di Mario Tiberi
Correva l’anno 2014, precisamente nel giorno del 22 febbraio, quando il “frottolo fiorentino”(alias il Renzi e “frottolo” per le sue frottole a gogò) varcava la soglia di Palazzo Chigi per la sua prima giornata da presidente del Consiglio. Fu un tempo in cui il decaduto premier inneggiava al cambiamento, assecondava l’anelito di futuro, stimolava il nuovo avanzante. E, in nome di ciò, smuoveva genti, anime e sentimenti provenienti da ogni ceto sociale.
Ma ora? Appena mille giorni dopo o poco più, il vento di consenso al suo potere di “uomo solo al comando” è andato irrimediabilmente perduto, orientandosi verso altre direzioni.
La rappresentazione plastica della girata di spalle popolare è avvertibile fin nei luoghi più canonici del renzismo: nel 2014 a Rignano sull’Arno, suo paesello natale, e nella vicina Pontassieve l’entusiasmo per la scalata di quel loro concittadino era al culmine massimo e però, oggi, la maggior parte di quei sostenitori di ieri sono quasi tutti divenuti “ex o post” renziani. Non lo riconoscono più: quel “ragazzotto” partito rottamatore è arrivato ad essere incauto recuperatore di personaggi dubbi e invisi, del tipo Denis Verdini e Angelino Alfano o Andrea Romano e Gennaro Migliore, i quali con la natura e la cultura politica di un vero partito socialdemocratico nulla hanno a che vedere.
Quanto sopra riportato serve per spiegare che, dopo mille giorni, il tramonto politico del Renzi è raffigurabile nella sua “solitudine”. Voleva essere un solo uomo al comando ed è, invece, rimasto solamente e desolatamente “solo”.
Lo hanno ripudiato in molti, anche celebri propugnatori della prima ora (ad esempio: Alessandro Baricco, Diego Della Valle, Roberto Perotti, Tito Boeri) ai quali sono risultati indigesti i suoi voltafaccia, i proclami mai realizzati, i continui compromessi sempre al ribasso. Tranne il ristrettissimo e, tra l’altro, litigioso “giglio magico” (Boschi, Lotti e Carrai), il rignanese si ritrova ormai circondato da un apparato di partito poco dissimile da quello di “bersaniana” memoria. Si tratta, infatti, di servili e mediocri vassalli già pronti, di converso, ad accoltellarlo e gettarlo a mare e, con lui, tutto il peggio e il deteriore del “renzismo”.
Tra l’allora e l’oggi il Renzi ha sbagliato moltissimo, non soltanto su certe opportunistiche alleanze che lo hanno reso immediatamente “vecchio” nonostante la sua pur ancora giovane età. Ha errato sulle politiche dell’economia, del lavoro, dell’immigrazione, della scuola, sui rapporti con l’Europa tanto che sono sotto gli occhi di tutti i suoi ripetuti fallimenti e, ciò, è dovuto in gran parte al tratto narcisistico ed egocentrico tipico di chi si giudica padrone del tutto. Analizziamo codesto tratto prendendo a prestito alcune sue stesse affermazioni e che riporterò nel virgolettato.
A principiare dalla conquista del potere senza essere prima passato per il vaglio elettorale (“tanto il pd e l’Italia stanno con me”), dalla scarsità e inadeguatezza di molti dei suoi ministri (“tanto l’unico che conta sono io”), dall’elezione al Quirinale di Mattarella in barba al patto del Nazareno (“tanto i voti di Berlusconi li prendo io”), dall’uso esagerato dei decreti-legge e delle questioni di fiducia (“tanto il Parlamento fa quello che decido io”), dalle mancette e marchette elettoralistiche (“tanto le opposizioni le zittisco io”), dal sostegno a David Cameron e Hillary Clinton (“tanto vinciamo facile”), fino ad arrivare alla stesura di una legge elettorale e di una riforma costituzionale ad esclusivo uso e consumo delle sue smisurate ambizioni (“tanto il referendum sarà una passeggiata perché ci metto la faccia io”). E poi sappiamo tutti come è andata a finire!
Insomma: io, io, io! Vale a dire la esplicita manifestazione di un “ego ipertrofico” che lo ha inevitabilmente condotto sulla china più pericolosa per un sedicente leader politico, quella delle promesse disattese: dalla “buona scuola” alla riduzione delle tasse e ai pagamenti dei debiti contratti dalla Pubblica Amministrazione, passando per l’occupazione personalistica della RAI e il mancato abbattimento dei costi della politica per giungere, poi e soprattutto, all’inesistente ripresa economica continuamente sbandierata ai quattro venti.
A Rignano sull’Arno, come del resto nell’Italia tutta, la stiamo ancora attendendo: in compenso abbiamo avuto Verdini, l’ennesimo governo non eletto da nessuno, il maledetto ritorno di Berlusconi, la strisciante presenza di una destra ultrareazionaria, Alfano e il “giglio tragico”.