Il tempo, il più galantuomo!
di Franco Raimondo Barbabella
Dicevano i nostri nonni che “il tempo è galantuomo”. Intendevano dire che, mentre è difficile attendersi dai nostri simili verità e lealtà nel presente delle azioni, il passare del tempo smussa gli angoli e le controversie, ripara torti e ingiustizie, fa emergere la realtà delle cose a dispetto delle falsità del momento.
Certo, quello che dicono i proverbi non sempre accade, ci vogliono comunque circostanze favorevoli e naturalmente la volontà degli uomini. Tuttavia, conferme del fatto che il passare del tempo, talvolta anche a distanza piuttosto breve, consente di capire meglio come stanno le cose, ne abbiamo parecchie. Eccone alcuni esempi.
La prima che viene da citare, data la sua stretta attualità, è la sentenza delle Corte Costituzionale sulla legge elettorale per la Camera detta Italicum. Matteo Renzi l’aveva voluta ad ogni costo, nell’evidente assunto che sarebbe stata applicata in un sistema monocamerale (solo in tal caso infatti aveva senso il doppio turno) ottenuto con la vittoria al referendum costituzionale di cui era strasicuro. Si è visto poi com’è finita. Sono bastati pochi mesi e la realtà ha dimostrato come la convinzione di molti che quella legge contenesse seri elementi di incostituzionalità era più che fondata.
L’altra conferma, sempre di stretta attualità, è la notizia dell’arresto di Massimo Ciancimino (il figlio di don Vito, ex sindaco di Palermo a suo tempo condannato per mafia) per detenzione di esplosivo e riciclaggio. È anche sotto accusa per calunnia e concorso in associazione mafiosa nel dibattimento in corso a Palermo sulla cosiddetta trattativa stato-mafia, ma la cosa importante è che è il principale teste d’accusa in questo stesso processo, imbastito dall’allora pm Antonio Ingroia e altri su elementi che molti, non ascoltati, fin dall’inizio hanno giudicato inconsistenti. Ma mesi dopo mesi e passo dopo passo (basti l’esempio di Calogero Mannino) sono caduti tutti i pezzi che sembrava ai promotori potessero tenere in piedi il castello. Questo è l’ultimo. Ancora non è finita ma, come negli altri casi, anche qui il tempo si sta rivelando galantuomo.
Una terza conferma, anch’essa italiana ed anch’essa attuale, seppure lunga di mesi, è la vicenda romana dei cinquestelle, che in questa fase ha nell’informazione di garanzia a carico del sindaco Virginia Raggi il suo momento culminante. Sono passate solo due settimane da quando, lo scorso 2 gennaio, sul blog di Beppe Grillo è stato pubblicato il “Codice di comportamento del Movimento 5 Stelle” e come d’incanto è emerso il senso dell’operazione: passare con disinvoltura dal giustizialismo al garantismo per non trovarsi impreparati di fronte ad un esito della vicenda Marra che già allora appariva scontato. Cioè semplicemente salvare la Raggi. Una furbata? No, è chiaro, una manovra furba e però anche un inganno studiato. E così, aggiungendosi anche questo ad un’ormai infinita serie di episodi di senso analogo, non solo Grillo e Casaleggio e quanti all’uno e all’altro fanno coro sbugiardano se stessi, ma rendono incontrovertibile la lettura di ciò che è un tale movimento, per il quale, a dispetto di tutti i proclami moralistici e legalitari, ciò che vale per gli avversari non vale per gli amici e viceversa.
