Rifiuti industriali di aziende italiane non lavorati spediti all’estero via mare destinati a Paesi come Cina, Corea e Pakistan dove la legislazione sull’inquinamento è molto meno severa che in Italia. Un’inchiesta portata avanti dalla direzione distrettuale antimafia di Roma e che riguarda anche Orvieto. Gli arresti e le perquisizioni eseguite dal nucleo speciale di intervento della Guardia costiera, sono ancora in corso. Sette le persone arrestate tra Umbria, Lazio e Toscana. Tre gli stabilimenti sotto sequestro, uno anche a Orvieto. “Un meccanismo di trasporto – ha spiegato al Tg1 Giuseppe Tarzia, comandante della Guardia costiera italiana – e di riciclaggio di materiali pericolosi e contaminati che, attraverso false attestazioni e certificazioni, venivano invece certificati come già bonificati”. L’indagine, partita da alcuni container sospetti ispezionati dalla Capitaneria di porto di Civitavecchia, coadiuvata dalla Agenzia delle Dogane, ha da subito mostrato profili di rilievo nazionale, relativamente alla provenienza dei rifiuti, ed internazionale per quanto attiene alle destinazioni. I soggetti arrestati e le loro aziende, mediante vari giri di false attestazioni e certificati, acquistavano rifiuti industriali complessi e contaminati, su tutti da PCB (policlorobifenili – di tossicità equiparata alla diossina), e, dopo aver simulato lo svolgimento di procedure di bonifica in Italia, lo rivendevano tal quale come materiale recuperato e “pronto forno” per un nuovo ciclo produttivo. In realtà i rifiuti, in Italia, subivano solamente una mera macinatura e, fortemente inquinati, venivano spediti via mare nelle destinazioni internazionali. Il risparmio sul processo di trattamento avrebbe garantito, per l’accusa, un giro d’affari per 46 milioni di euro.