Invito a sperare nel silenzio
di Pier Luigi LeoniPer fortuna, oltre alle troppe persone che parlano troppo o scrivono troppo, vi sono persone che stanno in silenzio e riflettono. Costoro sono preziosi soprattutto nell’incertezza di una crisi epocale come quella che stiamo vivendo: crisi della politica, crisi dell’economia, crisi delle idee e, soprattutto, crisi dei valori. Non ci resta altra speranza che la bufera, esaurita la sua forza distruttiva, si plachi e dal silenzio emergano idee che, nella nostra prostrazione, non eravamo stati in grado di immaginare. Chiedo aiuto, per esprimere il mio stato d’animo, al filosofo contadino Gustave Thibon (1903-2001).
«Quando giudicate, sentenziate, recriminate a proposito di avvenimenti politici e vi si dimostra l’inutilità del vostro discorso, la vostra risposta è immediata: “Ahimè! non posso farci nulla”. E allora tacete. Là dove non potete agire, astenetevi dal parlare. L’ora è gravida di contraddizioni e di tenebra; ignoriamo tutto dell’avvenire. Una sola cosa ci si impone con immediata evidenza ed è che occorre risalire la china e tornare a vivere.
Il nostro unico dovere è di ricreare, di riunire le nostre forze, di preparare, attraverso l’inverno che ci stringe, la nostra rinascita. È tempo di germinazione, di incubazione. Ora, chi dice germinazione, dice anche attesa, e chi dice attesa dice anche silenzio. Le cose viventi si elaborano soltanto nel segreto. Le anticipazioni verbali sull’avvenire compromettono l’avvenire dell’uovo: le parole sono potenti abortivi. Il grano fa rumore germinando? Avete mai sentito cantare un uccello che cova?»
L’opinione di Barbabella
Il silenzio può essere insieme una virtù o un vizio: dipende dal fatto che sia o no una scelta, dal perché lo si sceglie e dalle circostanze in cui chi lo sceglie decide che sia questo il meglio per lui e/o per gli altri. Insomma, vale per il silenzio quello che vale per ogni altro comportamento umano, inevitabilmente portatore di complessità soggettive e oggettive.
Detto ciò, mi pare interessante questo pensiero di Gustave Thibon sul silenzio che Pier Luigi porta a conforto della sua riflessione. In effetti credo che ogni persona di buon senso debba orientarsi al silenzio quando non ha nulla da aggiungere a quanto già si sa o quando, in ragione delle circostanze, ritiene inutile o addirittura controproducente esprimere opinioni su un qualche argomento, mentre ha il dovere di parlare proponendo idee e valutazioni sensate quando la situazione a suo giudizio lo richiede.
Evidentemente vale anche per le cose politiche, rispetto alle quali la distinzione mi sembra debba essere più netta: se il silenzio significa fuga dalle proprie responsabilità, qualunque ne sia la ragione, è comunque un vizio, mentre se è condizione di meditazione per riprendere fiato e appunto “risalire la china” è di fatto una fase di ricerca e come tale anche una virtù. Resto dunque convinto che chi ha idee ed energie da spendere abbia il dovere di impiegarle produttivamente nella comunità nella quale vive, giacché la vita non è un incidente e la cittadinanza non è un peso a carico di altri capitati per caso.
Il trionfo dell’ignoranza
di Franco Raimondo BarbabellaMa che strana sensazione la società della conoscenza che produce e diffonde ignoranza! No, non mi riferisco a quella programmata, le fake news ecc., ma a quella spontanea, prodotta ed evidenziata dalla società nel suo reale funzionamento. Se manifesti quello che sai appari spocchioso, se hai vere competenze tienile un po’ nascoste altrimenti difficilmente avrai il posto che ti spetta, fai finta di niente se qualcuno dice svarioni sennò appari saputo. Sono regole non scritte, ma le senti pronunciare da tanta gente sempre più sfiduciata. Insomma, vai con l’ignoranza! D’altronde non mancano esempi illustri che ne incentivano un culto diffuso.
Naturalmente ci sono luoghi e situazioni in cui conoscenza e competenza sono ancora ritenuti a buon diritto un patrimonio che potrebbe essere speso a vantaggio di tutti. Tra questi, nonostante carenze generali e difetti individuali, la scuola e in generale la formazione. Ma certamente, fatte anche qui le dovute eccezioni, non la politica e le istituzioni. Ne vedremo e ne sentiremo ancora di fatti e di discorsi allarmanti, ma quelli dell’ultima settimana sono più che sufficienti per renderci edotti di come siamo messi. E la cosa più grave è che nella sostanza non se ne preoccupa quasi nessuno.
Attilio Fontana, esponente della Lega e candidato alla presidenza della Regione Lombardia per lo schieramento di centrodestra, per rimediare alla raffica di critiche seguite allo svarione di aver denunciato il “rischio della scomparsa della razza bianca”, se ne esce con questa dichiarazione: “Apro e chiudo una parentesi. Dovremmo cambiare anche la Costituzione comunque perché è la prima a dire che esistono delle razze”.
