Bentornato congiuntivo!
di Franco Raimondo Barbabella
Quando ho sentito “Il Congiuntivo”, la canzone con cui Lorenzo Baglioni tenterà di andare in finale al Sanremo 2018, mi sono detto: “Ma guarda un po’ che roba, stai a vedere che il mondo del pop incomincia a preoccuparsi della grammatica!”. Insomma, d’istinto ho avuto un conato di scetticismo. Poi però ho scaricato il testo, che riproduco di seguito:
“Che io sia/ che io fossi/ che io sia stato/ oh-oh-oh
Oggigiorno chi corteggia/ incontra sempre più difficoltà/ coi verbi al congiuntivo
Quindi è tempo di riaprire/ il manuale di grammatica/ che è, molto educativo
Gerundio imperativo/ e infinito indicativo/ molti tempi e molte coniugazioni ma…
Il congiuntivo ha un ruolo distintivo/ e si usa per eventi/ che non sono reali
E’ relativo a ciò che è soggettivo/ a differenza di altri modi verbali
E adesso che lo sai anche tu/ non lo sbagli più
Nel caso che il periodo sia della tipologia dell’irrealtà (si sa)/ ci vuole il congiuntivo
Tipo se tu avessi usato/ il congiuntivo trapassato/ con lei non sarebbe andata poi male/ condizionale/ segui la consecutio temporum
Il congiuntivo ha un ruolo distintivo/ e si usa per eventi/ che non sono reali
E’ relativo a ciò che è soggettivo/ a differenza di altri modi verbali
E adesso ripassiamo un po’ di verbi al congiuntivo/ che io sia (presente)/ che io fossi (imperfetto)/ che io sia stato (passato)/ che fossi stato (trapassato)/ che io abbia (presente)/ che io avessi (imperfetto)/ che abbia avuto (passato)/ che avessi avuto (trapassato)/ che io… vorrei
Il congiuntivo/ come ti dicevo/ si usa in questo tipo di costrutto sintattico
Il tentativo è quasi riflessivo/ descritto dal seguente esempio didattico
E adesso che lo sai anche tu/ non lo sbagli più”.
L’ho letto e mi è sembrato che fra il serio e l’ironico sia comunque un testo che ha una ragion d’essere, in quanto al modo e con il ritmo del pop racconta una storia che insegna qualcosa. Baglioni non è nuovo a questo tipo di esperienza, avendo già al suo attivo brani didattici sulle leggi di Keplero e sulla trigonometria. Ma questo pezzo è abbastanza diverso, perché affronta la questione del congiuntivo, che ha un valore culturale generale: è la questione di come fermare una pericolosa montante ignoranza.
Che il pericolo ci sia e di che tipo sia è reso lampante non tanto dal fatto che ne sia affetta una larga parte della classe dirigente, quanto dal fatto ancor più grave che essa viene sbattuta in faccia a tutti con inusitata protervia che, se non suscita ammirazione in larghi settori del popolo, li lascia comunque indifferenti, essendone e sentendosene complici della somiglianza, forse anche soddisfatti.
Dunque bentornato congiuntivo! Con il mondo delle canzonette? Benissimo! Con l’idea che se tu, un po’ babbalocco ignorantello inconsapevole, approcci una ragazza di normale cultura linguistica con messaggi con la consecutio sbagliata, quella ti pianta in asso ancor prima di farsi sfiorare? Si, certo, fantastico! Va bene così, il messaggio è: se non conosci il congiuntivo vuol dire che sei troppo ignorante e non sei in grado di legare con me. Vuol dire anche che magari non sarai una nullità sociale, ma di sicuro riprodurrai gli arrampicatori che tanti danni hanno già fatto e che continuano a fare. E i nuovi, parimenti ignoranti, non promettono niente di diverso.
