ORVIETO – La 25^ edizione delle “Giornate di Primavera” del FAI è dedicata ad I LUOGHI DI IPPOLITO SCALZA l’artista di cui quest’anno ricorre il Quarto Centenario della morte (1532-1617). Sono ben 17 le tappe dell’itinerario scalziano proposto dal Gruppo FAI di Orvieto.
Ad Orvieto: la Casa dell’artista, Palazzo Clementini, Chiesa della SS Annunziata, Palazzo Gualterio, Palazzo Guidoni, Palazzo Crispo-Marsciano, Palazzo Buzi, Duomo, Convento di San Francesco, Palazzo Monaldeschi, Palazzo Comunale, Pozzo di Piazza dell’Erba, Palazzo Caravajal, Chiesa di Sant’Agostino. Villa Ciconia. Inoltre, la Chiesa San Nicolò a Baschi e la Chiesa Santa Maria Nuova a Ficulle.
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Ippolito Scalza nacque ad Orvieto probabilmente nel 1532, da Francesco muratore; è documentato per la prima volta nel 1554 a servizio della Fabbrica del Duomo come collaboratore di Simone Mosca e Raffaello da Montelupo nella realizzazione della cappella marmorea della Visitazione. Nelle sue prime opere di scultore e architetto è infatti ben ravvisabile l’influsso diretto dei due artisti fiorentini, specialmente del Montelupo che aveva lavorato con Michelangelo a Firenze nella Sagrestia Nova (Tombe Medicee) e a Roma in Castel Sant’Angelo.
Da Michelangelo, Scalza comprese quel metodo compositivo in cui venivano esaltati gli elementi che filtravano l’architettura attraverso una visione scultorea, fatta di drammatiche intersezioni di campi di forza. Nel 1567, alla morte di Raffaello da Montelupo, Scalza rivolgeva un’istanza all’Opera del Duomo per succedergli come capo-maestro, enumerando le proprie qualità e capacità, e affermando di aver già avuto varie proposte di lavoro fuori di Orvieto. Fu allora confermato nell’incarico dalla Fabbrica e lavorò in Duomo per cinquant’anni esatti fino alla morte avvenuta 400 anni fa, nel 1617.
La sua fortuna come scultore è legata alla fama della Pietà, il gruppo marmoreo che scolpì da un monolito nel 1578, e del San Tommaso, la statua dell’apostolo-architetto (1587) che reca le sue sembianze. Ricoprì frequentemente anche cariche pubbliche in Orvieto, da dove non si allontanò mai se non per brevi periodi: a Montepulciano, per la costruzione del duomo, e a Todi per portare a compimento due grandi chiese a pianta centrale, il Tempio della Consolazione e il SS. Crocefisso. Fu anche un ottimo rilevatore e cartografo: frutto di questa sua attività è la stesura di una veduta topografica di Orvieto (1564).
La progettazione e la realizzazione delle opere più impegnative di Ippolito Scalza nel campo dell’architettura civile sono confinate nell’arco di soli 15 anni, tra il 1567 quando iniziarono i lavori per il palazzo Clementini e il 1581, data di riferimento per il palazzo Viscontini di Acquapendente.
Dopo, concentrò con umiltà i suoi impegni a servizio della Cattedrale e della città. Fedele a questo ideale di vita e di professione, Scalza accettò i salari minimi delle pubbliche amministrazioni e i pagamenti spesso in natura di altri committenti, ma soprattutto accettò di buon grado di completare le opere di altri architetti senza stravolgerne l’impronta (Palazzo Marsciano, S. Lorenzo in vineis e Palazzo Monaldeschi, iniziati rispettivamente da Antonio da Sangallo il Giovane, Raffaello da Montelupo e Simone Mosca).
Non vide completati molti suoi progetti: quello per l’interno del Duomo, per la facciata del palazzo Comunale e per tanti altri edifici come il palazzo Clementini o la chiesa dell’Annunziata. Ma in molti suoi interventi effettuati su strutture pre-esistenti, riuscì a integrarle in un’architettura unitaria (palazzi Clementini, Buzi, Caravajal) oppure a rinnovarle, “modernizzandole” con l’uso di stilemi rinascimentali, come nel palazzo Comunale.
Come architetto, Scalza si mantenne coerente a una personale logica compositiva: ai modelli manualistici codificati dalla Maniera preferì il “fare architettura” dall’interno, seguendo in questo la via aperta da Michelangelo: analizzare gli elementi costitutivi dell’ordine architettonico per ricomporli insieme in senso scultoreo, cioè immaginandoli sottoposti a campi di energia che scaturissero dalla massa muraria stessa. Un metodo che fu poi fatto proprio dai grandi architetti del Barocco.
Molte sono ancora le incognite da affrontare per comprendere a fondo la personalità di questo grande e misconosciuto artista, a 400 anni dalla sua morte: Ippolito Scalza, un orvietano nel solco di Michelangelo.
(Fonte: Gruppo FAI Orvieto)