Ma che meraviglia questo appuntamento elettorale che si avvicina!
di Franco Raimondo Barbabella
Ma che spettacolo questa fase della nostra storia esaltata da una originalissima campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento! Intanto ci si è arrivati al termine di un periodo tra i più arzigogolati da quando settant’anni fa è entrata in vigore la Costituzione repubblicana. Con i protagonisti che subito descrivo.
Un intraprendente ragazzotto di Rignano sull’Arno che, diventato presidente del Consiglio dei ministri sull’onda di una foga rottamatrice che tanto piace al Paese dei rivoluzionari dallo strillo facile, perde un referendum fortemente voluto su una riforma istituzionale di per sé necessaria ma fatta con i piedi e proposta peggio ad un Paese superstressato e superdistratto. E non contento, impone una riforma elettorale (che porta il nome del suo fido Rosato) che è fatta apposta per suicidare il partito di cui resta segretario e che viene gestita con un’alleanza fatta controvoglia dopo aver affermato a lungo di voler vincere da solo non avendo bisogno di spartire il potere con altri. Un suicidio molto probabile.
Un imprenditore di successo che decenni fa è entrato in politica per difendere le sue aziende, ha fatto più di una volta il presidente del Consiglio con successi e insuccessi, è stato pluriindagato, incappando alla fine in una condanna e risultando così impossibilitato a presentarsi candidato. Dopo di che, magia della politica, torna protagonista alla grande, rilancia il suo partito, fa un strana coalizione con cui rischia di vincere o di andare comunque vicino alla vittoria. In realtà tutto dice che invece spera di non vincere per non stare con un alleato buono per la battaglia elettorale ma non per governare.
Un comico e un’azienda privata che portano un movimento ad essere elettoralmente forte pur essendo pieno zeppo di gente improvvisata e incompetente ed equivoco al limite della turlupinazione e dell’antidemocrazia. Ad un certo punto la coppia lancia un ragazzotto (anche lui) in giacca e cravatta ma senza arte né parte, debole con i congiuntivi e la geografia ma disposto a governare ad ogni costo, e per questo a fare tutti i giri di valzer possibili (dal no euro al si euro, dal no alleanze al chi ci sta è benvenuto, ecc. ecc.). Al momento, pare che nessuno dei più affini (Lega e L&U) sia disponibile ma, dato il clima di ipocrisia e di empirismo arrivista imperante, tutto è lasciato al si vedrà. Per di più il comico fondatore nel bel mezzo della campagna elettorale si stacca platealmente, qualcuno dice per noia, qualcun altro dice per riservarsi di tornare in scena quando gli pare, dopo aver visto che cosa succede. Insomma, una roba che più italiana, e più lontana dal cambiamento proclamato e predicato, proprio non si può.
Ci sarebbe da dire degli altri, piccoli o estremi, ma non si aggiungerebbe granché a questo panorama. Dato di fatto: non emerge al momento nessuna ipotesi di soluzione attendibile, né di maggioranza di governo, né di efficienza e lungimiranza programmatica, tanto meno di visione di un futuro ambizioso e possibile. Le certezze riguardano solo la discutibilità dei comportamenti, di partito, di schieramento, e individuali. E anche le prospettive locali, che come al solito appaiono segnate dalla certezza della marginalità e del furbismo inconcludente.
A quanto già detto va aggiunto appunto lo spettacolo, più …. di sempre, delle candidature, una contrattazione di posti garantiti, che poi garantiti sono solo chissà, che fa rimpiangere il manuale Cencelli. Una penosa lista di aspiranti in attesa, di gente che non ha vergogna di proporsi ben sapendo di non avere titoli dignitosi per svolgere compiti impegnativi e delicati. Una roba che la dice lunga su come si sceglie una classe dirigente. Alla faccia di tutti quelli che pensano da tempo (da ultimo abbiamo sentito pochi giorni fa Milena Gabanelli) che questo sia il primo, vero, grande problema, del Paese.