Anni fa, all’epoca di “Orvieto 39”, la tv locale condotta da Cerquaglia e Sborra, fui invitato ad una trasmissione e mi capitò di parlare della sparizione del congiuntivo e del gerundio. Proposi a mo’ di sfida la costituzione del club del gerundio e del congiuntivo. Qualche tempo dopo lessi che anche da altre parti si diceva la tessa cosa e anzi c’era chi la questione la prendeva molto sul serio. Ma nei fatti non successe nulla, anzi, la realtà è andata sempre più peggiorando.
Oggi la questione viene ripresa con una “canzonetta”. Non mi faccio illusioni, ma se anche questo contribuisse a squadernare davanti a tutti il tema dell’ignoranza e si diffondesse con ciò la consapevolezza dell’urgenza di porvi rimedio, non credo che dovremmo lamentarcene per il fatto che ciò avviene per vie didatticamente inconsuete. Peraltro sarà anche il caso che il sistema scolastico e quello delle comunicazioni si diano una bella svegliata, perché la velocità e la stringatezza del linguaggio non giustificano in nessun modo che se ne impoverisca la ricchezza comunicativa, che abbassa lo spessore del pensiero e appiattisce i sentimenti.
PS. Apprendo ora che una maestra di sostegno di una scuola in provincia di Milano ha corretto il suo alunno che aveva scritto correttamente “zebra” dicendogli perentoriamente che zebra si scrive con due b, cioè “zebbra”. Fantastico! Povero Baglioni, altro che congiuntivo, qui c’è da fare un lavoro sulle doppie, anzi forse bisognerà ricominciare dalle aste. Non parliamo poi della mutina!!! E allora alla prossima “canzonetta”!
L’opinione di Leoni
La lingua italiana, con la spagnola, la portoghese, la francese, la rumena e altre meno diffuse, sono le belle figlie di una bella madre: la lingua latina. Ma sia la madre che le figlie sono piuttosto difficili. Perciò via (o quasi) il latino dalle scuole italiane, via il francese, per non parlare dello spagnolo e del portoghese. Obbligatorietà dell’inglese nelle scuole e nei concorsi pubblici; addirittura facoltà universitarie italiane in cui la lingua principale è l’inglese.
Non sta a me spiegare perché l’inglese sia diventato il vero esperanto nonostante che, nei popoli, siano più diffusi lo spagnolo e il cinese. Ma seguo con curiosità il confronto tra l’inglese e lo spagnolo negli Stati Uniti d’America, dove sembra delinearsi un vero e proprio bilinguismo. In ogni modo, una cosa è prendere atto dei tempi e adeguarsi, altra cosa è parlare male la nostra bella lingua, che va difesa nelle sue specificità, compresi il congiuntivo e il gerundio. Conoscere l’inglese è bene e, per molte attività di studio e di lavoro, è indispensabile, ma parlare bene l’italiano è adempimento di un dovere verso la nostra ricca cultura.
La democrazia sta cambiando
di Pier Luigi Leoni
Sono due gli elementi che hanno fatto la fortuna dei parlamenti nazionali e dei consigli elettivi degli enti minori. Uno è comune a tutti gli organi collegiali ed è il fatto che la reciproca influenza psicologica aiuta i singoli a completare le proprie lacune e può portare a decisioni più ponderate di quelle che può prendere una persona sola. L’altro è che nel collegio elettivo sono ritualizzati, in conformità alla legge, i conflitti tra portatori di interessi contrapposti e tra visioni diverse del bene comune. Le legge può essere criticata e si cerca di modificarla, ma, finché vige, è da tutti rispettata.
