Gli episodi di violenza e di degrado civile con al centro la scuola e i giovani ci indicano oggi la sfida più grande. Ma saremo in grado di raccoglierla?
di Franco Raimondo Barbabella
“Abbiamo una costituzione che non emula le leggi dei vicini, in quanto noi siamo più d’esempio ad altri che imitatori. E poiché essa è retta in modo che i diritti civili spettino non a poche persone, ma alla maggioranza, essa è chiamata democrazia […] Senza danneggiarci esercitiamo reciprocamente i rapporti privati e nella vita pubblica la reverenza soprattutto ci impedisce di violare le leggi, in obbedienza a coloro che sono nei posti di comando, e alle istituzioni, in particolare a quelle poste a tutela di chi subisce ingiustizia o che, pur essendo non scritte, portano a chi le infrange una vergogna da tutti riconosciuta. […] Riuniamo in noi la cura degli affari pubblici insieme a quella degli affari privati, e se anche ci dedichiamo ad altre attività, pure non manca in noi la conoscenza degli interessi pubblici. Siamo i soli, infatti, a considerare non già ozioso, ma inutile chi non se ne interessa, e noi Ateniesi o giudichiamo o, almeno, ponderiamo convenientemente le varie questioni, senza pensare che il discutere sia un danno per l’agire, ma che lo sia piuttosto il non essere informati dalle discussioni prima di entrare in azione.” (Tucidide, Guerra del Peloponneso, II, 37-41)
È questa una parte del “Discorso agli Ateniesi” che, secondo quanto riferisce Tucidide, Pericle pronunciò nel 430 a.C. in onore dei caduti del primo anno della guerra del Peloponneso. Qui non interessa la discussione annosa se quella di Pericle fosse una democrazia in senso pieno e tanto meno se fu proprio la politica periclea delle demagogiche elargizioni a generare la corruzione di quel sistema. Quello resta comunque il modello originario della democrazia. Dunque interessa piuttosto altro. Ritengo infatti che, come in altri momenti, anche oggi si può prendere a riferimento quel discorso per sottolineare la distanza che corre tra un modello e la realtà, in questo caso tra l’idea originaria di democrazia e la sua realtà attuale, quella di un sistema democratico moderno che si ritiene ed è esponenzialmente più evoluto di quello antico sul piano dell’elaborazione teorica e formale e che però, alla prova dei fatti, dimostra di non saper nemmeno reggere il confronto proprio con quel modello da cui ha preso avvio la sua storia. Questione che non so quanto possa interessare e che però dal mio punto di vista non è di poco conto. Ma vediamo più da vicino.
Ciò che mi turba particolarmente e mi fa temere l’allontanamento strutturale del nostro sistema sociale e politico-istituzionale dalla sua ispirazione originaria lungo la china del degrado irreversibile non è tanto e solo lo strampalato andamento di una allucinante campagna elettorale o la povertà e strumentalità ormai lunga del dibattito pubblico, l’imperversare delle fake news, l’immoralità del moralismo peloso, e nemmeno addirittura il risorgente (e certo preoccupante) scontro tra gli opposti estremismi, quanto piuttosto l’allentamento dei vincoli sociali e in questo quadro l’impoverimento culturale e direi lo sgretolamento etico che colpisce fasce sempre più larghe della nostra gioventù. Ne sono esempio evidente i numerosi episodi di violenza nelle scuole di mezza Italia e ne è testimonianza ancor più lampante la recente aggressione “per gioco” da parte di una banda di ragazzini ad un anziano che camminava a fatica appoggiato ad un bastone.
