di Franco Raimondo Barbabella
La paventata chiusura della Libreria dei Sette è cosa seria, tanto più seria se la si considera nel contesto di una città che nel tempo ha perso pezzi di sé e rischia di perderne altri, esercizi privati e funzioni pubbliche, senza sostanziali e significative sostituzioni. Di qui dunque la percezione della chiusura di questo esercizio commerciale particolare come metafora di impoverimento e di declino del centro storico come tale.
Ma questo non basterebbe a spiegare l’emozione che la notizia ha suscitato se non si tenesse conto di due fattori, uno soggettivo e di costume e uno oggettivo e generale. Il primo è la tendenza storicamente consolidata a ignorare i problemi e a reagire o quando il problema esplode o quando i buoi sono già scappati dalla stalla. Di esempi ce ne sono a iosa. Il secondo è la mancanza di politica e comunque di politica all’altezza delle sfide che la realtà ci squaderna davanti. Mi pare più importante, al fine di soluzioni possibili, questa seconda questione.
Perché dico mancanza di politica? Perché da anni non si vede se c’è e qual è l’idea di città che anima o dovrebbe animare le scelte. Basta guardare i fatti: provvedimenti improvvisati e settoriali, dall’uso degli spazi e degli edifici all’organizzazione del traffico; politica turistica sostanzialmente assente; politica culturale inorganica e confusa; scarsa autonomia rispetto agli altri poteri; inconsistenza del ruolo della città e assenza di una visione organica territoriale. Tralascio che diventa lesa maestà parlare della vicenda CRO-BPB e quasi offensivo fare menzione che esistono ‘questioncelle’ irrisolte come l’ex Ospedale e l’ex Piave.
In questo quadro appare francamente buffa la valutazione espressa sulla vicenda da Massimo Gnagnarini, secondo cui in questi giorni sarebbe stato rilanciato “un confronto alto e qualificato sulla città e sul suo divenire”, aggiungendo che però non basta l’opera del Comune ma “occorrono gli orvietani, la loro creatività, le loro professionalità e anche i loro soldi”. Traduco: basta lamenti, il Comune fa la sua parte, ma gli orvietani devono fare la loro.
Si rimane perplessi, se non basiti: non so se si può sul serio parlare di confronto alto e qualificato, per lo sviluppo del quale a mio parere ci vorrà ben altro. Ma, ammesso che questo ci sia, non si può sfuggire alla domanda: ma la politica dov’è? E a quelle conseguenti: Si può parlare di politica quando non c’è un’idea di quale città si vuole? Città turistica e della cultura? Quale turismo: indiscriminato, più di settore, più qualificato, più stanziale, con quale promozione e quale organizzazione? Quale tipo di cultura, dove, con quali scelte e quali agenzie? Inoltre, si può parlare di turismo e cultura con una città piuttosto sporca e disordinata, ridotta a bazar, con un arredo urbano casuale e in gran parte di cattivo gusto?
E non solo ci si deve chiedere dov’è la politica, ma anche quale ruolo si chiede agli operatori economici della città. Certo, ognuno deve fare la sua parte, nessuno escluso. Ma i ruoli vanno rispettati e le scelte devono essere chiare. L’interesse privato va distinto da quello pubblico, e il potere pubblico deve trattare i privati alla stessa maniera. Se, com’è giusto, la Libreria dei Sette paga un affitto, perché si affidano ad altri privati locali dello stesso Palazzo dei Sette a titolo gratuito? Peraltro nel quadro di un uso improvvisato e arbitrario delle destinazioni degli edifici e degli spazi pubblici. Sia consentita perciò anche un’altra domanda: come si pensa di uscire da questa situazione, con invocazioni o con progetti? Si pensa di isolare il problema (quello della libreria, come anche altri) o di affrontare il contesto? Si ammetterà che non sono quisquilie, sono cose di politica vera, quelle che incidono.
Il potere pubblico non si può limitare a dire faremo e con Massimo Gnagnarini a dire noi abbiamo fatto la nostra parte, ora voi fate la vostra. Ci vuole tutt’altra cosa. L’assessore su tutto questo ci può dare delle risposte?