di Mario Tiberi
Un non trascurabile numero di cittadini, in prevalenza di sesso femminile, mi hanno intrattenuto per ottenere chiarimenti e delucidazioni sulla locuzione, espressa in lingua latina, “Coelo tonante, credidimus Jovem regnare ut si quaeque civitas, fortunae suae, faber est”, con la quale ho concluso il mio intervento nel corso di un simposio avente a tema il rapporto tra scienza e fede e, al quale, ero stato invitato dall’associazione culturale “La Rosa del Deserto” presieduta da una mia carissima amica d’infanzia.
Mi scuso sin da subito se non sono stato capace di ben utilizzare la cassetta degli attrezzi della comprensibilità, anche se mi era parso di esserlo stato, e procedo immediatamente ad esporre, non tanto la traduzione letterale della frase, quanto il pensiero di concetto ad essa sotteso ricorrendo alla nostra splendida lingua italiana, troppo spesso calpestata e svilita perché obliata e misconosciuta.
Nel momento del pericolo (coelo tonante), individuale o collettivo, siamo portati a credere alla esistenza di Dio forse e non sempre per convinta fede, ma piuttosto per umano e giustificabile tornaconto dettato dalla paura e dal timore di una disgrazia imminente e, a Lui, ci rivolgiamo implorando il perdono delle nostre colpe e l’intercessione della Sua misericordia salvifica.
Scampato il pericolo, il più delle volte ritorniamo senza eccessivi scrupoli ad occuparci delle contingenze della vita quotidiana facendo agio sulle nostre infedeltà, sulle nostre ipocrisie, sul nostro cinismo utilitaristico, pronti ad invocare di nuovo la Divinità qualora se ne presenti una impellente e assoluta necessità.
Ma non tutto è preordinato e Dio, nella Sua infinita bontà, concede agli uomini inimmaginabili spazi di autonomia e di libera esplicazione della loro capacità di pensare e di agire e, dunque, di costruirsi le sorti del proprio oggi e del proprio domani. Vale per il singolo e vale per le comunità istituzionalmente organizzate (civitas, fortunae suae, faber est).
Anche la nostra comunità nazionale sta vivendo palpitanti passaggi temporali che si riveleranno cruciali e decisivi, per i suoi fausti destini futuri, solo se i “fabbri della politica” si dimostreranno avveduti, lungimiranti e soprattutto disinteressati verso se stessi e verso i partiti o movimenti di appartenenza: in una, se sapranno esercitare fino in fondo quella che mi sono concesso e sentito di definire la “responsabilità pubblica coscienziosa”.
I due frammenti dell’assunto latino convergono, nel loro insieme, a formare una sorta di miscellanea composta, il primo, da prevalenti elementi di fede o, meglio, di speranza fiduciosa pur se interessata e, il secondo, da soverchianti accenti di pragmatismo o, meglio, di concretezza realistica pur se tutta da sperimentare e verificare alla prova dei fatti.
La fede, non solo nella sua dimensione teologale, ma anche in quella più squisitamente ideale o metafisica, si sostanzia però nel credere anche senza la prova e tale inclinazione, restando al di qua dei confini imperscrutabili della spiritualità religiosa, non può che spalancare le porte della morale.
Ma di quale morale, privata o pubblica, ci è dato di disquisire?
L’etimologia della parola ci conduce dritti dritti all’idea degli usi e costumi, appartenenti a un popolo o ad una civiltà, avendo cura di saper distinguere tra quelli perniciosi e distruttivi e quelli benefici e salutari.
La morale, lasciata sola, non ha sufficienti strumenti per tracciare lo scrinale divisorio tra ciò che è bene e ciò che è male e, quindi, deve essere necessariamente supportata da un valore di giudizio maggiormente oggettivo e più affidabile.
Il salto di qualità si indirizza verso l’etica neoplatonica la quale individua, nel razionalismo del pensiero eccellente, le ragioni di una possibilità di riscatto dal degrado economico e di superamento delle difficoltà politiche che sembrano insormontabili e che invece, guardandole con gli occhi della serenità intellettuale, possono essere agevolmente attraversate.
E’ un’etica a matrice essenzialmente laica, per impostazione culturale e per convinzione filosofica: la volontà di progredire non deve mai essere arrestata da gendarmi senza grado e senza specifiche idoneità e abilitazioni.
E in Italia ve ne sono fin troppi!