Data la debolezza dei partiti i parlamentari “voltagabbana” tengono in piedi il parlamento e il governo
di Pier Luigi Leoni
I cosiddetti parlamentari voltagabbana sono nel mirino del movimento 5 stelle e di altre forze politiche di opposizione che non vedono l’ora di tornare alle urne. I parlamentari che, con inconsueta disinvoltura, cambiano gruppo, vengono demonizzati. Addirittura vi è chi propone il capovolgimento dell’articolo 67 della costituzione, quello che dispone: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Il M5S, in attesa d’una improbabile modificazione della costituzione, s’è inventato un contratto con pesanti penali a carico degli eletti nelle liste del movimento che osino cambiare fronte. Si tratta di un contratto che, nel fantasioso linguaggio giuridico, si definisce nullo o inesistente, cioè senza alcun effetto in caso di giudizio, in quanto viola un precetto costituzionale; anche se il contratto sia firmato da un candidato sindaco o presidente regionale, o consigliere comunale o regionale. Infatti la disposizione costituzionale ha carattere di principio e nessuna legge che regola i consigli regionali e comunali può derogarla. Non solo, ma lo stesso principio vige nel parlamento europeo e nella stragrande maggioranza degli ordinamenti democratici. Ma come nasce tale principio e qual è il suo obiettivo? Nasce dalla constatazione che le libere elezioni sono condizione necessaria e non sufficiente perché si abbia una democrazia piena. Una democrazia può raggiungere il massimo dell’efficienza consentita dal meccanismo rappresentativo se trovano applicazione due principi. Un principio, che mira a scongiurare la cosiddetta dittatura della maggioranza, consiste nel rispetto reciproco dei ruoli tra maggioranza e minoranza: la minoranza accetta che la maggioranza governi e la maggioranza accetta che la minoranza manifesti il dissenso e lotti per diventare maggioranza. Il secondo principio, che mira a far prevalere l’interesse generale sugli interessi dei partiti intorno ai quali si aggrega l’elettorato, cioè a scongiurare la cosiddetta partitocrazia, è il diritto degli eletti di agire “senza vincolo di mandato”. Vale a dire che il comportamento dei cittadini eletti non può, di diritto, essere condizionato dalle formazioni politiche con le quali si sono presentati alle elezioni, così come non può essere condizionato, di fatto, dagli ignoti cittadini che lo hanno eletto. Il suo operato come rappresentante del popolo è rimesso esclusivamente al giudizio dell’elettorato. E nemmeno ad esso, nel caso in cui non si ricandidi alle elezioni. Se dunque oggi fa tanto rumore il fenomeno molto ampio del passaggio da un gruppo parlamentare all’altro è perché esso riflette il tramonto delle ideologie e la conseguente debolezza dei partiti. E ciò rappresenta per l’Italia una novità cui bisogna abituarsi. Anche perché consente una certa stabilità del parlamento e del governo.
L’opinione di Franco Raimondo Barbabella
Mi ritrovo completamente, caro Pier, nella tua argomentata analisi di questo fenomeno, di per sé negativo ma da comprendere nella sua origine e nelle sue conseguenze senza inutili moralismi. Se ci mettiamo sul piano della storia di lungo periodo troviamo ascendenti significativi non solo nel trasformismo del parlamento postunitario e dell’epoca giolittiana, ma anche, modificato, nell’età postfascista e repubblicana. È quel fenomeno che Salvemini contro Giolitti, per lui “il ministro della malavita”, definiva “nome brutto di più brutta cosa”. E potremmo dire fondatamente che esso è, fuori dalle assemblee elettive e dei partiti, uno dei connotati del costume italiano, un tratto non commendevole dell’etica pubblica nostrana. Giustificato? No, ma le cose stanno come dici tu. Da contrastare? Si, ma non certo al modo grillino. Che cosa vuol dire si vedrà non appena quel contratto privato dovesse essere concretamente applicato a carico di qualcuno: costui si ribellerà, farà opposizione davanti ad un giudice ed avrà facilmente ragione. L’avvocato Monello ha avuto torto perché voleva forzare la situazione per far dichiarare ineleggibile la Raggi, ma su un altro piano la questione esiste eccome.
