Il dramma di Ostia
di Pier Luigi Leoni
Domenica 5 novembre si sono svolte con grande clamore mediatico le elezioni del presidente e del consiglio del X municipio di Roma, che comprende le zone urbanistiche di Malafede, Acilia Nord, Acilia Sud, Palocco, Ostia Antica, Ostia Nord, Ostia Sud, Castel Fusano e Infernetto. Un comprensorio di oltre 300.000 abitanti. Sono molte e a tutti note le ragioni della concentrazione dell’interesse generale su quelle elezioni. Un interesse che non ha coinvolto gli elettori, cioè i diretti interessati. Due su tre hanno disertato i seggi, evidentemente perché non speravano che le elezioni risolvessero qualcosa. Ma perché Ostia e dintorni sono ridotti in questo stato?
Credo si debba considerare che le città, dalle metropoli ai villaggi, non possono vivere ordinatamente solo grazie al potere delle istituzioni se manca la collaborazione dell’autodisciplina dei cittadini; cioè se i cittadini non si sentono comunità. La comunità esiste quando è diffuso nei cittadini l’amore per la propria città. Ma come fanno i residenti nelle comunità del X municipio ad amare i loro insediamenti utilizzati già dal regime fascista come spurgo della capitale dalle famiglie povere e numerose, che furono concentrate nella borgata di Acilia, e poi, pochi decenni fa, dall’amministrazione romana come discarica per il sottoproletariato romano nel quartiere di case popolari di Nuova Ostia?
E poi l’incremento rapido della popolazione per immigrazione da ogni dove di famiglie attirate dalle numerosissime attività nel settore del commercio e della balneazione ha prodotto la Ostia attuale. Un terreno di coltura per la corruzione legata all’ottenimento delle licenze commerciali e delle concessioni di arenile demaniale, che si è aggiunta alla corruzione legata alle concessioni edilizie e agli appalti pubblici.
È per questo che i residenti nel X municipio o sono degli infelici cittadini che, votanti o meno, disperano delle istituzioni, o sono dei corruttori e dei corrotti che sguazzano nella melma, o sono dei malfattori organizzati che si sostituiscono all’autorità legittima, come quel clan di origine Sinti che assegna case popolari e ne combina di tutti i colori, come fratturare il naso con una “capocciata” a un intervistatore con cinepresa al seguito. Per mettere un po’ d’ordine in una situazione del genere occorre maggiore controllo delle forze dell’ordine e sospensione di quella parodia della democrazia che lì sono diventate le elezioni municipali. Bisogna dare tempo agli abitanti di Ostia di innamorarsi della loro città, prima che s’innamorino troppo dei fascisti che a Ostia, come a Roma, non sono mai mancati.
L’opinione di Barbabella
Condivido parola per parola l’analisi di Pier Luigi. Aggiungo solo poche e rapide considerazioni. Innanzitutto mi pare evidente che la situazione odierna, essendo frutto di un lungo percorso di degrado, denuncia connivenze trasversali consolidate, oltre che disinteresse radicato per il bene pubblico e insensibilità e incapacità diffuse. La conseguenza è che per ricostruire una normale vita comunitaria ci vorrà di sicuro un grande e lungo lavoro di persone per bene che accettino l’idea di esiti incerti e senza garanzia di riconoscenza da parte del popolo che aiuteranno ad uscire dal pantano.
La seconda considerazione è l’insegnamento che ne viene per tutti noi: in una comunità tutto è importante, per cui i fenomeni di degrado vanno senz’altro prevenuti con una progettualità lungimirante e però anche combattuti in ogni caso appena si manifestano. In questo senso quel che conta è innanzitutto la forza morale di ogni persona e la lucidità, la preparazione e la coerenza delle classi dirigenti.
Hanno un ruolo determinante le agenzie educative, le libere associazioni, i corpi intermedi e tutto ciò che costituisce il tessuto sociale. Tuttavia il punto nevralgico restano senza ombra di dubbio le istituzioni, il cui ruolo è di governare bene e di dare così non solo fiducia e sicurezza ma anche l’esempio da seguire nei comportamenti sociali.
Dopo le elezioni siciliane
di Franco Raimondo Barbabella
In un intelligente fondo sul Corriere di martedi scorso, Antonio Polito analizza le ragioni delle due sconfitte concomitanti di Renzi e Di Maio e del successo di Berlusconi. Si, perché il significato nazionale di quel voto di fatto è che chi oggi è in grado di fermare il populismo grillino non è Renzi ma Berlusconi, sia perché sa fare alleanza per quanto contraddittoria, sia perché ciò che la realtà ha imposto all’attenzione degli italiani dopo l’ascesa del Movimento 5 stelle e di Renzi , invece di indebolire il Cav fino a renderne l’immagine non più spendibile, lo ha ulteriormente rafforzato e legittimato come leader capace di esprimere una linea di governo.
Così, mentre il movimento grillino si dimostra capace di intercettare lo scontento e la rabbia ma non di trasformare il magma sociale in proposta e attività efficace di governo, il Pd renziano annaspa sempre di più tra una tentazione isolazionista e un affannoso inseguimento delle pulsioni populiste, cosicché alla fine, miracolo!, rifulge l’abilità dell’ultraottentenne ex presidente, le cui posizioni non possono che apparire sempre più veritiere.
