Ancora un proverbio, ma questa volta di portata filosofica: “Prima o poi la realtà viene a galla”.
di Franco Raimondo Barbabella
“Prima o poi la realtà viene a galla” è, oltre che un famoso proverbio, anche l’inizio di un libro del filosofo Maurizio Ferraris, il cui titolo “Emergenza” non indica tanto una situazione imprevista, una condizione che si crea all’improvviso e che richiede un intervento immediato, quanto piuttosto ciò che, pur dipendendo da certi fatti, si stacca da essi, appunto emerge, viene a galla.
Ecco, la realtà è questo, qualcosa che, per quanti sforzi si facciano per occultarne presenza e significato, prima o poi, almeno nella sua sostanza, emerge. Nella natura, per le dinamiche complesse del suo continuo divenire; nel mondo umano, per l’opera incessante di ricerca alimentata dal desiderio di conoscenza. È accaduto e accade continuamente così nelle scienze della natura, in particolare in fisica e in biologia, come nelle scienze umane, dalla psicologia alla sociologia, dall’economia all’antropologia, fino alla politica.
Sì, anche nella politica, la scienza umana apparentemente più resistente alla verifica della realtà, accade che “la realtà prima o poi viene a galla” e spazza via in un attimo, magari un po’ prolungato e bollente, tutte le mistificazioni vendute spesso come nobili illusioni. Tre esempi, due rapidi e uno un po’ meno. Si pensi a Berlusconi e alla sua promessa di modernizzazione liberale: un’illusione durata un ventennio, ma alla fine “emersa” per quello che era, appunto un’illusione. Si pensi all’operazione pentastellata del duo Casaleggio-Grillo e alla sua promessa di uscire dai mali italiani con la duplice prassi di democrazia radicale (uno vale uno) e di nuova classe dirigente lontana dai vizi della vecchia (purezza, trasparenza, ecc.): un’illusione durata molto meno di quella berlusconiana, ma anch’essa “emersa” ormai come tale essendo palese realtà di ogni giorno.
Si pensi da ultimo all’idea renziana di una modernizzazione a tappe forzate per via di rottamazione di persone, metodi e istituzioni. Annuncio roboante e pratica effettiva di rivoluzione durata quasi due anni, poi virata personalistica (un uomo solo al comando), riforme raffazzonate, mance colossali, deficit galoppante, sonora sconfitta referendaria. Logica la sconfitta referendaria: la realtà è venuta a galla. Ma logico anche lo sfascio del PD? Io penso di sì, e addirittura a maggior ragione perché “la realtà è venuta a galla” con tutta la sua forza.
Il motivo non è certo semplice né da pensare né da dire su due piedi. Tuttavia, seppure con un giudizio un po’ sbrigativo, si deve dire che ciò che sta accadendo non poteva non accadere. Come si poteva infatti pensare che avrebbe funzionato la fusione a freddo di DC e PCI se non attraverso una gestione improntata a puro potere e a convenienze il più delle volte delle sole classi di comando? L’operazione ha retto finché c’erano risorse disponibili e carriere garantite o quasi. Ma quella fase è finita, e quella classe dirigente non era pronta a porsi come classe di governo di una fase del tutto nuova, molto competitiva e selettiva, molto progettuale, molto di qualità.
Quello che oggi viene vissuto come dramma di un corpo che si scinde suscita davvero stupore solo perché avviene così tardi e con modalità arzigogolate. Il PSI si era spalmato, la DC si era spalmata ancora di più, il Pci si era frantumato in diverse sigle, i partiti minori erano spariti. Conseguenza dell’89: caduta dei muri, interni ed esterni, tangentopoli e mani pulite. Finita la guerra fredda e il mondo diviso in due, ognuno sarebbe dovuto andare verso il proprio luogo naturale, seguendo almeno un modello europeo, collegandosi alle grandi famiglie della politica continentale. E comunque i conservatori con i conservatori, i progressisti con i progressisti. Davvero troppo semplice!
Ma il guaio è che in Europa nella maggioranza dei casi i progressisti erano laici e si chiamavano socialisti, laburisti, addirittura socialdemocratici. E come si poteva pensare che un comunista o un democristiano sopportasse di considerarsi e di essere considerato e chiamato socialista? Ed ecco allora meglio il papocchio! Ma appunto, “la realtà prima o poi viene a galla” e si vendica delle illusioni, che siano buone o cattive poco importa. Perciò la separazione di oggi non è, come pensa Veltroni, “un rancoroso ritorno al passato”, ma un fatto molto più semplice, l’indicazione di una possibilità, questa sì di vecchio conio, quasi una rivincita della natura: i riformisti con i riformisti, i postcomunisti con i postcomunisti.