Se si vuole contrastare (limitare, scoraggiare) il fenomeno dei voltagabbana basta operare su due fronti, quello della legge elettorale (ad es. collegi uninominali piccoli, che stabiliscono un rapporto diretto tra elettore ed eletto e rendono possibile un controllo ravvicinato) e quello dei regolamenti parlamentari (prevedendo il divieto di costituire nuovi gruppi rispetto a quelli iniziali, per cui chi vorrà lasciare un gruppo necessariamente potrà confluire solo nel gruppo misto). Ma la questione di fondo resta comunque quella della mentalità e del costume diffusi nel popolo, una questione di etica pubblica, di principi sentiti e praticati che guidano giudizio e scelta del cittadino responsabile. Questione questa mi pare di non facile soluzione.
In questo mondo che fa giravolte sono importanti anche i fatti di coscienza. Io mi dichiaro “patriota europeo”
di Franco Raimondo Barbabella
Se ne vedono tutti i giorni di tutti i colori, come si fa ad essere ottimisti? Per di più scrivo nel giorno in cui ho salutato per l’ultima volta un amico, come si fa ad essere sereni e ragionare con mente sgombra? Saltano su prepotenti i versi intrisi di melanconia del nostro poeta decadente: “E tu, Cielo, dall’alto dei mondi/ sereni, infinito, immortale,/ oh!, d’un pianto di stelle lo inondi/ quest’atomo opaco del Male!”.
Eppure bisogna farlo, lo esige il quadro di princìpi che ci siamo dati nel tempo, la nostra etica. Magari non riusciremo ad essere ottimisti, ma non possiamo rinunciare a guardare in faccia la realtà alla ricerca di possibili fili di razionalità e di lucine della speranza. E allora, eccolo il mondo che ci si squaderna di fronte: è il mondo che, insieme a tutti i disastri e i drammi che ti tolgono il fiato e ti spezzano l’anima, ti sorprende con i suoi scenari di cambiamento. Segnali, intuizioni, ipotesi, movimenti accennati, certo, elementi che comunque vada non escludono a priori che ci sia qualcosa di buono, se non altro per la dinamica delle azioni e reazioni di cui la realtà si nutre costantemente.
Ma appunto i risultati saranno buoni?, saranno cattivi?, o resteranno di qualità indecifrabile o avranno carattere ripetitivo dietro un cambiamento apparente, confermando l’idea che tutto cambia per non cambiare mai? Non sappiamo, non possiamo sapere, la risposta possibile essendo solo a posteriori. Ma non è vero che tutto è apparenza e che non c’è nulla di nuovo sotto il sole e nulla di nuovo sia sul fronte occidentale che su quello orientale. Perché al contrario stanno cambiando proprio gli scenari generali.
Stà accadendo infatti quello che solo nemmeno un anno fa era impensabile. Donald Trump si allea con Vladimir Putin e Theresa May contro Cina ed Europa, e la Cina per contro getta ponti verso Europa e Paesi emergenti. Il Paese che ha guidato la globalizzazione in base ai principi dell’economia di mercato e ai principi liberali diventa sovranista e sostiene la chiusura delle frontiere; Il Paese che è governato da un partito unico che ancora si definisce e agisce come comunista sposa la globalizzazione, e con essa di fatto l’economia capitalista, proclama ai quattro venti di porsi come garante del libero commercio mondiale, afferma senza vergogna, essendo tra i più inquinati ed inquinatori del pianeta, di favorire la lotta all’inquinamento. Un vero e proprio rovesciamento.
La verità? Forse è shakespeariana: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”. Sicuramente sarà così, per cui forse non vale affannarsi più di tanto per capire, perché ci sarà sempre qualcosa che ci sfugge. In realtà invece a me sembra di capire che si tratta semplicemente (sic!) dell’applicazione alle dinamiche di oggi dell’antico principio di politica estera secondo cui “il nemico del mio nemico è mio amico”.
Ma chi è il nemico numero uno di Trump oggi? È di sicuro l’Europa. E chi è il nemico numero uno di Putin? Ancora di sicuro l’Europa. Idem per Theresa May. Et voilà, les jeux sont faits! Ma perché l’Europa ha tanti nemici? Semplice (sic!), perché è debole e non riesce a imporsi come soggetto politico. E così gli altri vedono l’affare: se resta debole o se addirittura si disgrega più di quanto già non cerca di fare, si aprono immense praterie per gli affari dei più forti e spregiudicati assaltatori della ricchezza mondiale. Trump e Putin (anche come simboli) sono sicuramente tra questi.
