ORVIETO – «Più lo si tiene nascosto, più siamo complici del loro lasciarsi morire. Non è una colpa avere un figlio tossicodipendente: lo è nasconderlo, perché ciò non fa altro che lasciarlo solo nella sua dipendenza. Solamente attraverso un’alleanza tra genitori ed associazioni si può cercare di sconfiggere il problema».
Parole forti, ferme quella di Monia Antonini presidente dell’associazione dei genitori Age, sintomatiche di una tendenza errata a fare finta che tutto va bene, che quello della droga non può essere un problema di mio figlio. Ma non è così.
E il silenzio assordante di questi genitori dice molto. A poche ore da quei sei arresti che hanno visto protagonisti baby pusher orvietani, in città c’è ancora sgomento, incredulità. «E’ un fenomeno molto preoccupante – aggiunge la presidente – e soprattutto sinonimo di un malessere che, purtroppo, tutti vogliamo tenere nascosto. Non dovremmo vergognarci, anzi, dovremmo allearci, creare una rete tra genitori, scuola e istituzioni per affrontare i problemi da vicino, aprirci e cercare di capire il perché è successo a me o anche solo il perché è successo». Sentendo anche qualche studente all’uscita della scuola alcune affermazioni pesano come macigni. «Tutti sanno, ma nessuno parla e denuncia».
E sicuramente la società di oggi non aiuta. «Siamo sommersi da questa tecnologia – aggiunge Antonini – che non fa altro che isolarci ognuno nel nostro piccolo mondo dove i problemi non esistono. I giovani di oggi non dialogano più come si faceva un tempo. Lo fanno, sì, ma davanti a un telefonino e quando ci si trova di fronte ad una realtà purtroppo incancrenita, intervenire è ancora più difficile».
Una fotografia, questa, condivisa anche da altri genitori. «Leggere queste notizie significa che la nostra comunità ha fallito. Questa società non ha saputo creare ideali perché i nostri ragazzi non hanno più obiettivi, progettualità, hanno paura e sfiducia verso il futuro» dice Patrizia San Giorgio, madre di due giovani ragazzi di 17 e 22 anni. «Dare la colpa a qualcuno ci fa sentire assolti e ci impedisce di metterci in discussione ognuno per le proprie responsabilità. Non bisogna far finta di niente o che la cosa non ci riguardi da vicino. Anche se non siamo coinvolti personalmente, alla fine, è come se tutti lo fossimo».
Omertà e silenzio. Queste le parole che fanno eco quando si parla di giovani, giovanissimi che si drogano, smerciano polvere bianca tra i banchi, ai giardinetti, fuori dal bar. «Non esiste una bacchetta magica che faccia sparire il problema – aggiunge un’altra mamma – ma ascoltando i propri figli, non nascondere la testa sotto la sabbia e condividere il problema anche con altri genitori si impara a esserne consapevoli e soprattutto a gestire la tossicodipendenza del familiare in modo appropriato, con un certo distacco e con serenità d’animo». Ora questi baby pusher compariranno davanti al giudice per l’udienza preliminare lunedì mattina alle dieci. Si deciderà del rinvio a giudizio dei ragazzi, descritti nell’ordinanza come una sorta di baby gang, responsabile di un numero impressionanti di casi di spaccio, oltre seicento, documentati dai carabinieri dallo scorso settembre fino allo scorso febbraio. (Sa.Simo)
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