di Antonello Romano
Se fossi stato uno scrittore forse avrei iniziato così:…“era una mattina come tante quella del 6 aprile 2009, quando alle 3.32 gli orologi della città e dei paesi intorno si fermarono e il cuore di 309 persone smise di battere..” Quel giorno un terremoto di magnitudo 5.9 cancellò il centro storico di L’Aquila e alcuni dei paesi intorno, come Onna, capofila della zona epicentrale. In qualche modo si può dire che le cose di cui voglio scrivere, a parte l’inquietante coincidenza dell’orario slittato di soli 4 minuti, trova quasi tutti i geologi e sismologi d’accordo sul fatto che le “cose” siano scientificamente connesse con l’evento sismico che ha devastato il centro Italia la mattina del 24 agosto scorso.Dal terremoto di L’Aquila erano passati 7 anni, 4 mesi, 18 giorni e 4 minuti quando, alle 3.36 del mattino, il cuore di 300 persone o forse più ha smesso di battere in un territorio vastissimo ed esteso dal Lazio, alla Marche, all’Umbria.Da quel giorno, dopo le migliaia di repliche e l’ennesimo evento catastrofico del 30 ottobre e più recentemente con l’evento del 18 gennaio scorso, che ha preceduto di poche ore la gravissima emergenza dovuta al maltempo con la tragedia di Rigopiano, in molti si pongono le solite domande di rito:sarà che la natura è contro di noi o noi siamo contro la natura? Perchè tante vittime? Ci sono stati ritardi nei soccorsi? I soccorritori sono pochi, impreparati e male organizzati o si tratta di emergenze straordinariamente difficili e di cui nessuno ha mai avuto esperienza? Si potevano evitare i morti? Perché nessuno ha avvisato la popolazione del rischio sismico di quel territorio?Perchè dopo la valanga che ha travolto l’Hotel di Rigopiano ci sono volute circa 20 ore perché arrivassero i primi soccorsi? Cerchiamo allora di fare il punto con dati certi e inconfutabili. Prima di cercare di spiegare i motivi dei vari disastri e prima di pensare e discutere sui social o nelle strade che la colpa sia solo ed unicamente di un’organizzazione di protezione civile carente, impreparata e in generale di una cattiva gestione della cosa pubblica, va ricordato che l’Italia, giusto per fare un esempio, è notoriamente il paese europeo in cui il rischio sismico e vulcanologico è inequivocabilmente maggiore rispetto a quello di altri paesi del Continente, come più volte ribadito da tutti i massimi esperti sull’argomento. Il nostro amatissimo Bel Paese, infatti, seppure lo si possa ancora oggi definire così, paesaggi e musei a parte, presenta un’elevata sismicità che lo percorre quasi integralmente da sud a nord ed ospita nello spessore della sua superficie un complesso sistema di faglie presenti lungo tutta la penisola e attraverso cui, dal centro della terra si sprigiona, ogni volta che subiamo un evento sismico, l’energia responsabile dei terremoti. Questo sistema è tutt’altro che inerte, ma si muove in modo lento, graduale e inesorabile, seguendo una propria direttrice che sembrerebbe dividere l’Italia in due parti separate: in parole più semplici immaginate di poter affondare con le vostre mani la lama di un coltello sul terreno e infliggervi un taglio che possa virtualmente percorrere l’intero paese da nord a sud, lasciandolo diviso in due strisce di territori paralleli, uno più ad ovest ed uno più ad est. Questo complesso meccanismo dovuto alla cosiddetta dinamica della tettonica a placche si muove da ovest verso est ed altro non è che la dinamica stessa della terra che si evolve, progressivamente e impercettibilmente, da migliaia di anni. Tuttavia, oggi, il fenomeno ha probabilmente superato una soglia di criticità tale da produrre un innumerevole serie di terremoti con varia magnitudo e come quelli a cui abbiamo assistito recentemente. Fatta questa doverosa premessa, che ha la sua fonte principale non certo nelle mie scarse competenze in materia, quanto, piuttosto, nelle innumerevoli dichiarazioni di svariati esperti, tra cui lo stesso Mario Tozzi, per citare uno tra i più noti divulgatori scientifici sull’argomento, sarebbe utile smettere di fare troppe chiacchiere senza conoscere i problemi piuttosto che avviare campagne di inutili caccia alle “streghe” attribuendo colpe a destra a manca, magari stando seduti comodamente nelle proprie poltrone. Penso che sia giunto il momento di mettere da parte le parole e passare ai fatti, di compiere azioni collettive e di opinione sulle Autorità dello Stato, che, peraltro, conoscono meglio di noi qual’è la situazione, per costringerle ad impegnarsi con serietà e determinazione nel promuovere iniziative tese a rafforzare, a riorganizzare il complesso Sistema Nazionale di Protezione Civile e al tempo stesso di diffondere tra la popolazione quella tanto osannata e auspicata cultura di protezione civile che stenta ad affermarsi, a parte isole felice come la terra umbra. Penso che sarebbe utile e necessario che la gente capisse che per evitare i morti e la distruzione di interi centri abitati sia indispensabile informarsi e uniformarsi a comportamenti virtuosi di prevenzione dei