L’art. 3 della Costituzione così recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Non ci voleva il presidente emerito della Consulta Cesare Mirabelli per capire che quella parola in Costituzione non avalla l’idea che esistono le razze ma solo che la Repubblica respinge le politiche razziali che aveva promosso il regime fascista. Ma evidentemente è troppo pretendere da Fontana di contestualizzare il testo costituzionale. E forse per lui è troppa fatica anche leggere qualche pubblicazione scientifica, ad esempio dell’Istituto Italiano di Antropologia, accettandone poi le conclusioni.
Ma mi pare ancor più preoccupante quanto è stato capace di dire, per la disposizione mentale che vi è sottesa, il presidente del Senato e candidato di Liberi e Uguali Pietro Grasso, il quale, intervistato da Giannini su Radio Capital, a proposito di una possibile alleanza di L&U con M5s, ha detto: “Ogni valutazione sul M5s sarà fatta al momento opportuno. … Non ci sono pregiudiziali, quelle ci sono solo nei confronti della destra”. Come, come, non ci sono pregiudiziali? Ma a parlare non è il presidente del Senato, seconda carica dello Stato, garante anch’egli della Costituzione?
Si che lo è! E allora sono sacrosante le osservazioni di Emanuele Macaluso: non possono non essere considerate pregiudiziali almeno due aspetti della cultura e delle posizioni politiche esplicite di M5s, quello secondo cui uno statuto di partito vale più della Costituzione (conseguenza: cade il principio dell’elezione senza vincolo di mandato), e quello della democrazia diretta, che nei fatti si traduce nella dipendenza da un centro di potere opaco e privato e appunto contrasta in radice con la democrazia rappresentativa del nostro sistema.
Non si può pensare che Pietro Grasso non capisca quando le posizioni politiche entrano in collisione con la Costituzione. Dunque, ignoranza voluta da parte del presidente del Senato? Se così fosse, si tratterebbe della forma peggiore di ignoranza, perché si darebbe per acquisita quella normale e si aggiungerebbe ad essa la spregiudicatezza di un obiettivo di potere a cui si è disposti a sacrificare dovere e verità, una forma di togliattismo tra le più ‘sinistre’.
Credo che non ci sia bisogno di aggiungere gli esempi diffusi di ignoranza linguistica, storica e geografica, alla Di Maio, per convincerci che siamo conciati malino e che la ricostruzione del tessuto connettivo del Paese passa attraverso una classe dirigente finalmente competente e capace, oltre che onesta. Bastano dunque senz’altro questi due esempi per essere preoccupati di come per il momento vanno le cose nei piani alti della politica e delle istituzioni della nazione, a loro volta espressione e riverbero dei piani più bassi. Qualcosa bisognerà fare, senza aspettarci miracoli, almeno per salvare la dignità.
L’opinione di Leoni
Le affermazioni del signor Fontana, oltre che maldestre e inopportune, sono in palese contrasto proprio con la Costituzione che egli cita. A me sembra che i padri costituenti pensassero davvero che l’espressione “razze umane” avesse un valore scientifico, mentre oggi prevale l’opinione scientifica contraria. Ma essi intendevano consacrare il principio che la razza non dovesse mai più costituire un pretesto di discriminazione e di persecuzione.
Peraltro il razzismo nazista, e poi anche fascista, sebbene avallato da alcuni fanatici e opportunisti scienziati tedeschi e (ahinoi!) anche italiani, non aveva, anche all’epoca, niente di scientifico perché a quel tempo la scienza più condivisa parlava di razza caucasica, alla quale appartenevano anche gli ebrei e i nordafricani, oltre agli europei, compresi i genitori di Fontana, di Salvini e degli altri leghisti. Ma la cosa più grave è che il Fontana ha parlato di “razza bianca”, sposando il rozzo pregiudizio, che purtroppo ancora circola nel nostro Paese, del colore chiaro della pelle come valore di cui andare fieri.
La paura infantile dell’ “uomo nero” ancora è latente in molti adulti ed è accresciuta dalla prestanza fisica della gente di colore e dalla vitalità dei loro bambini sopravvissuti alla denutrizione e alle malattie. Certo, abbiamo il diritto e il dovere di tutelare la nostra cultura, ma se essa non ci ispira il rispetto per le altre culture e relazioni armoniche ai fini del reciproco arricchimento, vuol dire che siamo destinati a perdere rapidamente la nostra identità culturale. Quanto al presidente del senato, la mia impressione è che l’orgoglio di trovarsi a capo di un partito, sebbene chiamato a tale ruolo solo per tenere a bada i galletti bellicosi che lo hanno fondato, gli abbia fatto girare la testa. Come dimostrano la sciocchezza della sua proposta di abolire le tasse universitarie e il cinismo di mettere sotto i piedi la costituzione per ammiccare al M5S che, stando ai sondaggi, sembra avviato a conseguire la maggioranza relativa.