E a livello locale? Pare che tutto questo non ci riguardi. Distratti da altro, queste vicende tutto sommato sono vissute dai più solo come una rottura, una deviazione dai problemi di immediata percezione. E che vuoi che sia se alle regionali non ci siamo più! E che vuoi che sia se il Parlamento lo vediamo con il binocolo! Meglio che facciamo le cose nostre, litighiamo su tutto e protestiamo a parole. Soprattutto, lasciamo fare a quelli che sotto sotto trattano e decidono sulle cosette che ci riguardano, anche se poi magari curano più le cose loro che le nostre, tanto noi che possiamo fare di più? In fondo è stata un’epoca fantastica quella in cui venivano qui i big o semitali essendo il nostro un collegio sicuro, o no? Non essendoci più queste presenze, via, meglio che non ci sia nessuno. Evviva l’isolamento! E poi meglio non contare niente che far contare qualcuno dei nostri: ci mancherebbe altro che ci sia uno di noi che vale più di noi!
Scrivo mentre la bagarre delle candidature è ancora in corso. Mi si dice che qualcuno si è proposto ed ha subìto l’onta del rifiuto, che qualcun altro si è proposto in un partito diverso dal proprio ed è stato accettato (bah!), mentre altri hanno rifiutato l’offerta perché, avendo avuto una chiamata da fuori città e da partito diverso da quello di appartenenza (pare per superare i veti reciproci per le candidature), hanno letto la cosa come strumentale. Ma va! Magari poi ci sarà anche qualcuno che viene messo lì per bellezza ed è contento per questo. Insomma, una cosa così, una roba di questi tempi grigi, una situazione che fa venire su dal profondo dell’anima l’espressione eduardiana “ha da passa’ ‘a nuttata”. Però è anche d’obbligo domandarsi: “Passerà?, quando passerà?”
L’opinione di Leoni
Temo che quando passerà la nottata io non ci sarò più da un pezzo; e non ci saranno più né i miei figli né i miei nipoti, né tutte le altre persone che mi stanno a cuore. Perché gli Italiani siamo stati fatti così da una storia plurisecolare e, nonostante le accelerazioni del mondo contemporaneo, ci vorrà molto tempo per liberarci dalla incrostazioni delle invasioni barbariche e di tutte le dominazioni che abbiamo dovuto subire, pur conservando la prosopopea di essere gli eredi di quel fenomeno grandioso che fu Roma, una città che ancora c’è e che possiamo visitare quando vogliamo. Lì ci riempiamo gli occhi di magnificenze cosparse su sette collinette. “O Sole che dai la vita, che con il carro lucente mostri e celi il giorno, e che vecchio e nuovo risorgi, possa tu mai vedere nulla più grande della città di Roma”, cantava il poeta Quinto Orazio Flacco più di duemila anni fa. Quando penso a ciò che siamo e a ciò che potremmo essere se avessimo la sensibilità democratica degli Inglesi, la sensibilità sociale degli scandinavi, la disciplina dei tedeschi e l’orgoglio degli Spagnoli, mi cascano le braccia. Ma poi mi ricordo quello che mi diceva mia nonna quando mi lamentavo di qualsiasi cosa che mi faceva soffrire: «Pensa a quelli che stanno peggio». Così penso ad altri popoli che si affacciano sul grande lago chiamato Mare Mediterraneo. Penso ai Greci, ai Turchi, agli Egiziani, ai Tunisini e ai Libici. Penso ai millenni di storia durante i quali ci siamo incontrati e scontrati. E mi torna in mente il verso con cui Giacomo Leopardi conclude “L’infinito”: «E il naufragar m’è dolce in questo mare».
Basta donare il superfluo ai poveri?
