Perché, volendo, non possiamo non dirci ottimisti
di Franco Raimondo Barbabella
Ci sono tentativi encomiabili sia a livello nazionale che locale di presentare la realtà che viviamo in termini ottimistici. Lo fa Il Foglio per l’Italia, lo fa Massimo Gnagnarini per Orvieto. Tralascio l’Umbria ed altre realtà. Poi però vedo e sento accadere tante cose che mi lasciano interdetto e ancor più spesso basito. Ne scelgo alcune tra le tante possibili, e mi chiedo: possiamo essere ottimisti?
L’ISTAT ci dà cifre di crescita del PIL (+ 1,8 sul 2016) che ci fanno pensare ad un Paese che sta per decollare, ma nello stesso momento il Vicepresidente UE Katainen ci assesta una nuova sberla (“Tutti possono vedere che la situazione in Italia non migliora”) con evidente riferimento al debito pubblico. Allora che si fa, ci accontentiamo del fatto che il ministro Padoan dica “A Katainen non rispondo” o consideriamo ancora aperta, anzi ancora grave, la questione del rapporto debito-PIL? Anche perché in vista delle elezioni la maggior parte della classe politica punta su vere regalie e promesse fantasmagoriche, naturalmente con operazioni in deficit. Si può essere ottimisti?
A Ostia succede quello che abbiamo visto in queste settimane. Non mi riferisco solo alle elezioni, ma alla testata di un tipo un po’ ‘chiacchierato’ ad un giornalista un po’ ‘curioso’, ciò che ha scatenato finalmente la corsa a capire in profondità la situazione ed a reagire. Tutto all’improvviso naturalmente, a seguito di un episodio eclatante. Eppure non si poteva non sapere: amici, normali cittadini, ce lo dicevano da anni che le cose stavano come poi si è visto. Perché nessuno che ne aveva facoltà e dovere se ne era accorto? Perché si sono lasciate andare le cose fino a quel punto, fino al degrado segnato dal dominio mafioso? Non dappertutto c’è degrado e mafia, ovvio, ma che, in generale e troppo spesso, si aspetti che la realtà degradi fino all’insopportabile prima di reagire, è un fatto. Si può essere ottimisti?
L’Italia dopo sessant’anni è fuori dai mondiali di calcio. Si dirà: e chi se ne frega, almeno quest’estate non sentiremo clacson che ci avrebbero selvaggiamente assordato se per caso avessimo vinto qualche partita o fossimo addirittura arrivati alle fasi finali! No, non è così, ci sono importanti conseguenze, non solo per il calcio, ma per lo sport in generale e per ciò che intorno allo sport ruota: meno finanziamenti, forse crisi di alcuni settori, meno impianti, meno occasioni per i nostri giovani, meno salute. Maurizio Crippa sintetizza le ragioni del disastro sportivo dicendo che esso è “lo specchio del paese dal quale è stato generato: niente idee, catena di comando in tilt, i pochi talenti buttati via”. Dagli un po’ torto! Il ministro Lotti, bontà sua, s’è accorto che “nel calcio qualcosa non va”. Ma vogliamo scommettere che ci si limiterà a cacciare Ventura e a discutere sulle dimissioni di Tavecchio (che alla fine, come pare, non ci saranno) e tutti i nodi veri, quelli che riguardano i colossali interessi e il sistema di potere, resteranno sostanzialmente intangibili? E il circo massmediatico continuerà a macinare parole, strilli, tensioni di scena, e a fare tutto quanto può dare al popolo l’illusione di partecipare da protagonista al grande spettacolo. Si può essere ottimisti?
Si può essere ottimisti magari perché in men che non si dica dal web è venuto il miracolo del “nonnapeppinismo”. Ma vediamo. Si chiama proprio così il movimento nato a sostegno di nonna Peppina, la nonnina abruzzese di 95 anni che oggi, dopo il terremoto, abita in un camper e non vuole che venga abbattuta la casetta di legno che i suoi famigliari le hanno costruito abusivamente nel Parco Nazionale. Il “nonnapeppinismo”, che a quanto pare ha mobilitato migliaia e migliaia di persone al grido “non sfrattate nonna Peppina, e chi se ne frega del parco”, ha ottenuto l’effetto di un emendamento del governo al dl fiscale sul sisma che di fatto è una sanatoria. Ci mancherebbe, e che ci facciamo coglionare dai “nonnapeppinisti”? Da una parte emozioni popolari, se si vuole anche giustificate, il cui senso comunque è “nonna Peppina viene prima del Parco e delle leggi di tutela”, e dall’altra un Governo che non trova niente di meglio che gettare la spugna di fronte a problemi complessi. Si può essere allora ottimisti?
