di Melania Catteruccia
Marco Tirelli è un pittore romano che vive e lavora tra Roma e Spoleto, tra i protagonisti della Nuova Scuola Romana. La sua pittura è frutto di un complesso processo intellettuale che, partendo dalla registrazione di dati reali, arriva a distillare forme pure e allusioni spaziali e luminose.
Mi ha sempre affascinato la sua arte, almeno quanto il sentirlo raccontare della sua poetica. Sono rimasta stupita dalla sua disponibilità e dalla sua simpatia, la prima cosa che mi ha detto, quando timidamente ho iniziato questa intervista, è stata “diamoci del tu”..ok..cominciamo..
Come mai negli anni della tua formazione hai scelto di frequentare il corso di Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Roma?
Ho scelto scenografia perchè mi interessava il teatro, ma soprattutto perchè ad insegnare era il pittore Toti Scialoja. Era un grandissimo Maestro, di quelli che ti trasmettono il sapere, che sanno coinvolgerti, con lui ho intrapreso un vero e proprio viaggio iniziatico, mi ha trasmesso forza, sapeva invaderti cuore, anima e mente.
Forme geometriche pure, elementi monumentali e strutture architettoniche sono i soggetti delle tue opere pittoriche, immagino la tua formazione abbia influenzato la tua ricerca…?
E’ evidente l’influenza che questa formazione ha avuto nelle mie opere, l’inquadramento frontale ad esempio, si rifà alla prospettiva rinascimentale, ma ricorda anche il boccascena del teatro. Lavoro molto sull’idea di creare una spazialità dentro la pittura, come se quest’ultima fosse tridimensionale, “teatrale”, come se tramite la tela si entrasse in questo spazio.
Nel rinascimento Durer parlava della prospettiva come perspicere: vedere attraverso, la pittura muraria sfonda la fisicità del muro, entri in un mondo che è assolutamente virtuale, ha quasi un potere magico: far diventare le cose fisiche e materiche qualcos’altro, questo è un grande potere della pittura in generale. Inoltre il gioco che regola tutto il mio lavoro è la luce che scava il buio, come essere davanti alla porta di una stanza completamente buia e con una torcia illuminare, individuerai solo certe cose e non altre, le cose ti si riveleranno come, appunto, l’apparizione teatrale.
Lo storico dell’arte Massimo Carboni nel presentare la tua attuale mostra a Todi ha parlato delle tue opere come “delle apparizioni pulviscolari colte nel pieno di un crescendo luminoso” … con quale tecnica pittorica ottieni questo effetto?
La mia tecnica pittorica è mutuata dal puntinismo, che a sua volta nasce dall’impressionismo. L’idea è che noi non vediamo la realtà per quello che è realmente, noi vediamo quello che la luce ci rende della realtà, non vediamo le cose, ma la luce che ci torna indietro e nei nostri occhi si trasforma in immagine.
Nella mia pittura cerco di fare qualcosa che sia più possibile vicina all’azione tipica della luce, quindi faccio cadere, con varie tecniche, miliardi di goccioline sul quadro mascherando delle zone ed aprendone delle altre. Nelle mie opere non ci sono linee che delineano le cose, sono tutti puntini che fanno vedere le forme, la profondità, la luce, la dimensione. Puntini come sciami di api, come atomi della luce. L’effetto è pulviscolare, molecolare.
Hai già parlato in altre occasioni del grande rumore che c’è nel mondo, del fatto che è sempre più difficile trovare un isolamento, e che il problema principale delle immagini è trovare una loro identità, una solitudine, un’aura. Con le tue opere ci inviti a dedicare anche un Tempo idoneo presumo…?
Esatto, invito alla contemplazione, ad osservare le cose e guardarle in profondità. L’idea che dicevo prima della prospettiva, del guardare oltre, del perspicere, attraversare, vuol dire che guardare in profondità, invito a vedere tutti gli aspetti delle cose, oggi siamo in un mondo che porta molto alla superficialità. Nei nostri tempi si cerca di portare tutto solo sulla superficie, sulla quantità, il mio è invece un invito a guardare dentro le cose.
Questo si lega anche alla tua convinzione che l’arte debba accompagnare sul baratro, sull’abisso, chiunque se ne interessi. Che sia quindi qualcosa che attrae, ma che allo stesso tempo terrorizza…?
Il grande successo della superficialità, che in generale c’è oggi, dipende dal fatto che giudicare una cosa solo per l’evidenza è molto facile e rassicurante perchè sta lì, è fisica; guardare in profondità le cose, le persone, i comportamenti della società, ti fa accorgere che è tutto sempre più complicato. Abbiamo paura di entrare in profondità perchè la profondità è una di quelle cose che ti sconcertano. Quando ci si affaccia sul baratro è molto facile cadere, il mio è un invito anche a non perdersi a volte, la realtà è inafferrabile, è talmente complessa che ci sfugge.
Cosa ne pensi dei nuovi mezzi espressivi in arte visiva (fotografia, videoarte..)?
Non ho assolutamente nessuna preclusione per i mezzi, sono strumenti, ho visto dei video meravigliosi, così come pittura sublime e pittura che fa orrore, non credo ne che la pittura sia migliore ne che sia un mezzo superato. La pittura, il video, l’installazione, sono mezzi, così come il cinema o la musica.
E quale è la situazione italiana dell’arte? Soprattutto mi riferisco all’ultima generazione di artisti …
Molti artisti hanno autonomia, forza e profondità di pensiero, però forse posso dire che – e se vengo smentito sono contento – oggi vedo una certa tendenza al professionalismo negli artisti, la fissazione di entrare in un sistema, di integrarsi, fare subito economia, essere chiamati dalle gallerie importanti. La vedo un po’ come una malattia dell’arte, una perdita di spontaneità. Non voglio dire che ai miei tempi fosse necessariamente meglio, ma vedo che è sempre più il sistema che ti dice cosa devi fare. Negli anni in cui ho iniziato io, gli anni 70, c’era un profondo desiderio di libertà, indipendenza e autonomia, se non c’era il museo dove fare la mostra lo spazio si inventava.
Ho sempre pensato che fare l’artista e’ un po’ come fare un viaggio iniziatico, il cavaliere deve affrontare delle prove per arrivare alla dama … è esattamente la stessa cosa, nel tuo percorso artistico vieni talmente preso a calci che questo ti mette alla prova, mette alla prova quanto l’arte valga per te stesso. Oggi si vede l’arte come qualcosa che viene da fuori, l’arte è un viaggio interiore, personale.
Un’installazione composta da dieci tele di grandissime dimensioni, in diretta relazione con lo spazio architettonico, è stata realizzata da Marco Tirelli per la Sala delle Pietre dei Palazzi Comunali di Todi ed è visibile fino al 15 ottobre.