L’ultima conferma, forse la più interessante, ce la offre un’importante vicenda internazionale: l’elezione di Donald Trump alla presidenza USA e la diffusione di quello che già viene definito il trumpismo. Claudio Cerasa qualche giorno fa ha rilevato sul Foglio lo strabismo di certa sinistra, quella che lui chiama “sinistra golosa di caviale” e no global, che per anni ha predicato e praticato l’opposizione alla globalizzazione ed esaltato il protezionismo (con tutto ciò che questo significa in termini di ostacolo alla libera circolazione, oltre che delle merci, anche delle persone e con esse delle idee) e ora fa finta di non accorgersi che Trump è in sostanza il suo stesso rispecchiamento. Egli applica il pensiero che loro hanno predicato e praticato. È bastato che la storia facesse il suo corso (che non è mai lineare) perché questo tipo di sinistra (Varoufakis, Iglesias, Corbyn, Mélenchon, Piketty, e da noi Fassina, Vendola, Carlin Petrini, ecc. ) si trovasse di fronte il mondo che aveva invocato per anni senza tuttavia riconoscerlo. Le stesse battaglie dei suoi avversari, quelle di Salvini e Meloni. La ragione per la quale Fassina e Santanchè di fatto la pensano allo stesso modo sull’Europa e sull’euro. E così alla fine anche qui il tempo ha fatto emergere la natura conservatrice se non reazionaria di certo proclamato apparente progressismo.
Concludo. Quel proverbio magari non sarà da prendere alla lettera, ma qualcosa di interessante ci indica. A patto che si sappia interpretarlo applicando le facoltà e le virtù che agli umani sono state date in dotazione e che però troppo spesso essi, per ragioni le più diverse, tendono a dimenticare di possedere. In ogni caso io ho avuto modo di sperimentarlo sulla mia stessa pelle.
L’opinione di Pier Luigi Leoni
Nel capitolo III dei “Promessi sposi”, Renzo Tramaglino, esasperato dalle ingiustizie subite, si congeda dalla fidanzata Lucia e dalla madre di lei Agnese, che inutilmente cercano di calmarlo:
«Qualche santo ci aiuterà,» replicò Lucia, «usate prudenza, e rassegnatevi.»
La madre aggiunse altri consigli dello stesso genere; e lo sposo se n’andò, col cuore in tempesta, ripetendo sempre quelle strane parole: «a questo mondo c’è giustizia, finalmente!» Tant’è vero che un uomo sopraffatto dal dolore non sa più quel che si dica.
Le ingiustizie, i dolori e le sofferenze, nel romanzo di Alessandro Manzoni, non sfuggono all’attenzione della divina provvidenza che orienta la storia degli esseri umani dandole un senso diverso da quello che le darebbe la stoltezza umana. È per questo che il romanzo manzoniano è nel mirino degli ateisti, che vorrebbero espungerlo dai programmi scolastici. Non sono convinto che la razionalità umana metta alla fine le cose a posto, perché negli esseri umani convivono la razionalità e la stoltezza. Quella stoltezza che, dopo pochi millenni di storia, sta portando l’umanità a sbattere. Le compagnie di assicurazione sanno bene che più un automobilista guida l’auto e più rischia di sbattere. E, secondo il calcolo delle probabilità, le migliaia di bombe nucleari che sono pronte all’uso nelle basi missilistiche e nei sommergibili in giro per i mari, prima o poi dovrebbero essere usate. Come si fa a non sperare nella divina provvidenza?
Cercasi chi abbia veramente voglia di governare
di Pier Luigi Leoni
C’era un tempo che gli Italiani facevano la fila ai seggi elettorali per dare i loro voti a partiti grandi e piccoli che promettevano e mantenevano le promesse: posti di lavoro con assunzioni clientelari nella pubblica amministrazione nazionale e locale, pensioni dopo quattordici anni, sei mesi e un giorno di lavoro, pensioni a categorie che avevano versato pochi soldi di contributi, case popolari con affitti irrisori, sanità gratuita e via dicendo. I partiti (tutti) s’erano inventati, e gli Italiani avevano digerito, una nefandezza come la famigerata legge Mosca che abbonava vari anni di contributi previdenziali ai galoppini veri e finti dei partiti. Bastava la dichiarazione del segretario provinciale. «Con un’unghia incarnita / eri un invalido per tutta la vita» canta Checco Zalone… e gli spettatori trovano il coraggio di ridere. Ma poi il meccanismo s’è inceppato, perché il debito pubblico è salito a cifre astronomiche e la comunità internazionale, non solo l’Unione Europea, ha messo l’Italia in castigo dietro la lavagna, con la faccia contro il muro e le mani dietro la schiena; pena la regressione dal primo al terzo mondo. La crisi economica dell’Occidente ha fatto il resto. Allora gli Italiani si sono incazzati contro i privilegi della casta politica che avevano benevolmente accettato ed eletto per decenni. Non c’è più la fila ai seggi e chi strilla contro la casta politica miete voti; ma non mi sembra che qualcuno abbia veramente la voglia di governare. Tutti s’aggrappano ai cavilli dei giudici costituzionali, che hanno una paura matta che qualcuno governi. Con una classe politica allo sbando, le leggi le fanno loro.
