Si è tenuto il 7 giugno scorso presso l’auditorium di Vetrya, l’incontro con il Prof. Pier Luigi Luisi, nell’ambito dell’ottava edizione del Festival della Complessità, quest’anno dal titolo “In che mondo viviamo”.
Tema centrale dell’evento la nuova concezione sistemica della vita, su cui il Prof. Luisi, docente di Biochimica all’Università Roma TRE e di Chimica Presso l’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia di Zurigo, ha portato, magistralmente, tutta la platea intervenuta a riflettere, presentando il sistema vita da diverse angolazioni. Attraverso un viaggio dall’infinitesimamente grande delle galassie all’infinitesimamente piccolo dei quark, attraverso domande esistenziali, del tipo “la lucertola sa di essere lucertola?”, sì è affrontato il tema della complessità del vivere e agire nella nostra vita, nel mondo e nel tempo a noi assegnati.
I temi affrontati hanno permesso riflessioni sulla globalizzazione, sul progresso e benessere, che non sempre coincidono con la felicità. Il benessere conquistato non è infatti senza costi e ha generato inquinamento, conflitti, crisi economiche, corruzione, solitudine, malattie e iniquità tra gli uomini. A volte perseguiamo obiettivi non avendo visione sistemica di quanto il raggiungimento di questi possa comportare. Un esempio? La crescita del PIL. Si può raggiungere facilmente incrementando la produzione di armi, ma nello stesso tempo da qualche parte del mondo ci saranno più morti. È quindi il PIL il vero indicatore di salute e di felicità di un Paese?
L’uomo che occupa ruoli strategici all’interno di una società, sia esso un politico, un direttore di banca, un amministratore di un’azienda non può prescindere dall’avere un pensiero ed una visione sistemica per risolvere i problemi che la vita, in continuo fieri, ci pone ogni giorno. L’intervento si è concluso con un pensiero di Albert Einstein che aiuta tutti a riflettere:
“Un essere umano è parte di un tutto che chiamiamo ‘universo’, una parte limitata nel tempo e nello spazio. Sperimenta se stesso, i pensieri e le sensazioni come qualcosa di separato dal resto, in quella che è una specie di illusione ottica della coscienza. Questa illusione è una sorte di prigione che ci limita ai nostri desideri personali e all’affetto per le poche persone che ci sono più vicine. Il nostro compito è quello di liberarci da questa prigione, allargando in centri concentrici la nostra compassione per abbracciare tutte le creature viventi e tutta la natura nella sua bellezza.”