Le “mele marce” grillline.
di Pier Luigi Leoni«Mi meraviglio che tu ti meravigli» diceva Dante Duranti ai veri e finti ingenui. C’è da meravigliarsi che una emittente televisiva di proprietà della famiglia Berlusconi, nel momento più opportuno del match elettorale, sferri un pugno pesante allo stomaco del movimento grillino? C’è da meravigliarsi che l’attuale capo politico del movimento accusi il colpo e, con evidente stordimento, sia costretto a riversare sulle “mele marce” gli strali del moralismo lanciati un giorno sì e l’altro pure contro gli avversari politici? C’è da meravigliarsi che l’emittente televisiva e i giornali berlusconiani vadano alla scoperta di altre “mele marce” e allarghino l’inchiesta alla maldestra e allegra documentazione dei rimborsi spese da parte dei parlamentari grillini? C’è da meravigliarsi che non basta illudersi di essere “diversi” per resistere alla tentazione di tenere per sé i soldi propri, promessi in donazione per volontà indotta dal bizzarro fondatore del movimento? C’è da meravigliarsi della forza del dio denaro?
Nessuna meraviglia, quindi, ma basta rifarsi alla saggezza di Pietro Nenni: «A fare il puro c’è sempre qualcuno che ti epura».
L’opinione di Barbabella
Considero le parole di Pier Luigi sull’argomento praticamente definitive. Aggiungo solo che tuttavia può essere giustificato meravigliarsi di quella dichiarazione di un deputato pentastellato che riferisce di una sua meravigliosa meraviglia: aver scoperto, una volta eletto, che il Parlamento non è luogo di passeggiate ma di lavoro. Non è meraviglioso scoprire che qualcuno ancora scopre l’acqua calda? Esprimo così l’opinione più meravigliata ma anche più sintetica della mia vita.
Si sappia almeno questo, che se il motore non va, non va nemmeno la macchina
di Franco Raimondo BarbabellaRiferisco di una sensazione che ho provato anche altre volte. Capita che, se in mezzo a manifestazioni prolungate e vaste di squallore intellettuale ti imbatti in posizioni diciamo “da schiena dritta”, allora ti sembra di respirare un po’ di aria buona e quelle posizioni ti possono addirittura apparire perle di speranza e di coraggio. Mi è accaduto domenica 11 febbraio leggendo la prima pagina del Corriere della sera. C’erano due pezzi interessanti: l’articolo di fondo “Ma dov’è la classe dirigente?” dell’ex direttore Ferruccio De Bortoli e la rubrica domenicale di Aldo Grasso “Quando l’incompetenza diventa merito”.
1. Ferruccio De Bortoli propone il ragionamento che rapidamente sintetizzo. “Una sensazione strana in questa forse inutile campagna elettorale. Con rare eccezioni, lo sguardo prevalente è rivolto al passato. Nella costante dilatazione del presente, il futuro non esiste.” “Inutile prendersela solo con i populisti di varia gradazione. Fatica sprecata. La stampa ha le sue gravi responsabilità, d’accordo. Ma c’è una parte consistente della classe dirigente o supposta tale, una élite industriale e finanziaria, che tace, assiste, ma soprattutto preferisce tessere relazioni vecchie e nuove anziché avere il coraggio di dire in pubblico ciò che sostiene in privato.” “Mostrano nei confronti dei partiti una falsa neutralità in attesa di capire chi vincerà, se vincerà. … Sono italiani a corrente alternata. Solo quando fa loro comodo nel proteggere relazioni e rendite di posizione.” “Sanno quello che conterà in futuro, da che cosa dipenderanno lavoro e benessere, nel mezzo di una rivoluzione digitale che cambia ogni paradigma di vita. … Ma nessuno avrà nulla da dire, immaginiamo, sul nuovo contratto della scuola che mortifica il merito. Tanto i figli studiano all’estero.”