Una possibilità, che però non sarà nemmeno ora qualcosa da trasformare in realtà in modo semplice e lineare. Basti solo pensare che il togliattiano Massimo D’Alema oggi con naturalità si definisce socialista, generando l’impressione che quando in casi del genere si pronuncia la parola socialista la si intenda non con riferimento al socialismo democratico ma al socialismo realizzato, quello sovietico, cioè comunista.
E così l’equivoco continua nella parte di chi se ne va. Come continua però anche nella parte di chi resta, a partire dallo stesso Renzi. A quale ispirazione ideale ci si riferisce? Con quale visione e quale programma essenziale? Con quale classe dirigente centrale e articolata sul territorio? Partito autosufficiente alla Veltroni o riscoperta delle logiche di coalizione? Dunque: quale legge elettorale? Pluralismo vero o personalismo? E via domandando.
Io penso che siamo solo all’inizio di un altro pezzo della lunga fase di transizione italiana, il cui esito è ancora tutto da capire e soprattutto da determinare. Forse, dico forse, un po’ di spazio per chi avesse voglia di impegno civico con mente e cuore sgombri da pregiudizi e pesanti condizionamenti ci potrebbe essere. Insomma, come sempre, la storia non riparte mai da zero, ma quella da scrivere porta anche la nostra responsabilità, per qualcuno di più, per qualcuno di meno, però con nessuno completamente escluso.
Che “prima o poi la realtà viene a galla” è un proverbio utile per spaventare i bugiardi, ma che non può essere preso come dogma. Se un grosso meteorite avesse scassato il pianeta Terra prima che fossero vissuti Copernico e Galileo, la realtà che la terra ruota intorno al sole, e non viceversa, non sarebbe mai venuta galla. Qualche sapiente della Grecia antica l’aveva intuito, ma non l’aveva dimostrato. Se la guerra fredda fosse sfociata nell’olocausto nucleare, non sarebbe mai stato scoperto il bosone di Higgs. La realtà esiste, ma non si sa quando e se verrà a galla, cioè sarà conosciuta dagli esseri umani. E, quando viene galla, a meno che non siamo nell’ambito della fisica, può essere estremamente confusa, soprattutto se si tratta di realtà politica. Il tentativo di capire ciò che sta accadendo nella politica contemporanea è talmente condizionato dalle nostre emozioni, cioè della paure, dai rancori e dalle delusioni che tutto appare confuso, almeno a me. Se non avessi figli e nipote tenderei a fregarmene; ma sinceramente non ci riesco. Non potendo prescindere dalla mia educazione e formazione, confesso che la crisi della destra mi lascia indifferente e la crisi della sinistra mi diverte. Ciò che mi preoccupa è la latitanza del centro. Non del centro che si sposa con la destra o con la sinistra, ma del centro che mantenga la testa a posto, non si faccia condizionare dalle fissazioni utopiche e dai cascami delle ideologie. Un centro che metta in riga, col proprio realismo, sia la destra che la sinistra. Un momento di vitalità di questo tipo di centro è stato il governo Monti, che ha salvato l’Italia dalla bancarotta con medicine indispensabili, ma tanto amare che gli hanno precluso la soddisfazione di occuparsi della ripresa economica. Lo spazio lasciato libero dal centro è occupato dal M5S, che non si confonde né con la destra né con la sinistra, ma che sostiene banalità non sopportabili da parte della gente di centro. Vedremo se Mattei Renzi coglierà l’occasione per smarcarsi definitivamente dalla sinistra senza nulla concedere alla destra.
In politica, come nella pubblicità, è il momento dei chiacchieroni
di Pier Luigi Leoni
Le “magnifiche sorti e progressive” delle opulente società occidentali si sono arenate in una crisi planetaria che prelude al livellamento con le società sottosviluppate. Le culture che si ritengono superiori devono confrontarsi col resto del mondo, non solo a causa delle massicce, irrefrenabili e incontrollabili migrazioni, ma soprattutto a causa di internet e dell’evoluzione delle traduzioni automatiche tra tutte le lingue del pianeta. Tutto questo subito dopo l’eclissi delle ideologie, che aveva già costretto a fare i conti con la realtà. Si è aperta un’era in cui chi vuole attirare l’attenzione delle masse non può contare su una casacca ideologica, né gli basta avere delle idee e raccontarle, ma deve adeguarsi al libero e sfrenato dilagare della stupidità delle masse.
