di Dante Freddi
Chiedo al lettore di seguirmi in questo velocissimo e approssimativo volo sul passato politico per arrivare con più chiarezza, spero, al presente.
Durante gli anni malfamati della Prima Repubblica, da metà anni Settanta fino a Mani pulite, nel partito di maggioranza, la DC, ma anche negli altri, si sentiva pressante il bisogno di rinnovamento di metodi e di classe dirigente.
I governi duravano qualche mese e il sistema si era talmente deteriorato che era sufficiente una lotta interna più aspra tra le correnti dei partiti del centrosinistra che governava il Paese per portare a una crisi di Governo. Durata media dei governi sette mesi, litigiosità elevatissima, abbassamento straordinario del livello della classe politica, al di là dei leader, che erano gli intoccabili padri della patria, ormai nonni, non rasseganti a lasciare il testimone, convinti di essere imprescindibili.
Il rinnovamento, dicevano, non è questione d’età. Tutti, in qualsiasi area politica, resistevano.
Erano i padri della Patria, ma qualche volta, poiché dei padri non si parla male, ci si scorda del tutto che non si erano neppure voluti accorgere che esisteva la Mafia organizzata, mentre gli intrecci tra politica e Mafia avevano già ammorbato il Paese e lasciato scie di sangue lunghe decenni.
In tutti i partiti, il travaso dei rappresentanti del popolo da una corrente all’altra era del tutto usuale, come oggi da un partito all’altro. Questo tipo di trasformismo, non causato certamente da scelte ideali, avveniva in occasione di congressi e faceva parte delle azioni a volte necessarie per garantirsi la carriera politica. Nel PCI la prassi per conquistare il seggio e mantenerlo era diversa, ma la sostanza uguale.
Questo sistema, per ragazzi ventenni che come me si avvicinavano alla vita di partito all’inizio degli anni Settanta, era inconcepibile, malsano, distruttivo, epigone del trasformismo giolittiano che aveva portato l’Italia al Fascismo e andava combattuto all’insegna del Rinnovamento.
Per altri, per chi ci costruiva sopra carriera politica o professionale o un postarello alle Poste per il figlio era il modo per assumere il potere necessario ad essere utili agli amici e ai compagni, dove c’erano i compagni, e contare, poco o tanto.
L’idea dei costituenti era che gli eletti dal popolo fossero i migliori e che quindi dovessero essere liberi di comportarsi secondo coscienza, senza vincolo di mandato, non legati cioè alle scelte di partito.
Era inconcepibile l’obbligo di essere incatenati a un Partito, perché avrebbe limitato la libertà d’azione dell’INDIVIDUO, votato dai cittadini anche con centinaia di migliaia di preferenze.
Il principio, anche se è cambiata la legge elettorale, sono convinto che è valido ancora oggi.
I partiti però, intanto, si componevano e si scomponevano e il sistema proporzionale favoriva la nascita di partitelli vicini alla Destra o alla Sinistra, alla DC o al PCI. I princìpi andavano a farsi fottere, i migliori non si dimostravano sempre tali, ma nessuno si sognava di chiedere ad un INDIVIDUO di diventare deputato o senatore e votare per contratto.
C’è voluto Grillo e company per inserire furbescamente nel sistema una sorta di vincolo di mandato e stabilire quindi che chi si candida con i Cinque Stelle deve firmare un contratto con tanto di penalità pecuniaria, che ieri il tribunale di Roma, nel caso del sindaco Raggi, ha dichiarato non essere impedimento all’eleggibilità.
Spero che non finisca così, perché se il contratto sembra legale è almeno contrario alle più elementari regole della morale politica occidentale. È una schifezza, introduce di fatto il mandato imperativo, non voluto dai costituenti perché limite alla liberta e alla coscienza individuale.
La società Grillo&c e comitati di controllo succedanei nominati tra i fedelissimi dei padroni non si fidano del cittadino aspirante eletto, che deve garantire sudditanza nell’espletazione del suo eventuale ruolo pubblico.
La sudditanza ad una società privata è uno stato contrario al bene comune per definizione.
Se poi i padroni della Società dimostrano anche opacità, confusione e mancanza di princìpi ideali, come hanno dimostrato nei giorni scorsi in Europa i pentastellati, lasciamo perdere Roma, c’è da preoccuparsi davvero per la qualità della nostra democrazia.