di Pier Luigi Leoni
San Tommaso d’Aquino, con la chiarezza tipica del latino, non scalfita dalla traduzione, ha scritto: «Quello che un uomo ha in più appartiene per diritto naturale a chi è povero per il suo sostentamento; il pane che avanza è di chi ha fame e i vestiti in più sono di chi non ha da coprirsi». L’americano Peter Singer, filosofo della scienza, prende spunto dall’affermazione di San Tommaso per una lunga riflessione. Dice Singer che abbiamo il dovere morale di aiutare chi ha bisogno sacrificando ciò che non è essenziale per la nostra vita e quella di chi dipende da noi. Ce lo impongono il senso della giustizia e il sentimento della compassione, cioè la stessa nostra natura di esseri umani. L’ideale, sarebbe che ciascuno desse tutto quello che non gli serve. Ma la nostra concezione della morale è ben altra. Condanniamo e mettiamo in galera chi ruba (anche per fame) ma non c’è nessun giudizio morale per chi si circonda di cose inutili senza occuparsi di chi muore di fame. Troviamo varie scuse per sottarci a questo obbligo morale. La più ingiusta e maligna è incolpare i poveri delle loro povertà. La più ipocrita è cavarsela con l’affermazione che dovrebbero essere i governi a risolvere il problema dei poveri; ma sbraitiamo se il governo ci aumenta le tasse. Vi sono organizzazioni internazionali molto serie e affidabili, comprese le congregazioni e associazioni d’ispirazione cristiana, che raccolgono e gestiscono fondi pubblici e privati per alleviare le sofferenze dei poveri. Vi sono donatori di beni e di denaro in piccolo e in grande. Tutti costoro sono meritevoli, anche se in essi può prevalere il desiderio di comprarsi la tranquillità di coscienza continuando a vivere come prima, o l’accortezza di investire in reputazione, come capita soprattutto alle aziende. Ma la morale di Singer, compresa quella di San Tommaso e di due millenni cristianesimo, non è propriamente quella, ben più radicale, insegnata da Gesù. I Vangeli sono una miniera inesauribile e ciò che solo i mistici avevano intuito è reso chiaro dall’analisi dei testi. Nel passo di San Luca, tradotto per secoli dal greco in latino con “quod vobis superest date pauperibus” e dal latino all’italiano con “il superfluo donatelo ai poveri”, Gesù dice ben altro. Egli, invitato a pranzo da un fariseo, fu da costui contestato perché, prima di mettersi a tavola, non aveva fatto le prescritte abluzioni rituali. Gesù gli rispose: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro». Cioè date in elemosina ciò che è dentro il bicchiere e il piatto, condividete ciò che state mangiando e bevendo. Ciò è umanamente possibile solo se l’amore per i poveri è assoluto, come è assoluto quello della mamma che si leva il pane di bocca per sfamare i figli. Bill Gates ha donato 30 miliardi di dollari per salvare i bimbi poveri del mondo da malattie letali, me gliene restano 54. Zell Kravinski, un ricco americano, circa trent’anni fa, vendette le sue proprietà e donò 45 milioni di dollari ai poveri ritirandosi a vivere in una casa modesta. Non solo, ma donò uno dei suoi reni a qualcuno che non conosceva, spiegandosi così: «Se uno dona un rene ha una probabilità su quattromila di morire. Non farlo vuol dire considerare la mia vita quattromila volte più importante di quella di uno che di quel rene ha bisogno per tornare a una vita normale».
Certo, si può opinare, come molti opinano, che Gesù Cristo fosse un esaltato e che sono ben altre le soluzioni per fare del nostro pianeta un luogo migliore. Ma una Madre Teresa di Calcutta e uno Zell Kravinski qualsiasi possono insinuare il dubbio che gli esaltati siano gli altri.
L’opinione di Barbabella
Si certo, chi è l’esaltato? C’è forse un criterio assoluto per giudicare? Pier Luigi propende per una scelta radicale, un’adesione al messaggio evangelico radicale. I poveri prima di tutto. Ma come si creano i poveri: per destino?, per scelta individuale? per circostanze particolari comunque individuali? per meccanismi sociali di sfruttamento? per decisione strumentale divina? Dietro queste domande ci sono altrettante teorie che poi si trasformano in posizioni politiche. Sul punto in questa sede non vado oltre, ma in ogni caso mi pare chiaro che la povertà non è frutto del destino cinico e baro, e sia a livello individuale che sociale è fenomeno estremamente complesso.
Ad oggi né in termini di teoria né in termini di bontà e di generosità individuale si è potuta registrare una soluzione stabile del problema. Non lo hanno fatto nemmeno le rivoluzioni nate in nome di un ideale di uguaglianza. Anzi, proprio quelle hanno dimostrato che l’uguaglianza imposta si trasforma in ingiustizia più grave di quella che si era proclamato di voler eliminare.
Restano dunque in piedi le politiche del gradualismo riformista che ad oggi si sono dimostrate le più efficaci. E resta l’azione individuale tendente ad alleviare sofferenze individuali. Dunque una scelta personale. Tutti i ricchi sanno che esistono i poveri. Per seguire fino in fondo l’ideale evangelico radicale dovrebbero privarsi di tutta la loro ricchezza. Ma vuol dire che debbono privarsi anche dei meccanismi che la producono? Se fosse così e se tutti facessero così avremmo finalmente risolto il problema semplicemente perché non ci sarebbe più alcuna distinzione, essendo tutti tornati allo stato di natura. Ideale forse affascinante, ma difficile da fa diventare anche solo un sogno. Sinceramente sono perplesso.