La stupidità delle masse, come le particelle subnucleari che non sono osservabili neanche coi più potenti microscopi elettronici, è una realtà virtuale, nel senso che se ne avverte l’esistenza e se ne misura la forza non direttamente, ma per mezzo dei fenomeni che provoca. Lo strumento moderno per misurare la stupidità delle masse è la pubblicità. La stupidità dei messaggi pubblicitari è commisurata alla stupidità dei consumatori. E cresce continuamente.
In questo contesto, i politici possono avere successo solo se adottano il linguaggio della pubblicità. Quindi devono avere la lingua sciolta e dare un tono enfatico alle loro affermazioni. A tutto questo ci siamo abituati, ma la vicenda precongressuale del Partito Democratico sta confermando questo fenomeno. Dal PD se ne sono andati una schiera di pallosi a cominciare da Bersani e D’Alema, e altri pallosi sono rimasti, a cominciare da Cuperlo. A contendersi il primato sono rimasti due chiacchieroni: Renzi ed Emiliano; alla schiera dei pallosi non è rimasto altro che mandare allo sbaraglio il pallosissimo Orlando, che già ha cominciato a dire troppe cose sensate.
Accettiamo per un attimo la tesi che la partita interna al PD (oramai, in sigla, DP versus PD) sia tra scilinguagnolo e pallosità nel tentativo di adottare gli uni meglio degli altri il linguaggio della pubblicità che, essendo tagliato sulla stupidità delle masse, consentirebbe di catturarne il favore. Tesi suggestiva, peraltro non nuova, perché non è nuovo il presupposto: la stupidità evidenziata dalla credulità e caratterizzata da trabordante superficialità. Basti un po’ di storia.
Il commediografo berbero-latino Publio Terenzio Afro (II° sec. a.C.) poteva già scrivere qualcosa di significativo sulla credenza che fa aggio sulla realtà : “Tu credi in ciò che speri ardentemente”. E il filosofo inglese Francesco Bacone all’inizio delle rivoluzione scientifica (XVII° sec.) nella sostanza ribadiva lo stesso concetto: “L’uomo preferisce credere ciò che preferisce sia vero”. Ma queste non sono ancora analisi a tutto tondo della stupidità, tanto meno di quella individuale applicata alle masse, anche perché allora non esisteva ancora la società di massa e con essa il suo concetto. Al massimo possono essere viste come un’anticipazione profetica del profeta della comunicazione pentastellata.
Un’analisi scientificamente corretta (ovviamente ironica) della stupidità umana, e come tale applicabile anche alle masse, è invece quella ormai classica del grande storico dell’economia Carlo Maria Cipolla, pubblicata per la prima volta nel 1988 con il titolo “Le leggi fondamentali della stupidità umana” come secondo saggio di un delizioso libriccino della casa editrice Il Mulino dal titolo significativo “Allegro ma non troppo”. Di essa vale almeno citare la prima, la quinta e soprattutto la terza (e aurea) legge fondamentale. La prima dice: “Sempre ed inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione”. La quinta: “La persona stupida è il tipo di persona più pericoloso che esista”. E finalmente la terza (e aurea): “Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita”. La scienza storica e quella economica che, messe insieme nella testa di un geniale autoironico narrastorie, oltre a farci sorridere, ci fanno anche cogliere qualcosa della realtà? Fate voi.
Però la storia che la lotta interna al PD sia una gara ad acchiappare la stupidità delle masse, beh, insomma, mi fa venire qualche brivido lungo la schiena. Anche perché, se la prendiamo per buona, la dobbiamo poi inevitabilmente congiungere con “la fiera delle illusioni” sulle cui bancarelle gli altri partiti e movimenti piazzano anch’essi senza sosta le merci più fantasiose, talvolta già avariate. Fermiamoci qui.
Non tralasciando tuttavia di annotare che i giornali di ieri riferiscono di sondaggi sugli orientamenti elettorali degli italiani dopo la scissione piddina da cui risulta che le percentuali sia dei singoli partiti e movimenti che delle possibili aggregazioni non subiscono sostanziali variazioni tra prima e dopo. Che sia ancora il trionfo dello scetticismo italico? Che sia un’altra manifestazione della diffusa noncuranza per ciò che accade nel mondo politico, ritenuto il regno del tutto sempre uguale a se stesso? Che insomma alla fine abbia ragione Carlo Maria Cipolla, che ridendo e scherzando fotografa la brutale realtà? Bah, decidete ancora voi.