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Home LETTERE PROVINCIALI

OPINIONI INCROCIATE DEL LUNEDI 8 Maggio 2017 n. 38

Redazione by Redazione
9 Maggio 2017
in LETTERE PROVINCIALI, Archivio notizie
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Ma che sinistra è quella che ai cambiamenti possibili preferisce il peggio?
di Franco Raimondo Barbabella
Non c’è bisogno di prendersela troppo con la sinistra perché a farsi danno ce la fa benissimo da sola. Sinistra: quale? Termine ormai più che ambiguo, come destra. Categorie sostanzialmente inservibili per fare analisi strutturali e scelte dotate di senso; dunque, più indici di posizionamento e di sensibilità che concetti con significato immediatamente percettibile. Diciamo allora che parliamo di quella cosa che in Europa si chiama ancora estrema sinistra con richiami marxisti.
Mi ha sempre colpito la rigidità di chi si richiama a questa sinistra, e però soprattutto il fatto che in quest’area cultural-politica si ha sempre bisogno di un nemico, con preferenza per gli orientamenti riformisti e meglio ancora se democratico-progressisti o social-liberali. Negli anni trenta del secolo scorso, in epoca di totalitarismi, chi non era comunista era bollato come socialfascista; poi, in epoca di prima repubblica, per stalinisti e leninisti i nemici preferiti erano i socialdemocratici, mentre per i movimentisti di varia tendenza tutti gli altri erano semplicemente servi del capitale.
Successivamente, fino ad oggi, poco è cambiato, nel senso che tutto va bene purché non sia riconducibile a idee e comportamenti razionali da riformismo gradualista, quello che non predica palingenesi e il cambiamento possibile lo fa sul serio. Ieri si predicava la rivoluzione per la società perfetta che non veniva mai; oggi ci si butta dove tira il vento del populismo, dove si può gridare incazzati sapendo che non si sarà mai chiamati ad assumersi precise responsabilità. In entrambi i casi, o come piace a noi o niente.
L’Italia è un terreno fertilissimo per questo tipo di atteggiamenti e di pratiche. Ma oggi in verità è la Francia che fa scuola. Quando esce questa rubrica i francesi avranno scelto il loro Presidente con un sistema che mette di fronte nel ballottaggio due candidati che rappresentano per la prima volta due visioni ideali e politiche opposte: da una parte Marine Le Pen, interprete delle paure e delle insicurezze dei ceti popolari e dei ceti medi impoveriti, e portatrice di idee antieuropeiste, schiettamente fasciste e xenofobe, di una Francia chiusa e passatista; dall’altra parte Emmanuel Macron, internazionalista ed europeista, uno che punta sull’apertura delle frontiere e sugli effetti sociali del mercato, che crede alla Francia delle competenze e delle responsabilità individuali. Due ipotesi di futuro, due concezioni della società e della politica, per cui ognuno è chiamato a fare una scelta.
Che cosa fa invece la Gauche (extrême gauche)? Semplicemente non sceglie. Jean-Luc Mélenchon, candidato sconfitto al primo turno per il movimento di estrema sinistra “La France insoumise”, ha deciso di non schierarsi sapendo che la maggioranza del suo elettorato, prima che la sconfitta di Marine le Pen, desidera quella di Emmanuel Macron. Come sempre, a questo tipo di sinistra (agganciata oggi al suo nuovo idolo, l’economista neomarxista Thomas Piketty, autore de “Il capitale nel XXI° secolo”), non importa il governo delle cose ma la sconfitta di chi appare, ed in effetti è, un’alternativa possibile al peggio.
Direi che alla fine si preferisce il peggio perché così si può continuare a sognare il meglio assoluto, sicuri che non arriverà mai e che quindi si potrà continuare a protestare perché qualcuno lo impedisce. Vedremo quale sarà l’esito, ma in ogni caso per questa Gauche varrà il seguente principio: tutto, tranne ciò che è possibile.
L’opinione di Leoni