2. Del pezzo di Aldo Grasso invece riproduco solo la prima parte, che è quella che si intreccia con il mio ragionamento. Eccola: “Elogio della competenza. Una democrazia avanzata funziona bene se ognuno svolge il proprio lavoro con passione e competenza. E invece ci troviamo di fronte a troppi buoni a nulla, capaci però di tutto. All’ex Iena Dino Giarrusso, in corsa alla Camera con i pentastellati, che pretendeva un confronto sui vaccini, il prof. Roberto Burioni ha dato questa risposta esemplare, definitiva: «Se parliamo di vaccini ci sono due possibilità: lei si prende laurea, specializzazione e dottorato e ci confrontiamo. Oppure – più comodo per lei – io spiego, lei ascolta e alla fine mi ringrazia perché le ho insegnato qualcosa. Uno non vale uno».
Non so se si possa parlare di ragionamenti definitivi, non essendoci nella realtà cose di tal natura, ma certo questi in qualche modo ci si avvicinano. La prima questione riguarda le élites. Se ne è fatto un gran parlare: il loro egoismo, il loro porsi come caste, il rancore e la ribellione degli esclusi, per cui il populismo, ecc. ecc. Ma siamo sicuri che i comportamenti reali (non le chiacchiere) dei ceti di comando denunciati da De Bortoli (occhi girati al passato, attenzione ai propri privilegi, niente visione prospettica, indifferenza alla reiterata negazione del merito) ci parlano di élites e di classe dirigente? O la domanda giusta non è più questa: ma dov’è la classe dirigente?, quanto piuttosto quest’altra: quali sono oggi le vere élites, i nuclei fondanti la classe dirigente necessaria al Paese?
Anche perché – ed è la seconda questione generale, che di fatto è espressa nella rubrica di Aldo Grasso – non ci possono essere élites degne di chiamarsi classe dirigente senza competenze. Il principio grillino “uno vale uno” ne è appunto la conferma, semplicemente perché le competenze derivano dal sapere acquisito con lo studio e da esperienze sostenute dalle capacità e dalle qualità personali, con il che si stabiliscono necessariamente differenze anche radicali tra gli individui, gerarchie di saperi e ruoli sociali non intercambiabili.
La società dell’ “uno vale uno” sarebbe una società piatta, il risultato di una linea pazzoide di egualitarismo pauperista (leggasi per diletto quanto dice Massimo Colomban, che non è certo uno qualsiasi, a proposito degli orientamenti reali di Beppe Grillo sul Corriere di giovedi 15). Una società addirittura peggiore di quella immaginata dal comunismo radicale. Negazione in radice della natura stessa dell’individuo e della democrazia.Ma entrambe queste questioni sono riassunte dalla terza, che vi è sottesa, e che è stata posta in rilievo ancora una volta dalle vicende che concernono la scuola. Si tratta del rinnovo del contratto di lavoro del comparto scuola-AFAM-Università recentemente firmato da governo e parti sociali, caratterizzato da due aspetti convergenti: da una parte la negazione del merito e con ciò anche della carriera del personale, e dall’altra il ripristino del controllo sindacale sulle decisioni.
Qui davvero facciamo punto, e arriviamo al nodo ineludibile. Che è il degrado civile cui stiamo assistendo, aggravato dalla sensazione che non si capisce se, come e in quali tempi ne potremo uscire. Perché, se quella che si ritiene classe dirigente è indifferente alla negazione del merito e dunque alle differenze di sapere, per cui lascia correre idee distruttive come “uno vale uno”, perché uno studente o un genitore o non so chi non dovrebbe sentirsi autorizzato a sostituirsi ai docenti e anche a scagliarsi in modo violento contro di essi quando per qualsiasi motivo c’è qualcosa che non gli piace? Se il merito non conta e “uno vale uno”, io sono in ogni caso come te, e allora tu docente non ti azzardare a rimproverarmi o a dare a me studente questo voto che non mi piace, oppure tu docente non ti azzardare a rimproverare mio figlio perché tu per me non sei nessuno, non devi educare, l’educazione è affar mio, e se me li fai girare ti picchio. Alla faccia del patto educativo! Ma in un clima così, che senso ha parlare di scuola?