Da qui l’enfasi tradizionale sia dei liberal-democratici sia dei social-democratici sulla funzionalità sia della maggioranza che dell’opposizione, entrambe indispensabili nel meccanismo decisionale democratico. Scriveva l’illustre uomo politico Piero Calamandrei nel 1948: “Per far funzionare un parlamento, bisogna essere in due, una maggioranza e una opposizione… La maggioranza, affinché il parlamento funzioni a dovere, bisogna che sia una libera intesa di uomini pensanti, tenuti insieme da ragionate convinzioni, non solo tolleranti, ma desiderosi della discussione e pronti a rifare alla fine di ogni giorno il loro esame di coscienza, per verificare se le ragioni sulle quali fino a ieri si son trovati d’accordo continuino a resistere di fronte alle confutazioni degli oppositori… Ma anche l’opposizione, se si vuol che il parlamento funzioni, non deve mai perdere la fede nella utilità delle discussioni e nella possibilità che hanno gli uomini, anche uno contro cento, di persuadersi tra loro col ragionamento (che è qualcosa di diverso dalle vociferazioni e dalle invettive).
Anche se ridotta a un esiguo drappello di pochi isolati, l’opposizione deve esser convinta di poter prima o poi, colla ostinata fede nella bontà delle proprie ragioni, disgregar la maggioranza e trascinarla con sé; e deve guardarsi dal complesso di inferiorità consistente nel credere che restar fuori dal governo voglia dire esser fuori dal parlamento o ai margini di esso, quasi in esilio o in penitenza.” Questo quadro idilliaco non si è mai realizzato in forma perfetta. Ma la crisi delle ideologie e la tendenza planetaria all’uniformazione dei sistemi economici sta dimostrando che quell’idillio sta perdendo di senso. A livello mondiale vediamo che il gigantesco sistema economico cinese cresce e compete senza l’ombra di una discussione democratica, mentre altri Paesi, come la Germania e la Spagna, riescono a gestirsi con un accordo tra il partito di maggioranza e il maggior partito di opposizione. Quanto all’Italia, dopo anni d’intesa strisciante, si prospetta l’inevitabile intesa tra partiti che si saranno presentati agli elettori come contrapposti per contendersi i voti di un elettorato assenteista e sfiduciato. Il fatto è che è cambiato il mondo e sta cambiando la democrazia.
L’opinione di Barbabella
È vero, la democrazia, nelle forme che l’hanno caratterizzata in questi settant’anni dal secondo conflitto mondiale, mostra segni di crisi e sta subendo trasformazioni che fanno apparire lontane, fuori tempo, le bellissime parole di Piero Calamandrei, scritte nel 1948 quando si trattava di accompagnare la Costituzione repubblicana con solidi supporti teorici e di etica pubblica.
Non sappiamo come evolveranno le cose o, tenendo a paragone i principi classici della democrazia, se esse produrranno un’involuzione ulteriore e infine un deperimento e il passaggio ad altro. Ma un fatto è certo, ed è che la posizione di Calamandrei è quella che esprime in senso pieno l’essenza della democrazia: è il modello al quale tendere, magari mai raggiungibile ma capace di esercitare una indispensabile funzione regolativa. Io ritengo semmai un guaio che si sia perso il senso regolativo di quelle parole.
Il fatto che il mondo cambi è evidente, anche perché è sempre cambiato e sempre cambierà. Ma bisognerà vedere come cambierà, oltre che come è cambiato. Sul come non ci sono automatismi, e certo non ci dovrebbe preoccupare che con il mondo cambi anche la democrazia. Ma che questo debba significare per forza l’allontanamento dal modello ideale e non invece l’avvicinamento ad esso, questo non mi convince. I dati di fatto dello stato della democrazia nei paesi europei non indicano una tendenza omogenea, quanto piuttosto sottolineano miopie diffuse di classi dirigenti incapaci di lungimiranza, schiacciate sui giochi di breve periodo con sacrificio degli slanci strategici. Un problema di interessi, ovvio, ma anche, forse anzitutto, di culture e di principi di etica pubblica.
Il che appunto fa di esse classi dirigenti abitazioni di pigmei, mentre per converso fa di Calamandrei un gigante. Io credo che a impostazioni di quello spessore bisognerà affidarsi se vogliamo non farci travolgere o dai rigurgiti autoritari o dalle follie populiste.