La dottrina marxista-leninista ha affascinato una parte della borghesia intellettuale e una parte delle masse operaie e contadine un po’ in tutto il mondo, ma si è anche imposta, con metodi rivoluzionari violenti, in un grande impero in crisi, come quello russo, e, quarant’anni dopo, in un altro impero fatiscente come quello cinese. Altre rivoluzioni comuniste, in Europa e in Asia, hanno gravitato intorno a quei due grandi imperi coloratisi di rosso.
La demolizione del marxismo-leninismo sul piano teorico è possibile, ma la sua vera crisi è cominciata col fallimento sul piano pratico. Quello che resta è nostalgia del “mondo nuovo” immaginato da Marx, nonostante gli scempi compiuti dai vari Stalin, Mao, Pol Pot e via dicendo.
L’illusione, diffusa da Rousseau con fascinose opere letterarie, che l’essere umano sia buono per natura, ma sia fuorviato dalla società, ha prodotto immani disastri. Ogni ragionevole progresso, ogni realistica riforma, ogni compromesso, ogni ricerca dell’equilibrio tra i poteri dello Stato e tra i ceti sociali, è, per la sinistra marxista-leninista, in contraddizione con quell’illusione e con il sogno di una umanità liberata dal bisogno, dallo sfruttamento e da ogni tipo di ingiustizia. Quel che resta in Italia e in Francia di quel tipo di sinistra ha qualcosa di romantico, ma la sua caratteristica principale è l’inconcludenza.

 

Tranquilli: a Terni non è successo niente di strano
di Pier Luigi Leoni
Il Comune di Terni è in subbuglio: sindaco, assessori, funzionari e presidenti di cooperative sotto indagine per aver manovrato gli appalti di opere e servizi in vari modi proibiti dalla legge: frazionamento degli appalti in più lotti per eludere l’obbligo della gara pubblica e poterli affidare sempre alle solite cooperative sociali; proroghe non consentite degli appalti; gare articolate in modo da favorire determinate ditte. Non so se al Comune di Terni abbiano esagerato nel fare ciò che si fa in tutta Italia. Ce lo diranno i magistrati, se riusciranno a districarsi nelle matasse dei procedimenti amministrativi regolati da leggi che sono fatte apposta per essere aggirate. La lettura dei giornali dà l’impressione che i magistrati ternani ci abbiano messo un bel po’ per venire a capo di qualcosa. Ovviamente avranno le loro ottime ragioni (non sono tanto incosciente da negarlo) ma esse ancora non emergono dalle cronache dei giornali. Per esempio, le proroghe illegittime dell’appalto dei servizi turistici alla cascata delle Marmore riguarderebbero il periodo dal 2010 al 2013; il servizio di cura del verde nel cimitero comunale avrebbe subito 63 proroghe illegittime dal 2011 al 2016.
Come è possibile che s’intervenga ora su illeciti che datano vari anni? Come sono state possibili 63 proroghe illegittime senza che la magistratura intervenisse? Eppure si tratta di atti pubblici e regolarmente pubblicati, cioè potenzialmente conosciuti da tutti e senz’altro ben noti alla concorrenza e alle opposizioni, che non aspettano altro per prendere carta e penna e scrivere denunce anonime o firmate, a seconda del coraggio, delle vocazioni e delle attitudini. Non è bene trinciare giudizi. Mi limito a dire che le cooperative sociali sono benemerite organizzazioni che organizzano il lavoro di persone, di cui almeno una su cinque disabile, e consentono agli enti locali e alle ASL di assicurare servizi che i loro apparati non riuscirebbero ad assicurare.
Certamente il rapporto tra cooperative sociali e politici locali può essere di carattere clientelare. C’è da stupirsi se chi ha bisogno di lavorare sia grato ai politici che fanno lavorare la cooperativa nella quale è stato magari accolto proprio per accontentare i politici? C’è da stupirsi se ai politici piace essere rieletti? Del resto anche le imprese non cooperative possono far lavorare persone gradite ai pubblici amministratori e spesso dispongono di fondi per indurli in tentazione; molto più delle cooperative. Chi si scandalizza è un illuso, o un ipocrita, o un ignorante o, ancora peggio, un moralista. I birboni possono esserci, e ci sono, ovunque, ma i criminali più perniciosi sono coloro che hanno abolito i comitati regionali di controllo sugli atti degli enti locali, e coloro che hanno fissato le regole europee per i contratti pubblici.
L’opinione di Barbabella