Ma perché l’Europa è e resta debole, nonostante a tutti sia chiaro che per essa l’unità è questione di vita o di morte, sia per i singoli stati che per il loro insieme? Perché il superamento degli egoismi nazionali per un’unità di destino non diventa programma e obiettivo politico, sapendo che qui sta la convenienza e la migliore garanzia di futuro sia che resti la globalizzazione sia che si vada verso un sovranismo spinto? Semplice (sic!): classi dirigenti deboli, prevalenza delle convenienze di parte, mancanza di visione, mancanza di veri statisti.
Ma di chi sono espressione queste classi dirigenti? Dei popoli e degli orientamenti prevalenti nei popoli e nelle relazioni tra stati. E così il cerchio si chiude, il gatto si morde la coda. Non se ne uscirà facilmente. Ma, tornando all’inizio, il mondo cambia e bisogna starci dentro. Personalmente mi dichiaro, insieme a Giuliano Ferrara, “patriota europeo”. Per quello che può valere un individuale fatto di coscienza.
PS
Quando ho scritto questo pezzo non avevo letto quanto affermato pochi giorni fa a Davos dal premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, noto per la sua vicinanza ai movimenti sociali anti globalizzazione e anti euro. Stiglitz ha detto: “Il protezionismo è un disastro per il mercato del lavoro e potrebbe avere un impatto di 1,5 punti di pil nei prossimi 15 anni”.
Se il trumpismo, rapidamente diffusosi anche dalle nostre parti, ha prodotto una così rapida riconversione anche di uno come Stiglitz a favore del libero mercato, cui si connette normalmente anche la libera circolazione delle persone e delle idee (per una verifica immediata di ciò si considerino le posizioni sulla Brexit di Theresa May), allora la dialettica della storia cui accennavo sopra funziona sul serio!
Non che la globalizzazione e il liberismo non richiedano profondi cambiamenti, ma che la soluzione sia il sovranismo, con il corollario di barriere e gabbie, insomma il trionfo dei più forti, può soddisfare il prurito degli ideologi neoreazionari disseminati nei diversi campi, ma non rappresenta certo la sfida positiva per governare un mondo sempre più plurale, tanto meno quella parte di esso che si chiama Europa.
L’opinione di Pier Luigi Leoni
Scrivo dopo aver ascoltato il discorso d’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. Un discorso breve, con un linguaggio comprensibile anche ai ragazzi di 11 anni (così è stato efficacemente definito il linguaggio che Trump ha usato anche durante la campagna elettorale), un pugno nello stomaco alla casta americana, una goduria per i disoccupati e per tutti gli americani succubi di una politica che fa arricchire i ricchi e fa impoverire i poveri. Le parole, come si sa (o si dovrebbe sapere) sono sassi che smuovono sentimenti e si depositano nelle coscienze. Quando Trump dice che la finanza americana è piena di mascalzoni da neutralizzare, che le città sono inquinate da delinquenti e da drogati da eliminare, che gli USA devono controllare chi bussa alle loro porte e decidere chi può entrare, che Messico e Cina scorrazzano coi loro prodotti nel mercato americano grazie alle condizioni subumane dei loro lavoratori, che chi porta all’estero le fabbriche deve essere boicottato ecc. tocca i sentimenti di quasi tutti gli Americani. Certo, la metà degli Americani lo detestano, ma solo perché non si fidano della sue capacità intellettuali e morali, non perché dissentano delle sue valutazioni. In ogni modo Trump è un bravo semplificatore del linguaggio politico, ma credo che sappia che i cittadini degli USA e del mondo non sono tutti ragazzi di 11 anni; e credo che sappia che vi sono negli USA contrappesi al potere del presidente che non gli consentono non solo di fare follie, ma nemmeno di spostare più di tanto la politica interna ed estera. E, se necessario, sono anche in grado di fargli la pelle. Per questo la situazione mondiale dell’epoca Trump, appena iniziata, m’incuriosisce. E poi, per non rimanere indietro rispetto a Franco nelle citazioni, mi consolo del fatto che Donald Trump è l’uomo più potente del mondo con le parole di Dante Alighieri nel Convivio: «Lo fondamento radicale della imperiale maiestade, secondo lo vero, è la necessità della umana civilitade, che a uno fine è ordinata, cioè a vita felice; alla quale nullo per sé è sufficiente a venire sanza l’aiutorio d’alcuno, con ciò sia cosa che l’uomo abisogna di molte cose, alle quali uno solo satisfare non può. E però dice lo Filosofo [Aristotele] che l’uomo naturalmente è compagnevole animale».