Gianluca Foresi interviene in merito all’opera di ristrutturazione della facciata di uno degli edifici che si affacciano su piazza Duomo. Non molte settimane fa a sollevare il caso parlando di una piazza deturpata da un restauro che non ha tenuto conto dell’importanza storico-artistica” degli immobili, era stato il responsabile di Italia Nostra Lucio Riccetti.
L’intervento integrale di Gianluca Foresi:
Qui si parla di come il moderno dovrebbe inchinarsi all’antico per il sacro rispetto e riguardo che è d’obbligo per chi c’era prima, e di come l’antico dovrebbe soggiacere al suo declino o lento disfacimento in favore di un più utilitaristico e profittevole moderno che dal canto suo permetterebbe a quello di guardare con rinnovata e “restaurata” speranza al futuro di entrambi.
Mi sovviene la famosa querelle fra gli antichi e i moderni che esplosa in Francia fra il XVII e il XVIII (querelle des anciens et des modernes) affondava le sue radici in verità in Italia, nel Quattrocento per la precisione, quando i difensori della letteratura volgare cercavano di respingere gli assalti di rigidi umanisti spregiatori dell’antico, adoratori del nuovo. Fu però in Francia appunto che assurse a grande disputa, quella Francia che poco dopo dette vita al secolo dei Lumi.
Per calarla nella nostra realtà, dove pare che i Lumi si siano spenti o forse mai accesi, ma dove invece gli accessi di protagonismo non si affievoliscono, ne è un esempio l’estensore di questa nota che insieme a molti sembra non poterne farne a meno, c’è da parlare della diatriba che si è innescata in seguito al rifacimento delle facciate in Piazza Duomo. Un noto esperto e studioso della materia quale Lucio Riccetti solleva una questione importante, che non può essere fatta passare solo come semplice chiacchiera da Facebook, (l’espressione ormai va a sostituire la vetusta e obsoleta chiacchiera da Bar) ma nemmeno ormai, nell’era del social invadente e dei cretini da tastiera (si sente una strana ECO) solo come critica accademica, di esperti, conoscitori del tema e della materia. Quelle Facciate sono S-Facciate, l’uso di quei colori non corrisponde ai canoni e ai criteri dettati, selezionati e corrispondenti alle tecniche usate in epoche coeve alla costruzione di quelle case.
Qualcuno dice che è La stessa soprintendenza che ha avallato l’intervento, quindi dovrebbe essere tutto regolare. Ma poi ci si domanda se essa stessa sia a conoscenza delle regole base che probabilmente si è data per poter intervenire in questi casi sulla Piazza più importante che abbiamo e che è il nostro biglietto da visita per il mondo? Chi ha sbagliato, Pagliuca? Avrebbe esclamato Boskov.
È il caso di dire che su FaceBook se ne leggono di tutti i Colori e anche il sottoscritto si è lanciato senza paracadute a esprimere un parere che non vuole essere per nulla tecnico, non avendone i mezzi, ma semplicemente di gusto e utilità.
Quelle facciate che affacciano (il bisticcio di parole è voluto e evoluto) sulla Piazza del Duomo che ora si spiazza. Sono d’accordo sul fatto che sia necessario un attento studio delle fonti, ma a questo punto dovremmo allora far togliere le porte di Emilio Greco dal Duomo e farci rimettere quelle di legno; ricorderete la grande polemica che ci fu allora. Ora invece sarebbe quasi sacrilego togliere quelle attuali.
Se considerassimo le case e le sue facciate delle opere d’arte, come lo è il Duomo e come lo sono le porte di Emilio Greco, allora potrei essere d’accordo con l’argomentazione che i materiali usati per il rifacimento delle facciate avrebbero dovuto rispettare i criteri della costruzione dell’epoca.
Essendo quelle comunque una semplice opera di artigianato, anche se di un’epoca coeva al Duomo e che solo per ciò non fa di queste cosa similare (non potendo avvalerci della proprietà transitiva nemmeno opere d’Arte), credo si possano applicare le regole dell’artigianato attuale tout court, sempre che ovviamente rispettino dei criteri estetici e che non vadano a cozzare totalmente con il luogo dove insistono. Detto questo vorrei citare un grande esempio di intervento moderno che incide su un luogo storico: la piramide di acciaio (credo) e vetro posta sulla piazza dove domina il Palazzo del Louvre che ospita il Museo (anch’esso frutto di evoluzione storica); non credo che questa, al di là della bellezza/bruttezza soggettiva, possa essere considerata solo un’opera d’arte, sebbene di grande valore, ma piuttosto un prodotto ingegneristico/architettonico, che comunque ad oggi resta uno dei più fulgidi esempi di contaminazione fra epoche storiche e stili, riconosciuto a livello mondiale da esperti e storici dell’arte.
C’è chi grida, forse a ragion veduta, allo scempio del tempio, che non tiene conto del tempo in cui la cattedrale è stata costruita, e che quindi a meno che non si vogliano riesumare i pittori e gli architetti dell’epoca, almeno si tenga conto dei materiali e delle tecniche usate. Colori non acrilici ma naturali, fatti con la tecnica del coccio pesto e via di seguito. Per carità tutto giusto, tutto filologico, tutto in linea con la delicatezza dell’intervento da portare a compimento in quel luogo che tutti noi amiamo e ammiriamo e che il mondo ci invidia.
Tutto anche condivisibile, se visto dal lato puramente strettamente estetico e forse estatico, dato che siamo vicino a un luogo dove il divino si rap-presenta all’umano, ma questa piazza ormai deve tornare a vivere e oltre il divino deve potersi riaf-facciare anche l’uomo, inteso come umanità (sai, sennò la Boldrini mi bacchetta), e più in particolare il turista che troverà una piazza riportata ad uno splendore e una pulizia, che non può che far del bene e agli occhi e all’anima.
Non mi dite che quelle croste sulle facciate dei palazzi erano in linea con il fulgore e lo sfavillio della madre di tutte le Facciate. Perché questa città oltre che bella dovrà prima o poi essere utile e calata nella realtà e nel tempo presente altrimenti diventa solo un patrimonio tombale funebre dell’Unesco. Sulla piazza allora via le macchine anche solo di passaggio e dei raduni, via la fermata dell’autobus, via i tavoli , via gli ombrelloni via le scritte dagli esercizi commerciali, via la passerella sulle scale del Duomo, via l’albero di Natale, via Gelati d’Italia, via slow food , e guai a chi entra vestito con abiti non storici.