Dopo l’allarme lanciato nei giorni scorsi dal segretario nazionale Fabrizio Bonino, e la risposta del direttore del presidio penitenziario Luca Sardella il sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe torna di nuovo sulla questione del carcere di Orvieto con una missiva – a firma del segretario generale Donato Capece – indirizzata alle autorità nazionali e regionali dell’Amministrazione Penitenziaria, oltre che al direttore della struttura di reclusione.
Un modello di carcere – «L’istituto penitenziario di Orvieto – scrive Capece – viene spesso definito un ‘modello’, potendo vantare potenzialità per il recupero sociale dei condannati. Nel carcere orvietano esistono infatti officine per il lavoro del ferro, del legno e dei tessuti che, da anni, implementate e sviluppate, stanno producendo suppellettili e materiali necessari al fabbisogno di tutti gli istituti penitenziari italiani. Per questa ragione – afferma il segretario generale del Sappe – quella di Orvieto è una struttura che si presta ad essere un ‘Istituto a Custodia Attenuata’ per forme di trattamento avanzatissime che qualificano l’intero sistema dell’esecuzione penale italiano».
L’iter – «A riprova e testimonianza di ciò, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria il 16 luglio 2014 ha convertito la ‘casa di reclusione’ di Orvieto in ‘istituto a custodia attenuata’. Purtuttavia – prosegue Capece – il direttore del carcere orvietano Luca Sardella si è dichiarato fin dall’inizio totalmente contrario alla decisione dipartimentale, fino al punto di arrivare di chiedere l’avvicendamento alla guida dell’istituto. E in effetti, nei primi mesi del 2015, il direttore presentò realmente domanda di trasferimento con l’invio in missione alla casa di reclusione di Spoleto per quattro giorni la settimana.
Ciononostante, pur mantenendo la direzione dell’I.C.A. soltanto part time, lo stesso Luca Sardella, a nostro avviso, ha di fatto ostacolato l’evolversi della trasformazione semplicemente ‘non facendo’ nulla e continuando a manifestare pubblicamente il proprio dissenso verso il progetto».
«Il risultato dell’atteggiamento dell’autorità dirigente ha condotto, inesorabilmente, ad un lento e calcolato degrado della qualità del lavoro e ad un sottodimensionamento delle presenze fino al numero di 60 detenuti, nonostante le decine di istanze provenienti da tutta Italia, mai esaminate dal Got interno e, quindi, mai prese seriamente in considerazione. Inevitabilmente – scrive il segretario generale del Sappe – lo stato delle cose si è evoluto in un’unica direzione fino a quando si è arrivati alla richiesta ufficiale dello stesso direttore di riconvertire nuovamente l’istituto in ‘casa di reclusione a media sicurezza’, con un clamoroso dietrofront istituzionale, nonostante le risorse economiche investite nel progetto.
Significativa nella vicenda anche la posizione del Provveditore Regionale che, pur di non aver grattacapi, ha avallato la richiesta del direttore di Orvieto senza avere la minima cognizione di causa della situazione. Il tutto senza alcun coinvolgimento delle organizzazioni sindacali, delle istituzioni locali, della magistratura di sorveglianza e, soprattutto, del personale dipendente».
Aprire una trattativa – Da qui la richiesta, avanzata dal Sappe, di aprire in tempi certi e celeri un tavolo di trattativa presso l’ufficio del Capo di dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, «avente oggetto il ‘fallimento’ del progetto I.C.A. di Orvieto, per esaminarne attentamente le motivazioni e per l’eventuale individuazione delle relative responsabilità». Il sindacato ribadisce infine lo stato di agitazione, «riservandosi di adottare ogni utile e legittima iniziativa di protesta volta alla risoluzione della gravissima problematica».