Le elenca in modo convincente Claudio Cerasa sul Foglio dello stesso giorno: il problema della giustizia è grosso come una casa; in questo quadro, spicca il tema della giustizia politicizzata; nessuno può più negare che l’Italia sia segnata da un vero e proprio sistema di gogna mediatica; c’è un problema di insopportabile pressione fiscale; c’è un problema di riforme necessarie frenate e bloccate da sindacati scarsamente sensibili al funzionamento di una società complessa; c’è un problema di spazio per le capacità e le competenze; c’è un problema di cose ordinate e sicure; e c’è un problema di come stare in Europa. Tutto questo chi può oggi negarlo? E tutto questo dà ragione al Cav.
Dunque non può apparire strano che si percepisca ormai come evidente che sia il Cav l’argine vero al grillismo e che lo scontro della prossima competizione politica nazionale sarà tra Centrodestra e M5s. Il PD e in generale il centrosinistra rischiano di diventare fenomeni residuali. Drammatica soprattutto la parabola renziana e del pd, dai trionfi del 2013 alla impressionante sequenza di sconfitte su tutti i terreni dei tempi più recenti: le amministrative, poi il referendum istituzionale, e ora le elezioni siciliane e quelle di Ostia.
E, mentre tutto ciò che è successo dovrebbe spingere ad un ripensamento profondo del modo di concepire la politica e di praticarla, le uniche questioni che invece sembrano preoccupare le classi dirigenti di quest’area appaiono i problemi di leadership, di schieramento, di assetti di potere. Si convincano coloro che, annidati in ogni dove, in questi anni ci hanno ammorbato con insulsi discorsi su tutti i possibili falsi rinnovamenti (i rottamatori del niente, coloro che sono stati solo capaci di adottare il criterio del “levati tu che ora mi ci metto io”), si convincano, dicevo, che questo nostro magnifico e disgraziato Paese ha bisogno di un rinnovamento vero, in ogni luogo e in ogni poro.
Ma rinnovamento di idee e di metodi, con serietà e competenza, con dedizione e intelligenza, con preparazione e disponibilità. Basta riempirsi la bocca di annunci non seguiti da concrete operazioni di attuazione delle decisioni e da verifiche costanti e rigorose. Basta riforme annunciate, passaggi formali nelle istituzioni e poi indifferenza per l’attuazione di norme e rispetto delle regole. Basta con i proclami. Basta con lo scarico delle responsabilità. Basta con gli sperperi, i favoritismi e le palesi e volgari ingiustizie. Basta con gli incompetenti e anche con i falsi competenti.
L’opinione di Leoni
Apprezzo e condivido le considerazioni di Franco sui riflessi nazionali delle elezioni regionali siciliane, mi sia perciò consentito di dedicarmi agli aspetti locali di quelle elezioni. La vittoria elettorale in Sicilia di Nello Musumeci e delle liste che l’hanno sostenuto ha scatenato la reazione soprattutto dei pentastellati, secondi classificati. L’accusa a Nello Musumeci è di aver vinto grazie ai consensi decisivi di alcuni candidati nelle liste di centrodestra definiti come “impresentabili”, che non vuol dire “incandidabili”, essendo l’incandidabilità rigorosamente disciplinata dalla legge.
Impresentabili sono invece definiti coloro che, pur essendo legalmente candidabili, sono notoriamente sostenuti da clientele facenti capo a personaggi molto sospetti perché ospiti delle cronache giudiziarie.
I pentastellati hanno le loro ragioni perché, non pescando nelle clientele, i loro sono esclusivamente voti di opinione. Anche perché le clientele si fanno col potere e il M5S di potere (intramontabile tentazione prossima del peccato) ne ha esercitato finora ben poco. La domanda che mi pongo è la seguente: se i responsabili delle liste di centrodestra fossero stati più rigorosi nella scelta dei candidati, quei voti clientelari che hanno determinato la vittoria di Musumeci dove sarebbero finiti?
Non credo al M5S, che raccoglie solo voti di opinione; non credo al centrosinistra e alla sinistra, che la gran parte dei siciliani non ha mai digerito. Forse una piccola parte di essi non sarebbero andati a votare, ma la paura di un successo pieno dei pentastellati credo che li avrebbe indotti ad andare a votare per Nello Musumeci. Ora tocca a questo personaggio, che tutti considerano una persona per bene, il duro compito di governare una regione molto difficile, che ha dato alla Patria grandi personaggi in ogni campo e una serie di martiri sul fronte della giustizia e del giornalismo, ma che non è ancora riuscita a liberarsi dalla mafia e dal costume delle clientele politiche ed economiche.
Lo sforzo delle istituzioni è indispensabile, anche se non può essere risolutivo senza una vasta presa di coscienza e collaborazione della popolazione. Spero che Nello Musumeci, monarchico come lo sono io, faccia una bella figura, come la sta facendo il monarchico Antonio Tajani alla presidenza del parlamento europeo. Altrimenti i grillini avranno buon gioco e tutto il mio apprezzamento se, come hanno promesso di fare, riusciranno ad attirare ai seggi tanti degli elettori che sono rimasti a casa.