di Pier Luigi Leoni e Mario Tiberi
ORVIETO – Da quasi 2000 anni, la Santa Chiesa Cattolica proclama i Santi, li distribuisce nel calendario e stabilisce, per i principali di essi, che il giorno della loro ricorrenza sia festa di precetto, con relativi obblighi per i fedeli, compresa l’astensione dal lavoro. Quindi nulla di strano che il 19 marzo, ricorrenza di San Giuseppe, fosse un tempo festa di precetto e, nei Paesi a maggioranza cattolica, fosse spesso riconosciuto dalla legge civile come festa equiparata alla domenica. Sennonché, in Italia, nel 1977, una legge soppresse il carattere festivo civile di alcune festività della Chiesa Cattolica, compresa la festa di San Giuseppe; e la Chiesa, con la quale la legge era stata in qualche modo concordata, spostò alle domeniche successive le solennità dell’Epifania, dell’Ascensione e del Corpus Domini, mentre tolse il carattere di festa di precetto alle ricorrenze di San Giuseppe e dei Santi Pietro e Paolo. Nel 1985 fu recuperata la solennità dell’Epifania del 6 gennaio e, limitatamente alla città di Roma, quella dei Santi Pietro e Paolo del 29 giugno.
Sempre nel 1977 una legge civile riconobbe come giorno festivo la celebrazione del Santo Patrono. Ovviamente, poiché molte comunità, come quella orvietana, avevano patroni, patrone e compatroni, e le comunità spesso non coincidevano coi territori comunali, spettava alla Chiesa dipanare le matasse e comunicare all’autorità civile, per ogni comune, quale era il patrono assegnato.
La diocesi di Orvieto preferì andare incontro al desiderio diffuso di un giorno di vacanza in più, così pescò tra i vari compatroni San Giuseppe e lo comunicò all’autorità civile come patrono del comune di Orvieto. Infatti, se si fosse attenuta alla tradizione e avesse comunicato come patrona Maria SS. Assunta in Cielo, il popolo orvietano si sarebbe giocato un giorno in più di festa e di vacanza scolastica.
A nessuno venne in mente di pescare San Pietro Parenzo, il cui nome sul calendario figura il 21 maggio in mezzo a una ventina di Santi e di Beati. In effetti San Pietro Parenzo è stato sempre un po’ bistrattato dalla Chiesa, fin da quando il papa Innocenzo III lo mandò, giovanissimo, nel 1199, a liquidare gli eretici in Orvieto. E, dato che quegli eretici, sebbene gli Orvietani li chiamassero sprezzantemente Patarini (vale a dire “straccioni”) erano in realtà i risolutissimi Càtari (vale adire i “puri”), infiltrati nella classe agiata, il giovane podestà, che li aveva fronteggiati senza ferocia, ma con multe salate e confische, finì assassinato. Al giovane martire, divenuto molto caro agli Orvietani, che da sùbito lo venerarono come santo, Innocenzo III, forse proprio per non dar soddisfazione a una città della quale non si fidava, non conferì alcun onore. Si dovette aspettare il 1879 perché Leone XIII, pressato dal Vescovo di Orvieto, ufficializzasse la venerazione di San Pietro Parenzo. Ma una “colpa” ha dovuto anche scontare il nostro martire: quella di essere stato designato da Pio XI come patrono dei podestà istituiti nei comuni dal regime fascista.
In ogni modo San Giuseppe, a parte il giorno di vacanza, ha tutti i numeri per riempire il cuore degli Orvietani, come riempie da un paio di migliaia di anni i cuori di tutti i cristiani.