di Fausto Cerulli
Con incolpevole ritardo, dovuto alla mia assenza da Orvieto, ho saputo della improvvisa scomparsa di Eugenio Fumi. Ho letto messaggi di condoglianza e rimpianto, ma penso che, essendo ovviamente formali e dovuti, non abbiano saputo cogliere le caratteristiche essenziali della complessa personalità di Eugenio. Lo conobbi quando eravamo entrambi giovani.
Ricordo che una sera mi parlò con entusiasmo di un meccanismo di sua invenzione, con il quale si potevano accendere e spegnere le luci degli impianti pubblici seguendo l’intensità della luce naturale. Fu forse quella la sua prima invenzione, che allora sembrava prodigiosa. Ne parlava con orgoglio quasi infantile, con la modestia che lo avrebbe sempre accompagnato.
Poi venne l’ITELCO, e sembrava un’avventura di paese. Invece doveva diventare un importante centro di progettazione e messa in opera di apparecchiature radiotrasmittenti, e polo di una massiccia occupazione (oltre 400 addetti) per l’asfittica realtà di Orvieto. Il centro divenne sempre più importante, acquistando peso nazionale ed internazionale. Il tutto seguendo le intuizioni geniali di Eugenio.
Ebbe cura di circondarsi di persone preparate, pronte a seguire i suoi consigli-insegnamenti e pronto lui ad accogliere i loro pareri. Fu questa simbiosi a fare dell’Itelco una realtà capace di imporsi, e di vincere formidabili concorrenze. Le commesse crescevano, cresceva l’occupazione, e la creatura di Eugenio divenne un polo di creatività, forse al di là delle stesse aspirazioni del professore che non era professore ma che era più che professore. Ebbi modo di parlare di lui con diversi dipendenti, e tutti mi dicevano che, con Eugenio, erano in qualche modo dipendenti indipendenti.
Eugenio lasciava loro molto spazio, sentiva il bisogno di crearsi intorno un team di persone creative. E tutti mi parlavano della modestia di Eugenio, della sua signorile affabilità: e si capiva che il gruppo era affiatato, e questo affiatamento contribuiva al crescente successo della coraggiosa avventura imprenditoriale. Penso che Eugenio volesse seguire, nel trattamento del personale, l’esempio di Olivetti: una sorta di famiglia allargata. Poi vennero tempi duri; la digitalizzazione, la globalizzazione, l’irrompere di prepotenti multinazionali del settore. E vennero meno le commesse, e cominciarono i ritardi nel pagamento di stipendi e salari.
Ma a tutto si sarebbe potuto rimediare se i sindacati non avessero versato benzina sul fuoco, ed avessero convinto i dipendenti a pazientare, per il comune interesse. A complicare le cose, venne un cambiamento del gruppo dirigente che contornava Eugenio. Gente che pensava più al proprio tornaconto che alle esigenze dell’impresa. Ricordo che scrissi un articolo di critica nei confronti di un dirigente nuovo arrivato, che in piena crisi si permetteva di cambiare quasi ogni mese la propria autovettura, sempre di grossa cilindrata.
Il dirigente mi querelò e ne seguì un processo dal quale ebbi ad uscire con piena assoluzione. Ricordo questo perché sono convinto che Eugenio approvasse la mia critica, e la nostra amicizia non ebbe a risentirne. Poi tutto precipitò, per contingenze inarrestabili e forse anche per il venir meno della vecchia guardia. Eugenio soffrì molto per il tracollo, per la fine dell’impresa, pensando soprattutto ai dipendenti che si trovarono sul lastrico. Ma Eugenio aveva lasciato il segno, ed altre imprese fiorirono seguendo il suo esempio.
Eugenio, comunque, si ritirò a vivere appartato, con sua moglie, in una casa di campagna. Dalla quale usciva di rado, non mancando comunque agli appuntamenti di cultura. Ho sempre pensato che si sentisse in colpa, lui che aveva la sola colpa di essere ingenuo come tutti i geni, al punto di aver delegato la parte finanziaria dell’impresa a persone poco competenti e poco interessate alle sorti dell’impresa. L’ho incontrato l’ultima volta alla mostra di ceramiche di Maria Elena Giorgini, nipote di sua moglie. Volle congratularsi con me avendo letto della proposta di farmi concorrere ad un importante premio di poesia. Fu al solito affabile, cortese e sincero come sempre. Eugenio mi conferma che le persone veramente grandi lo sono anche nella non falsa modestia.
E mi piace immaginarlo impegnato ad inventare qualcosa, magari cullato dalle onde gravitazionali.