Però si, forse si può anche essere ottimisti. Perché Papa Francesco ha ribadito oggi che l’accanimento terapeutico non migliora la condizione umana. Ma va! Perché Di Maio è andato negli States e ha detto che per la politica economica seguirà Trump: incentivi alle imprese, in deficit. Ma va! Perché il Massimo nazionale pare tornato a influenzare le scelte politiche. Ma va! Infine, vogliamo dirlo?, perché Massimo nostro ci ha fatti uscire anzitempo dal predissesto e ci fornisce raffiche di dati di miglioramento dell’economia della città. In questo caso non dico “ma va!” perché sennò Massimo nostro si arrabbia (anzi, fa finta, ma trae occasione per comparire sui giornali e sui social) e scrive, e io devo rispondere, e poi lui mi risponde e io rispondo un’altra volta. Basta!!!
Vogliamo essere ottimisti? Ma si, in fondo siamo vicini al Natale, tra poco arrivano le tredicesime, e poi qui ci sarà anche tanta buona musica con UJW. Ottimismo, ragazzi, ottimismo!
L’opinione di Leoni
Per cavarmela in questo bailamme di opinioni, da quelle espresse da fonti ufficialmente autorevoli fino a quelle discusse nel bar attorno a un tavolo da biliardo, potrei cavarmela coi seguenti versi dell’abate settecentesco Giovan Battista Casti, che posso considerare quasi un mio compaesano perché crebbe e fu educato a Montefiascone, la cittadina in cui nacqui.
Gran prova è questa, che qualunque oggetto,
se anche trattare in pubblico si debbe,
può sempre esporsi in differente aspetto;
se non fosse così ne seguirebbe
che le assemblee non fallirebber mai;
cosa assai dubbia inver, ma dubbia assai.
Non vediam tuttodì progetti e piani
spesso allo Stato e a ciaschedun dannosi,
proposti ancor nei parlamenti umani
da orator prepotenti, imperiosi,
riscuotere l’assenso universale,
perché gli ha detti e gli ha proposti un tale?
Ma preferisco confortarmi con un detto popolare che distingue tra il mondo di bugia in cui stiamo vivendo e quello di verità in cui si trovano i trapassati.
E, per descrivere questo mondo di bugia, lascio la parola (da me tradotta in italiano moderno) al grande Erasmo da Rotterdam, che nel celebre Elogio della Follia, mette in bocca al personaggio elogiato le seguenti parole.
“È male essere ingannati; ma è ancora peggio non essere ingannati. Sono infatti privi di buon senso quanti ripongono la felicità dell’uomo nelle cose stesse. Essa dipende dal nostro modo di vederle. Infatti tale è l’oscurità e varietà delle cose umane che niente si può sapere con chiarezza. Se poi qualcosa si può sapere, spesso abbiamo poco da rallegrarcene. L’animo umano è dominato più dalla finzione che dalla verità. Basta assistere a una predica in chiesa. Se il discorso si fa serio, tutti sonnecchiano, sbadigliano, si annoiano.
Ma, se l’«urlatore» di turno (è stato un lapsus, volevo dire l’«oratore») tira fuori una di quelle storielle che si raccontano a veglia, tutti si ridestano e si mettono ad ascoltare a bocca aperta. Così pure i santi più leggendari (per esempio san Giorgio, o san Cristoforo, o santa Barbara) sono venerati con maggiore pietà rispetto a san Pietro, a san Paolo e allo stesso Gesù Cristo. Le cose vere, anche le meno rilevanti, come la grammatica, costano tanta fatica. Un’opinione, invece, costa così poco, e alla nostra felicità giova altrettanto, se non di più. Se una moglie decisamente brutta, al marito sembra una venere, non sarà forse come se fosse bella davvero? Che differenza pensate vi sia fra coloro che nella caverna di Platone contemplano le ombre e le immagini delle varie cose, senza desideri, paghi della propria condizione, e il sapiente che, uscito dalla caverna, vede le cose vere? Se qualche differenza c’è, è a vantaggio di chi preferisce ingannarsi”.