Qualcuno pensa che sto esagerando?, che faccio deduzioni azzardate? Beh, costui/costei sappia che nelle dinamiche sociali tutto si tiene ed è valida anche qui, come per la meteorologia, la teoria del caos, secondo cui il battito d’ali di una farfalla dalle nostre parti può provocare una tempesta in Australia. Sdoganare tutto, distruggere le differenze legittime, eliminare i criteri di giudizio, affermare che non ci sono scale di valori e che non sono necessarie priorità, affidarsi all’improvvisazione, assoggettarsi alla capacità di strillo, tutto questo non può non essere la semina che sconvolge ruoli e funzioni, ciò che dà la falsa illusione che tutto è intercambiabile, che per definizione tutto è possibile per tutti.
Insomma, non vorrei veder sostituito il motto sessantottino “la fantasia al potere”, di per sé piuttosto equivoco, però se non altro allegro, con il precedente, lontano e tristo, “tutto il potere al popolo”: sarebbe piuttosto scioccante. Ma se addirittura si santificasse quest’altro (che, pur avanzando nella realtà, non è tuttavia ancora formalizzato), “tutto il potere agli improvvisati, ignoranti e incompetenti”, allora attrezziamoci alla svelta per una rapida evacuazione, perché alcuni di noi, forse anche parecchi, non ce la faremmo ad adattarci.
Tuttavia, come ho detto all’inizio, la speranza non muore se nuclei di élites resistono nelle sacche dei competenti che hanno il coraggio di esporsi. E allora ancora avanti, anche se per quanto non saprei dire. Però almeno si sappia questo, alla Bersani, che se il motore non va, non va nemmeno la macchina.
L’opinione di Leoni
C’è chi dà tutta la colpa al nichilismo, per cui l’umanità globalizzata deve scegliere tra Nietzsche e Dostoevskij, tra la liberazione dai valori e la loro difesa. Ma la paccottiglia di ateismo, materialismo, scientismo, epicureismo, misticismo orientaleggiante e divinizzazione della madre terra in cui ci troviamo a vivere ha ben poco a vedere con la disperata grandezza di chi annunciò la morte di Dio o con la fede del grande scrittore russo, che ripose in Dio tutte le speranze di senso della vita e di vita sensata dell’umanità.
Chi appartiene alle classi privilegiate tende a mantenere i privilegi, gli altri tendono a incazzarsi. Ma rimango persuaso che i valori respirino sotto la melma, come certi pesci che vanno in letargo nella savana quando arriva la siccità. Cito Immanuel Kant, tradotto da qualcuno che sa rendere chiaro in italiano ciò sarebbe impossibile, non solo a me ma anche alla gran parte dei tedeschi, ricavare dalla pesante prosa del grande filosofo: «Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza… »Franco mi perdonerà se sono entrato nella sua materia, ma la colpa, anzi il merito, è pure suo e del suo kantismo.
È su tale ragionamento che baso la speranza di un emergere, dopo le prossime elezioni, di coscienze e intelligenze politiche che mettano in ombra i chiacchieroni, i narcisisti, gli ipocriti, gli avventurieri e gli ignoranti presuntuosi.
In Italia ci sono tante persone buone, intelligenti, generose e positivamente visionarie come fu Adriano Olivetti. Spero che trovino spazio.
La legge elettorale sembra fatta apposta, nonostante le male intenzioni di chi l’ha votata, per sputtanare coloro che oggi vociano nei comizi, nelle interviste e nelle televisioni. Rumore effimero di uno sciame d’insetti.
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ORVIETO –Venerdì 20 dicembre, nella Sala consiliare si è tenuto il consueto incontro tra la Giunta e i...