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Anche nel buio c’è luce, costruire la storia anche senza occhi. Lo hanno fatto nove bambini con “La civiltà romana”

Redazione by Redazione
4 Luglio 2017
in Territorio, Secondarie, Archivio notizie
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NARNI – Perché rimanere bendati permette di andare ben oltre quello che fanno vedere gli occhi. Perché non è vero che nel buio non c’è luce. Perché è proprio nel buio che si impara a vedere dentro l’anima delle cose. Loro, questi nove bambini della classe V dell’Istituto comprensivo di Narni scalo, lo hanno imparato pur essendo normovedenti grazie a “La Civiltà Romana”. Un progetto portato avanti dalla loro insegnante di sostegno, Paola Torcolini, che è riuscita a parlare ai bambini, avvicinandoli alla storia, attraverso gli stati d’animo. «Ho voluto lavorare sulle emozioni come gioia, allegria, serenità, soddisfazione, tristezza, rabbia – racconta la professoressa – domandando loro quale fosse l’emozione più bella. Che cosa gli fa emozionare e perché.


E, nelle emozioni, ho incluso i cinque sensi, in modo particolare il tatto». Ecco perché, a volte, i bambini venivano bendati così da fargli scoprire come fosse possibile, attraverso la manipolazione delle mani e senza l’uso della vista, capire cosa stessero costruendo. «Hanno dimostrato di essere davvero sensibili e capaci nella realizzazione di qualcosa che non avevano mai sperimentato – spiega Torcolini – senza alcun disagio ma con la giusta dose di entusiasmo, determinazione ed energia. E’ stata un’esperienza molto emozionante per me e costruttiva per loro perché hanno capito che anche chi non può vedere è capace di costruire qualcosa anche soltanto attraverso il tatto». Un buon esempio, dunque, di didattica inclusiva nato con il duplice obiettivo di garantire a tutti il diritto all’apprendimento e al successo formativo, sviluppando al meglio le potenzialità e i talenti di ciascuno, ma anche far conoscere la terra umbra anche a chi è lontano. Da qui è nata l’idea dei bambini di realizzare un plastico dell’antica città di Carsulae esclusivamente con materiali naturali.


«Ho cercato di fargli capire quanto può essere emozionante conoscere, sapere, vedere con le mani, osservare, sentire, ma soprattutto costruire, anche ad occhi chiusi, un qualcosa, rappresentativo della nostro territorio, regalandolo a chi non ha avuto il dono della vista». «Mentre insieme ai bambini costruivamo il plastico prettamente tattile con i dovuti sussidi in scrittura braille – aggiunge la professoressa – abbiamo deciso di donarlo ad una scuola di Alghero, perché precedentemente ero stata nella bellissima città sarda a conoscere il presidente dell’unione cechi della provincia di Sassari, Franco Santoro, al quale avevo parlato del mio nuovo progetto didattico». Ora, il plastico su Carsulae dei bambini della scuola di Narni scalo volerà in Sardegna insieme all’insegnante che lo presenterà durante un convegno incentrato proprio sulla didattica inclusiva che si terrà presso l’Università di Sassari. (Sa.Simo)

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