di Mario Tiberi
Chi abbandona gli anziani commette efferato delitto e, contestualmente, apre la stura a quella cultura della morte e dell’indifferenza che non consente di offrire futuro alle nuove generazioni.
Dietro le sofferenze e le invalidità, connesse al compimento della terza o quarta età, si nascondono storie di amore, di sacrificio e persino, in alcuni casi, di veri e propri gesti di eroismo. La loro fragilità non deve incutere timore ed anzi, da qui, sgorga irrefrenabile il bisogno di accoglierli, sostenerli, aiutarli.
Ho letto, alcuni giorni orsono, un passo di Papa Francesco che mi preme di seguito riportare: “La Chiesa non può e non vuole conformarsi ad una mentalità d’insofferenza e, tanto meno, d’indifferenza e di disprezzo nei confronti della vecchiaia. Dobbiamo risvegliare il senso collettivo di gratitudine, di apprezzamento, di ospitalità tali da far sentire l’anziano parte viva e integrante della sua comunità. Gli anziani sono uomini e donne, padri e madri, che sono stati prima di noi sulla nostra stessa strada, nella nostra stessa casa, nella nostra quotidiana battaglia per una vita degna. Sono uomini e donne dai quali abbiamo ricevuto molto e, dunque, l’anziano non è un alieno. L’anziano siamo noi: fra poco, fra molto, inevitabilmente comunque, anche se non ci pensiamo. E se noi non impariamo a trattare bene gli anziani, così tratteranno a noi”.
Abbandonare gli anziani in difficoltà e indifesi al proprio crudele destino vuol dire, in sostanza, perdere quella prossimità, quella gratuità e quell’affetto necessari per la crescita umana di qualsiasi comunità o società.
Se l’Europa è “vecchia”, se l’Italia ha un tasso di denatalità che preoccupa sociologi ed economisti, se le famiglie si appesantiscono con la presenza dei cosiddetti “vecchi”, se la società nel suo complesso non sa dove sistemare i nonni e le nonne, tutto ciò non rappresenta un problema, ma una risorsa secondo, almeno, la più accreditata concezione biblica dell’esistenza umana. E infatti, dal Libro della Sapienza, veniamo a conoscenza che è dagli anziani che apprendiamo l’arte del discernimento. Essi sono la memoria della fede e della scienza, la tradizione vivente di ogni popolo e di ogni cultura e/o civiltà.
Il passato, in tale ottica, è davanti a noi, mentre il futuro è solo di spalle: noi siamo come i rematori che, prima di andare avanti, prima di procedere verso l’ignoto del futuro, avvertono forte la prioritaria necessità di volgersi all’indietro, avendo dinanzi imperiosa la memoria del passato come bussola d’orientamento.
Alla medesima guisa, guardare alla storia degli anziani è come possedere la garanzia di avanzare, con maggiore sicurezza e senza infondate esitazioni, verso il domani. Una società che si prende cura dei “nonni” è certa di camminare, con più speditezza e facilità, nel tempo che scorre inesorabile e di affrontare in serenità e pace i molteplici problemi della vita.
Le brevi riflessioni che precedono sono rivolte in special modo a coloro che in Orvieto, sia pubblici amministratori che privati cittadini, intendono privilegiare chi di privilegi ne ha fin troppi a scapito di chi non ne ha alcuno, in particolare gli anziani indigenti e ultimi tra gli ultimi. Coscienza e Giustizia è ciò che reclamiamo!