Io penso che la gratuità della violenza di giovanissimi contro una persona anziana debole e indifesa sia la spia più probante del degrado di una società malata. E malata non per ragioni economiche, non perché impoverita dalla crisi, ma perché in via di disgregazione nelle sue strutture ideali portanti, cioè nel suo sistema di valori, e dunque necessariamente anche nel suo sistema di educazione morale e civile. Per questo dico che siamo sideralmente lontani dal modello della democrazia periclea: non ci preoccupiamo più di essere un modello per gli altri né dell’autorevolezza delle istituzioni, curiamo quasi esclusivamente gli affari privati e ci disinteressiamo volentieri di quelli pubblici fregandocene altamente dei beni comuni, e quanto alle discussioni meglio stenderci sopra un velo pietoso sia per i contenuti che per i metodi. Stanno diventando normali comportamenti abnormi perché la crescita esponenziale delle possibilità di comunicazione diventa un moltiplicatore di esagerazioni. Sulle esagerazioni poi ci campa un esercito di persone, tra chi lo fa di professione, tra chi lo fa per diletto e chi per malattia mentale. Il risultato è però che tutto diventa normale. E così, senza che ce se ne accorga finché non succede qualcosa di eclatante, il degrado procede e si consolida.
Il punto critico che riassume tutti gli altri, come ho detto, riguarda il sistema educativo, che non è da intendere solo come la scuola nelle sue diverse articolazioni né solo come la famiglia nelle sue diverse conformazioni, e né solo il sistema politico o quello giudiziario o quello della comunicazione ognuno preso per sé, ma come il sistema socio-culturale complessivo che accompagna la crescita dei giovani.
Qui si è verificata una rottura preoccupante davvero, quella tra un mondo adulto sempre più in preda ad impulsi estremi, esageratamente protettivo nello stesso momento in cui si tiene platealmente lontano dalle responsabilità, comunque sempre pronto a riempirsi la bocca di “futuro delle nuove generazioni” purché questo non significhi mettersi in discussione, e un mondo giovanile spesso difficile da decifrare nei suoi bisogni profondi e nei suoi orientamenti concreti, ma certamente privo di obiettivi che impegnano, in difficoltà nella ricerca di punti di riferimento e di modelli positivi, chiuso di conseguenza nelle solitudini e nelle insicurezze individuali e attratto per logica compensativa dalle asfittiche avventure della vita di gruppo.
Ho tanto l’impressione che la priorità di oggi, per ciò che ho detto finora, sia dunque non solo un complesso di piccoli o grandi cambiamenti in settori specifici di cui ognuno può parlare e di cui ci si può e certamente ci si deve far carico, ma soprattutto la ripresa di una riflessione sulle questioni di fondo, che sono le ragioni stesse dell’essere società, e più propriamente società civile sia perché deposito di una storia lunga, travagliata ma positiva, e sia perché capace, ieri effettualmente (ad esempio con l’Umanesimo-Rinascimento) come l’Atene del discorso di Pericle e oggi potenzialmente, di essere esempio per gli altri. Un compito arduo, difficile e incerto nei possibili esiti, però con un punto molto chiaro: non lo possiamo affidare ad altri.
Mi chiedo: ci può essere un compito più alto ed esaltante, oltre che più urgente, di questo? Ma mi chiedo anche: a chi sensatamente possiamo rivolgere questa domanda con la speranza di trovare orecchie disposte all’ascolto? E mi rispondo: a nessuno a cui delegare il compito, perciò a noi stessi e ai nostri concittadini. Credo cha da qui non si possa scappare. Se qualcuno la prende come una predica, pazienza. Io così la penso e così la dico.
L’opinione di Leoni
No, caro Franco. Non è questo lo stile della predica. La tua mi sembra piuttosto l’accorata riflessione di chi assiste alla crisi valoriale della società contemporanea, conosce i rimedi, ma si rende conto di appartenere a una minoranza inascoltata; o peggio, ascoltata distrattamente. Il guaio italiano è che non bastano i bravi cittadini per dare una scossa alla nazione, ma sono indispensabili “bravissimi” cittadini che sappiano dare l’esempio bonificando sia a livello locale che nazionale e internazionale le paludi in cui si stanno impantanando le democrazie. Chi si propone e si agita in questa scomposta campagna elettorale, assumendo impropriamente il metodo ciarlatanesco della propaganda commerciale, pensa di rivolgersi a un pubblico abbrutito dalla pubblicità televisiva. Il guaio è che non ha tutti i torti. Certo, da un popolo che ancora compra i divani della Poltronesofà, quella degli artigiani della qualità, c’è da aspettarsi di tutto. Ma dopo il voto, che abbasserà le penne a molti galletti, speriamo che i politici seri trovino un po’ più di spazio.