So di aver fatto arrabbiare il mio amico Franco. E allora, per farmi perdonare, gli recito la simpatica preghiera di Thomas More, l’amico più intimo di Erasmo, che però ha fatto carriera fino a essere proclamato santo.
“Signore, dammi il coraggio di cambiare le cose che possono essere cambiate; dammi la pazienza per rassegnarmi alle cose che non possono essere cambiate; e dammi la saggezza per distinguere le une dalle altre”.Le denunce degli abusi sessuali cambieranno leggi e costumi.
di Pier Luigi Leoni
Il dilagare della pubbliche denunce di abusi sessuali sta mettendo a nudo una realtà che immaginavamo, o sospettavamo, e in parte conoscevamo. Una realtà che è molto più vasta e intricata perché non riguarda solo il mondo fosforescente del cinema, ma anche ogni altro ambiente in cui vi è convivenza umana: dal collegio, al convento, al lavoro, allo sport e alla famiglia. Queste denunce, anche se qualche volta inquinate da opportunismi, esagerazioni, ipocrisie e mistificazioni, sono lo specchio di una realtà che, nonostante qualche deformazione dovuta alla imperfezione umana dello specchio, non potrà più essere velata.
Credo che ci troviamo di fronte a una trasformazione generale del costume e alla necessità di un adeguamento del diritto. Gli educatori, a cominciare dalle famiglie, saranno sempre più informati dei pericoli che corrono essi stessi e i propri educandi. E gli educandi dovranno crescere con una maggiore consapevolezza delle pulsioni sessuali proprie e altrui. Quanto al diritto, credo che dovrà essere affinata, sia in termine di legge che di dottrina e giurisprudenza la differenza tra il corteggiamento (cui sono dediti la gran parte dei maschi, delle femmine e degli omosessuali), le molestie sessuali fisiche e psicologiche, i ricatti sessuali e le violenze sessuali. Tutte forme da prevenire e reprimere, tranne il corteggiamento non molesto e non rivolto a persone di non adeguata indipendenza psicologica.
Certo, anche il più corretto dei corteggiamenti, in altre epoche, sarebbe stato considerato mortalmente pericoloso. Ecco quel che raccomandava, intorno all’anno 1200, il certosino Adamo Scoto: «Quando desideri affannosamente il piacere della tua carne e lo immagini con desiderio, hai sete di una preda di morte che nasconde l’amo. Quando agogni di gustare questa dolcezza, quel pungiglione nascosto nella dolcezza ti squarcia mortalmente la gola.»
Ma l’avvertimento del pio certosino può essere ancora valido per il desiderio carnale che non sia nobilitato dall’amore. Ma questo è un discorso che travalica l’immediatezza dei problemi pratici evidenziati dalla cronaca.
L’opinione di Barbabella
Questo delle denunce di avances e abusi sessuali è un terreno scivoloso in cui si mischia tutto, come peraltro ormai avviene per ogni aspetto di realtà che assuma le dimensioni di fenomeno massmediatico. Perciò è difficile farsi un’idea della sua natura e in particolare capire la gravità o la fondatezza fino all’autenticità di ciascun episodio. Ciò che è chiaro comunque è che in generale si tratta di un fenomeno che denuncia la persistenza, in realtà le più diverse, di comportamenti ascrivibili a inveterato maschilismo, e però anche la voglia di liberazione da un peso delle donne più emancipate, come infine, è l’impressione che se ne ha sentendo certi racconti, la difficoltà di distinguere tra corteggiamento e molestie. In diversi casi, anche il sospetto di strumentalità. Non dico delle denunce di violenza perché lì non ci sono discorsi da fare.
Dunque ha ragione Pier Luigi a sostenere che vi sarà bisogno di una revisione della legislazione perché si possa distinguere tra caso e caso. Ed ha anche ragione ad affermare che niente sarà più come prima nei rapporti interpersonali, nell’educazione e nei rapporti di lavoro. Che questo però significhi necessariamente che ci si rapporterà al sesso intensificando il rapporto d’amore ne ho qualche dubbio. Temo invece (ripeto, prescindo dagli atti di violenza, sia fisica che psichica, che vanno solo denunciati e puniti) che si sarà ancor più inautentici e vogliosi di comparire, a tutto danno proprio di quel bisogno della scoperta personale e riservata che sta al fondo di ogni corteggiamento, prodromo di un sano rapporto d’amore.