Non ho dubbio alcuno che chi si meraviglia che esista la corruzione deve essere ruvidamente invitato a scendere dal pero e chi grida allo scandalo come se scoprisse per la prima volta l’esistenza del malaffare nella gestione delle cose pubbliche ha qualche problema di equilibrio. Il che non vuol certo dire che la corruzione vada vista come cosa normale, giacché è esattamente il contrario in quanto indice di patologia del sistema. Lo era nell’antichità, lo era nella cosiddetta prima repubblica, lo è oggi. Ma il punto in esame è perché non ci si impegna a fondo per estirpare il male e si lascia così spazio ai moralisti di ogni specie, che regolarmente strillano promettendo sfracelli e però al dunque lasciano le cose come stanno.
Perciò, mentre non è lecito meravigliarsi, è del tutto necessario preoccuparsi. Io non so, né allo stato si può sapere, esattamente che cosa è successo a Terni, ma da quello che si legge adesso si tratta di gestione sistematicamente scorretta degli appalti per favorire imprese amiche: il giudice motiva gli arresti domiciliari parlando di “sodalizio criminoso”, di gente pronta a reiterare il reato. Un sistema, dunque cosa grave. E, visto che l’indagine va indietro nel tempo, si può pensare che sia anche un sistema consolidato.
Io a suo tempo, nella mia funzione pubblica, ho fatto scelte drastiche per evitare che si verificassero i fenomeni che oggi sono oggetto di indagine a Terni. Ne ho parlato più volte, per cui non è necessario che indichi ancora a che cosa mi riferisco. È sufficiente, ritengo, ricordare che si trattò di un durissimo impegno in direzione della trasparenza pagato caro, esattamente con le dimissioni. La cui richiesta, partita forse da Perugia, trovò di sicuro a Terni il suo snodo principale su sollecitazione altrettanto sicura in Orvieto. I protagonisti principali sono ancora in circolazione.
Mi cito perché combattere i pericoli, potenziali o reali, di una gestione non trasparente degli appalti si può, basta solo sapere che il più delle volte si pagano prezzi che possono essere anche salati. Che non sono tanto le dimissioni (basta non avere il culo attaccato alla sedia), che però pesano parecchio quando sai che sei nel giusto e che sono altri che invece dovrebbero pagare prezzi salati per le loro azioni, quanto piuttosto il rischio di essere tu stesso messo sotto accusa proprio per aver gestito correttamente la cosa pubblica. Dunque si può, ma per quanto detto ora e per altri motivi non sempre c’è il coraggio di assumere questo tipo di comportamenti.
Io penso però che c’è una legge non scritta a cui chi avrebbe il dovere di farlo si rifiuta costantemente di credere e che è tuttavia perfettamente verificabile. La formulerei così: se ti rifiuti di fare i conti con la storia, la storia si vendica restandoti impigliata tra i piedi e prima o poi ti fa inciampare. Che un sistema di appalti che favorisce alcuni a danno di altri sia un sistema sbagliato, disonesto e dannoso, si sapeva da sempre. Ciò che desta stupore, ed è ciò che va sottolineato, è che in trent’anni non si sia fatto quello che era necessario per impedirne l’esistenza. Risultato? Coloro che trent’anni fa costrinsero alle dimissioni chi ostacolava il sistema dei favori o restarono indifferenti a quella violenza e coloro che in tempi più recenti furono complici di attacchi, che non riesco a definire se non come vigliacchi, a chi agiva per il bene pubblico oggi dovrebbero semplicemente registrare le conseguenze dei loro atti e tacere. Io non sono affatto felice che in questa situazione ci sia rimasto impigliato Leo Di Girolamo, e gli auguro sinceramente di uscirne pulito. Ma è un fatto che la magistratura fa oggi quello che da tempo e autonomamente avrebbe dovuto fare la politica: cambiare sistema. Una vera tristezza.

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