di Mario Tiberi
Ci troviamo alle porte della Pasqua di Risurrezione e, come per il Natale, è tempo di avvento, cioè di attesa di uno dei due avvenimenti che hanno azzerato l’orologio della storia dell’Umanità e lo hanno fatto ripartire con le lancette dei minuti e delle ore orientate nel segno dell’amore e della fraternità. Ma questo è un arcano dogmatico che impegna in prima istanza la coscienza e l’animo dei credenti mentre io, pur fervido credente e con l’auspicio che mi sia perdonata la mescolanza tra sacro e profano, ambisco a discettare di questioni molto più contingenti e temporali.
L’anno in essere è già gravido di fatti ed eventi che portano in sé la potenzialità di influenzare i gradi successivi della qualità di vita di intere popolazioni, a partire dalle comunità locali meno dimensionate fino a quelle di livello intermedio o metropolitano.
I destini del nostro Pianeta si giocheranno principalmente su tre fronti, tutti ancora aperti e l’uno non meno importante degli altri: il surriscaldamento della crosta terrestre che, a causa di sempre più massicce immissioni di anidride carbonica nella ionosfera, provocherà anche nel periodo più prossimo sconvolgenti e, ad oggi, forse non immaginabili cataclismi da Libro dell’Apocalisse; il terrorismo internazionale che dall’asse sirio-iraniano-africano è pronto ad esplodere e colpire in ogni momento a guisa di una polveriera innescata; la pressione gigantesca che le tre grandi potenze emergenti, Cina, India e Brasile, stanno esercitando sugli assetti mondiali nei settori dell’economia, della finanza e degli equilibri sociali con prevedibili conseguenze di future guerre ideologiche tra nuovi ricchi e nuovi poveri e viceversa.
E’ di ampia evidenza che si sta parlando di temi capaci di far accapponare la pelle anche ai più temerari e che, se lasciati fluire senza essere governati da polsi di acciaio, rischiano di soffocare in un abbraccio mortale i già traballanti ordinamenti statuali moderni e, con loro, le civiltà millenarie da essi edificate. Il quadro nazionale non è meno allarmante e, proprio per questo, non consente di abbassare la guardia almeno per quel che concerne la capacità e la volontà politica di afferrare con forza, una volta su tutte e per portarla a favorevole soluzione, la questione italiana “per eccellenza” da sempre: ridurre, fino a colmarlo, il divario strutturale e tecnologico tra Nord e Mezzogiorno poiché, fino a quando avremo una comunità nazionale impegnata in un estenuante ed inesauribile tiro alla fune, non potranno essere seriamente affrontati i nodi cruciali e decisivi della lotta alla povertà, alla arretratezza culturale e ai fenomeni malavitosi tipici del Meridione d’Italia e che, negli ultimi lustri, si stanno espandendo a macchia d’olio pur nell’Italia di centro e finanche nel Settentrione.
In tale contesto si colloca altresì la ormai quasi cinquantennale esperienza amministrativa della Regione Umbria che, a detta di molti, è l’ultima realtà territoriale del Nord e la prima del Sud. Come a dire che non è né carne né pesce e, in un certo senso, un fondo di verità pare esserci in codesta definizione. Recenti indagini macroeconomiche attestano che l’Azienda Umbria, nel suo complesso, è praticamente ferma da un decennio a questa parte con i grandi poli industriali in gravi difficoltà recessive e le piccole e medie imprese che, a stento, riescono a sopravvivere.
In queste condizioni, l’ansimante annaspare del governo regionale a guida PD rappresenta una immane iattura: vi è, all’opposto, l’assoluta necessità di nuove idee propositive, di nuove risorse ed energie umane in grado di elaborarle e portarle a compimento. Sarebbe, infatti, sciocco e irresponsabile il solo pensare che nulla può essere esperito per sottrarre, democraticamente, il timone del comando ad una dirigenza politica arrugginita ed involuta.
Per le vie e le piazze della nostra Regione si sente circolare la voce, basata su logiche viete e stantie, di uno scellerato arroccamento e avvitamento della Governatrice su se stessa pur di non essere scalzata dal suo scranno di potere. Di tutto l’Umbria ha bisogno fuorché di riciclaggi più o meno scoperti ed avventati. Ancor più preoccupante è lo stato di salute del comprensorio orvietano non perché è mal rappresentato: non è rappresentato affatto!… Che, all’avvento di risorgenza, segua almeno lo spiraglio di un’alba di chiarore e di speranza: ne abbiamo tutti diritto e desiderio.