L’opinione di Franco Raimondo Barbabella
Non sarò certo io a sostenere che il crollo del regime partitocratico con cui è stata identificata la cosiddetta prima repubblica sia stato un male, giacché personalmente mi colloco tra coloro che non lo hanno amato e però hanno fatto nel loro piccolo ciò che era nelle loro possibilità per cambiarlo nello spirito della costituzione e di una sostanziale democrazia moderna. Mi colloco perciò tra gli sconfitti di quella lunga stagione politica.
Rilevo tuttavia che la nuova proprio nuova non è: semmai mantiene aggravati i vecchi vizi e non mostra di essere capace di nuove virtù. Da parte mia nessun rimpianto, ma la moda liquidatoria anche di ciò che di buono, buono sostanziale, che quella lunga stagione ha comunque prodotto, e non è affatto poca cosa, è quanto di più lontano non solo da un equanime giudizio storico ma anche dalla mia personale mentalità. Chi vuole far credere che con il suo arrivo ricomincia il mondo, è semplicemente un fabbricante di post-verità, un furbastro produttore di inganni, a cui possono credere solo coloro che non hanno strumenti per accorgersene o coloro che per diversi motivi proprio non possono fare altrimenti.
Per questo, sempre nel mio piccolo, io non demordo, perché ciò che è successo dopo, le cui conseguenze si vedono con nettezza oggi, ha dimostrato che gli attori nuovi hanno solo distrutto, introducendo falsi elementi di cambiamento e lisciando la pancia del popolo, certo in modo più raffinato, ma non meno dotato di forza corruttrice dello spirito pubblico e dello stesso sistema democratico. Perciò qualcosa di molto rilevante c’è che accomuna le due stagioni: assente era e assente resta la cultura riformatrice moderna. Anzi, in questa stagione che vorrebbe essere nuova ma che nella sostanza nuova non è, la cura per la cosa pubblica e per la democrazia che ne è la garanzia più grande, con il corollario dell’esercizio da parte di ciascuno delle proprie responsabilità, sembra addirittura sparita dall’orizzonte.
Si consideri il comportamento del mondo politico-istituzionale, tutto, con solo qualche rara eccezione peraltro ad oggi ininfluente, di fronte alla questione della legge elettorale: di fatto non solo si è delegato alla Consulta il compito di dotare il Paese di una legge immediatamente transitabile, qualora necessario, ma discutendo per finta, con in testa solo il proprio particolare vantaggio, ci si acconcia ad usarla effettivamente, rinunciando al proprio obbligo, che è appunto quello di fare le leggi. Perché deve essere chiaro che le leggi non le fa la giurisdizione, che è potere terzo, ma il Parlamento, che è organo eletto.
Peraltro, la decisione della Consulta con quel metodo del tagli e cuci, questo si e questo no, ha tirato fuori un arzigogolo non certo privo di difetti. Il più eclatante è davvero eclatante, ovviamente per chi non è disposto a prendere come oro colato una soluzione solo perché adottata da un organo di ultima istanza come la Consulta: continueranno ad esistere le liste bloccate, per cui, mentre alcuni saranno eletti solo per la posizione che occupano in lista (capilista), eletti per nomina e non per consenso reale, tutti gli altri dovranno conquistarsi l‘elezione con le preferenze.
Ma che democrazia è mai questa? Penso che sarà meglio prendere esempio dalla patria della democrazia, l’Inghilterra, dove la Corte suprema ha stabilito che un referendum senza voto del Parlamento non costituisce legge. Vivaddio, c’è ancora un posto nel mondo dove si ha il coraggio di dire: “a ciascun il suo!”.