno in democrazia, è saperli scegliere e saperli accettare. Ma quando non ci si riesce la colpa non è dei politici. Se si guardano attentamente le galline di un pollaio, si vede che ce n’è una che esce per prima all’alba dal ricovero e la stessa guida al tramonto il rientro delle altre galline. Quella è la più adatta a comandare. Qualcosa dell’istinto animale è rimasto negli esseri umani, basta prenderne atto e ragionarci un po’ sopra.
L’opinione di Barbabella
Pier Luigi dice cose interessanti anche su questo argomento. Io però alla già lunga lista delle tipologie motivazionali dell’impegno politico (non mi piace il termine “politici”, diventato dispregiativo nel clima di antipolitica artatamente creato da un complesso di centri di potere e per responsabilità dei molti che hanno interpretato la politica come affare personale e di clan) ne aggiungerei ancora una: quella che non saprei definire con un solo termine perché riguarda chi non lo fa per solo passatempo, tanto meno per vanità, e nemmeno perché costretto dalle circostanze o spinto da qualcuno.
Né lo fa perché si illude di santificare il mondo, anzi lo fa proprio perché sa bene com’è fatto il mondo e ritiene che è immorale rinunciare ai compiti che gli derivano dal possedere intelligenza e amore da spendere nel mondo. Lo fa invece per il gusto dell’impegno pubblico o perché lo sente come dovere civico, o perché sa o si illude di sapere che cosa fare per la comunità, o perché desidera di poter modificare in meglio una situazione che non va. Oppure per un mix di tutte questa cose insieme.
C’è stato un tempo non lontanissimo in cui la politica come cosa pulita, impegno positivo, tensione all’affermazione del giusto e del vero, era presente e tentava di diventare maggioritaria. Ha trovato ostacoli infiniti ed infine è stata sconfitta. Ma riconoscere che c’è stata è quanto meno doveroso. E non era pura illusione, perché ha anche ottenuto alcuni risultati non disprezzabili. Credo di poterlo sostenere fondatamente anche con riferimento alla nostra realtà. In ogni caso la tipologia di cui parlo non è spartita, si sarà più rarefatta, ma non è sparita. E tanto meno è impossibile praticarla ancora oggi.
Questo peraltro dimostra che una politica autentica non necessariamente si deve definire machiavellica. Perché il termine “machiavellico” è stato coniato in ambiente gesuitico distorcendo l’autentico pensiero del Niccolò nazionale, appunto attribuendogli una concezione della politica come pura strategia di potere. Machiavelli ne aveva un’idea tutt’affatto diversa. Ma questo ora non importa. Importa invece affermare che ci sono stati e ci sono tutt’ora concezioni e modalità del fare politica che non sono una riproduzione di tutto l’armamentario polemico che vorrebbe che ci fossero “i politici”, tutti in fondo uguali pur nelle diverse varietà e tutti senz’altro da disprezzare a prescindere. Come se poi chi li disprezza fosse diverso e migliore solo perché si sente tale e perciò anche titolare del diritto di strillare.
Le classi dirigenti sono più o meno sempre un rispecchiamento della società che le esprime. Semmai il problema della società è di adottare sistemi di selezione capaci di garantire che le scelte siano le migliori e le più utili. E quello della società italiana non è solo che un sistema di selezione non ce l’ha ma che nemmeno si preoccupa di darselo, illusa com’è che basti strillare contro i politici, attribuendo loro tutti mali, per sentirsi a posto con la coscienza. A chi la pensa così dico solo beati i ciechi e i sordi perché di loro sarà il regno che si sono meritati. Il guaio è che loro condizionano anche gli altri e che tra gli altri ci siamo anche noi.