di Franco Raimondo Barbabella
Quando parla qualcuno della banda dei “frightful five” (gli inquietanti cinque: Amazon, Google, Microsoft, Apple, Facebook), come si fa a non drizzare le orecchie? Si deve, per forza.
Mi successe con il discorso che più di dieci anni fa, il 12 giugno 2005, Steve Jobs, allora CEO di Apple (sarebbe morto nel 2011), pronunciò ai neolaureati della Stanford University. In quell’occasione disse loro parole belle, cariche di significato: “Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi … Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore….” E concluse con una frase, nota, dotata di una potente forza evocativa: “Stay Hungry. Stay Foolish.”, siate affamati, siate folli. Difficile resistere all’emozione.
Mi è successo anche quando nei giorni successivi allo scorso 16 febbraio ho letto ampie sintesi della lunga lettera postata da Mark Zuckerberg, fondatore e CEO di Facebook, intitolata “Building Global Community” e presentata dalla stampa come “Il manifesto di Zuckerberg”. Qui, più che messaggi evocativi di una filosofia di vita e di destini individuali da costruire fidando in se stessi, viene delineata una strategia che da aziendale diventa di governo dei processi mondiali: “Le nostre migliori opportunità sono globali”, così possiamo “diffondere prosperità, libertà, pace, progresso e sconfiggere il terrorismo, il cambiamento climatico e la povertà. Per progredire l’umanità deve unirsi, non pensare in termini di città o nazioni, ma come se fosse una comunità globale.” Quasi un manifesto politico, appunto.
Mi è successo ancora qualche giorno fa, quando ho letto un articolo del prof. Giovanni Maddalena intitolato “Invece di Steve Jobs o Mark Zuckerberg, i prof. facciano leggere Bezos agli studenti”. Bezos è Jeff Bezos, il CEO di Amazon, e perché il prof. Maddalena consiglia di farlo leggere agli studenti è presto detto. In una lettera agli azionisti sul futuro di Amazon Bezos non si sforza di disegnare scenari accattivanti o di lasciare il segno con frasi che sono frustate per cuori e cervelli sensibili. No, propone la delineazione solo di concrete strategie aziendali con linguaggio asciutto e sguardo lungo: business basato esclusivamente sul cliente, attenzione ai risultati più che ai processi, tecnologia d’avanguardia, spirito di squadra contro gli individualismi e decisioni forti in caso di conflitto interno. Insomma, gestione efficace dell’azienda.
Il prof. Maddalena ne deriva due riflessioni. La prima: perché sia effettivamente centrale bisogna ricordarsi che il cliente è di necessità sempre insoddisfatto. Vuole sempre qualcosa di più giacché, come ci insegna l’etica cristiana (agostiniana), il cuore è inquieto in quanto aspira all’infinito. Per cui non ci si ferma, si guarda sempre avanti, si vuole il bene massimo. La seconda: “chi vuole capire davvero come va un’attività di qualsiasi genere fa meglio a prestare attenzione ai fattori qualitativi, ai segnali deboli, agli episodi significativi e magari occasionali che a credere ai report quantitativi”. Detto altrimenti, come nel passato, per comprendere e governare processi complessi non bastano numeri e statistiche, ci vuole intuito e ragionamento. Si tratta di capire il mondo attraverso esperienze di realtà e su questa base ottenere i migliori risultati nel proprio campo di azione. Un invito alla concretezza poggiando su solide basi di pensiero che non mi pare affatto disprezzabile.
Ne trarrei qualche spunto per una discussione non occasionale sul nostro sistema educativo, sia in termini di competenze finali che di contenuti e processi di insegnamento-apprendimento. Tornano ad avere ruolo centrale questioni come esercizio del pensiero critico ed abilità logiche, ma anche unità della cultura umanistica con quella scientifica e tecnologia, interrelazione di testa e mani, capacità di relazione umana e di lavoro socialmente orientato.
Di fatto sembra essere all’inizio di una nuova fase della rivoluzione moderna, che non è più ideologica ma nemmeno più solo tecnologica perché punta sulla valorizzazione della capacità umana di interpretare e modificare il mondo. Come ha detto già anni fa Edgar Morin, è venuto il momento di ritrovare le interrelazioni tra le domande fondamentali, in sostanza il gusto dell’unità di pensiero, e con ciò la capacità di riflettere e di problematizzare. Perciò cambiano anche i criteri con cui ragionare intorno ai processi educativi. Quando si capirà bene negli ambienti di governo ciò che sta avvenendo in termini di sistema e si agirà di conseguenza sarà sempre troppo tardi. Temo che a livello locale e delle regioni lo sarà ancora di più.