da SaveOrvieto
La domanda è legittima. Ma i lavoratori non siano strumentalizzati dagli interessi delle aziende coinvolte. Un lavoro è un diritto. E nessuno fra coloro che chiedono la chiusura della discarica Le Crete deve far finta che il problema dei lavoratori non esista. Ma è sbagliato anche dire che chi vuole chiudere la discarica vuole togliere lo stipendio ai lavoratori. Il loro futuro deve essere preso in carico dalla nostra comunità e, poiché insieme alla volontà di chiusura della discarica noi poniamo altri elementi, si può dire che il loro posto di lavoro o un loro posto di lavoro non è messo in dubbio. Chiedere la chiusura della discarica significa comunque definire una data e comunque il 2020 da un margine di tempo utile a fare tante cose. Quali?
Per esempio pensare alla gestione post mortem della discarica. Questo significa che alcune competenze e alcuni posti di lavoro ci saranno. Poi dire no ad un centro di compostaggio, non significa dire no ad altri possibili progetti. Noi pensiamo che, in ogni caso, Orvieto e l’orvietano possano comunque far parte della filiera di solidarietà legata al riciclaggio dei rifiuti. Ma, per esempio, perché non possiamo scegliere una parte pulita della filiera?
Un esempio che lanciamo nella discussione. Immaginare un centro per il recupero differenziato dei materiali di cui sono composte le apparecchiature elettriche ed elettroniche. Lì dentro ci sono materiali come rame, ferro, acciaio, alluminio, vetro, argento, oro, piombo, mercurio. Possiamo intervenire su questo, evitando così uno spreco di risorse che possono essere riutilizzate per costruire nuove apparecchiature oltre contribuire alla sostenibilità ambientale. Immaginiamo, allora, un centro per il trattamento dei RAEE che è regolamentato dalla Direttiva RAEE (o Direttiva WEEE, da “Waste of electric and electronic equipment”). Si tratterebbe di un settore maggiormente qualificato, meno impattante a livello ambientale e che potrebbe dare vita anche a filiere produttive secondarie per il nostro territorio. E permetteteci, meglio smontare apparecchiature elettroniche piuttosto che trattare il compost. In una fase in cui si ridefinisce il piano regionale dei rifiuti, Orvieto può candidarsi a questa ipotesi e così rispondere anche alla giusta esigenza di chi vuole conservare il proprio posto di lavoro.
Ma nessuno, però, deve utilizzare la paura del lavoro che si perde in una funzione di spauracchio sociale. I diritti alla salute, all’ambiente, alla conservazione del territorio, alla valorizzazione delle nostre peculiarità, non possono essere barattate con un lavoro. Altrimenti giustificheremmo tutto. Compreso quel che è successo a Taranto con l’Ilva o a Venezia con Marghera. Il dovere di chi rappresenta questa comunità è anche quello di mettere in atto politiche del lavoro utili. Ma il ricatto di un lavoro a qualsiasi costo non può passare nella nostra città.