Consiglio non richiesto a chi dubita se e come votare
di Pier Luigi Leoni
La prima delle sette opere di misericordia spirituale raccomandate dalla Chiesa è “consigliare i dubbiosi”. Che dire allora della propaganda elettorale che cerca di dare consigli sul se e come votare al vasto pubblico dei dubbiosi, me compreso? Dobbiamo ascoltarla in religioso silenzio? La prendo da lontano autocitandomi: «Duecentomila anni fa, una di quelle scimmie che camminavano erette sugli arti inferiori, svegliandosi una mattina nel suo rifugio su un albero della Rift Valley africana, si pose la domanda se era meglio andare a caccia o a pesca. In quel momento nacque il dubbio e nacque l’uomo. All’istinto di conservazione dell’individuo e della specie s’era aggiunta una complicazione, o, se si preferisce, una ulteriore evoluzione. Colui che ebbe il primo dubbio non aveva a chi aggrapparsi, se non ai propri consanguinei che, essendo altrettanto evoluti, covavano i loro dubbi. Nacque cosí il confronto sui dubbi e la distinzione tra la funzione del dubitante e quella del consigliere. Soprattutto proliferarono due categorie di consiglieri: da una parte i consiglieri fraudolenti, gli sciamani, gli stregoni, i vaticinatori, i visionari e i maghi che, in preda a un’ammirata follia o semplicemente dotati di seducente scaltrezza, campavano e campano a spese dei dubbiosi; dall’altra i consiglieri amorevoli e disinteressati, i profeti, i risvegliatori delle coscienze, i confessori dotati di grande empatia, nonché uomini di scienza, medici e studiosi della psiche votati al bene dell’umanità, a curare le malattie dell’anima e del corpo coi giusti consigli».
Giudicate voi a quale categoria appartengano coloro che ci riempiono la testa con la loro propaganda politica. Il mio consiglio non richiesto è di togliere l’audio quando compaiono in televisione e di guardare le loro facce.
L’opinione di Barbabella
Bella questa ricostruzione in stile mitologico dell’uscita dallo stato di natura con la nascita del dubbio e, con esso, la nascita stessa dell’uomo in senso proprio. Il dubbio dunque come connotato specifico di umanizzazione, non un dato ma una conquista, peraltro da intendersi come cura permanente di sé, pena – si intuisce – la perdita della capacità critica e della libertà di scelta.
E così, in presenza di dubbio, e con esso di pensiero e possibilità di scelta tra alternative, non possono non esserci anche i consiglieri, si potrebbe dire forse più propriamente i persuasori (oggi, com’è noto, si sono affermati dei veri professionisti, gli “influencer”), inevitabilmente di due tipi: quelli buoni (i consiglieri disinteressati) e quelli cattivi (i consiglieri fraudolenti). Che peraltro sanno quanto si possa lavorare efficacemente, sia in positivo che in negativo, sul dubitante quando questa straordinaria facoltà del dubitare da attiva sia diventata passiva.
D’accordo dunque con Pier: il consigliere buono deve dissuadere il dubitante addormentato dal seguire il canto delle sirene che i numerosi consiglieri fraudolenti diffondono attraverso i mass media e i social. Unico dubbio: ma chi c’ha il dubbio addormentato, distinguerà il consiglio del consigliere buono dal canto ingannatore del consigliere fraudolento? O meglio, sarà disposto/a costui/costei a rinunciare al sapore agrodolce dell’inganno, che a cose fatte consente anche l’aggiunta di piacere del lamento per l’inganno subito, unico risarcimento consentito al cittadino impotente?