rischi, ma anche che le Autorità competenti fossero costrette dal coro dei cittadini a fornire le risorse umane e materiali necessarie a tutti coloro che devono studiare e svolgere le attività di monitoraggio, di prevenzione e di intervento.Credo che sia necessario convincere la classe dirigente di questo paese ad abbandonare la teoria suicida secondo cui si possono ridurre i debiti pubblici ricorrendo ai tagli, sempre più frequenti, alle spese per uomini, mezzi e materiali degli Enti dello Stato preposti alla gestione delle emergenze, qualunque esse siano. Credo di non sbagliare se affermo che, alla luce delle ultime gravi emergenze, servirebbe urgentemente potenziare e riorganizzare con maggiore efficacia l’intero Sistema Nazionale di Protezione e di Difesa Civile a cui fanno riferimento gli Enti e i Corpi dello Stato preposti alla sicurezza della comunità nazionale.Cerchiamo ora di capire, in pochi passaggi, cosa sta accadendo, confortati da fonti autorevoli e universalmente accreditate. Possiamo affermare con assoluta certezza che, a soli quattro mesi dal sisma del 24 agosto 2016, la situazione, nelle zone colpite recentemente anche dalla tempesta di neve che insieme al gelo ha acuito il disagio per l’intera popolazione, presenta per i prossimi giorni e anche per i prossimi mesi alcune criticità molto elevate dovute a due principali fattori di rischio: l’innalzamento delle temperature e il perdurare dell’attività sismica con numerosi eventi che si ripetono ogni giorno. Iniziamo dall’ultima grave emergenza legata al maltempo. Il rialzo termico, già in atto, causerà certamente lo scioglimento progressivo della spessa coltre di neve accumulata che, a sua volta, produrrà due effetti: il primo riguarda la formazione di slavine, perchè la neve man mano che si scioglie aumenta di peso (l’acqua pesa di più della neve compatta) diventando meno stabile e tendendo a scivolare verso il basso con conseguenze devastanti. Il secondo effetto è un’inevitabile conseguenza del primo, in quanto lo scioglimento delle nevi, producendo grandi quantità di acqua, andrà a rigonfiare i bacini idrofluviali presenti a valle aumentando considerevolmente la possibilità di esondazioni dei vari corsi d’acqua (come già avvenuto solo qualche giorno fa nel pescarese). L’altro elemento di elevata criticità presente in quelle zone è il perdurare dell’attività sismica dovuto alla faglia che ha scatenato il terremoto del 18 gennaio. L’attività sismica di questa faglia, secondo Carlo Doglioni, Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e secondo il parere espresso in una recentissima riunione dagli esperti della Commissione Grandi Rischi è ancora presente tanto che, anche secondo quanto asserito da uno dei sismologi dell’INGV, Alessandro Amato, tutto il sistema di faglie attivatosi a gennaio ha ancora in serbo una cospicua dose di energia tale da far presagire, ma meglio dovremmo dire senza troppi peli sulla lingua, prevedere una nuova serie di terremoti che potrebbero verificarsi in quelle zone o leggermente più a sud, con una magnitudo simile, se non più forte, a quelli a cui abbiamo assistito pochi giorni fa. Tuttavia, sebbene la Natura sia perfetta, non è detto che tutto si svolga come nelle previsioni dei modelli matematici realizzati dall’uomo: dopo il sisma del 24 agosto, ad esempio, i sismologi si aspettavano che la sismicità migrasse verso nord o verso sud, ma il successivo terremoto del 30 ottobre li ha sorpresi, perché, contrariamente alle previsioni, ha interessato le medesime faglie già attive che insistevano sul medesimo territorio. Inoltre, qualche giorno fa Sergio Bertolucci, Presidente della Commissione Grandi Rischi ovvero della struttura di collegamento tra il Servizio Nazionale della Protezione Civile e la Comunità Scientifica, a seguito di una recentissima riunione svoltasi nel quadro delle azioni di studio specifiche sugli eventi sismici in atto, ha ribadito che “non ci sono evidenze che la sequenza sismica sia in esaurimento, anzi, le faglie attive dal 24 agosto 2016 hanno ancora il potenziale di produrre terremoti di magnitudo 6 e 7…non possiamo essere rassicuranti, ma non vogliamo neppure creare il panico.” Il Presidente della Commissione Grandi Rischi ha, inoltre, richiamato l’attenzione dei tecnici della Protezione Civile Nazionale sulla presenza nella zona in cui si è attivata l’attività sismica, di un grande bacino idrico come quello di Campotosto, il secondo bacino idroelettrico più grande d’Europa con i suoi 14 mila chilometri quadrati colmi d’acqua e per il quale l’Enel ha assicurato non si sarebbero verificati mai, a seguito dei recenti eventi sismici, danni alle strutture. Resta da capire cosa accadrebbe, però, se la magnitudo di un futuro evento dovesse essere maggiore di 6 o anche solo lambire la soglia del 7. L’ex Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica, il geologo Enzo Boschi, dichiarò che durante il terremoto de L’Aquila, gli esperti dell’INGV furono molto preoccupati, durante la durata dello sciame successivo alle prime scosse, dal pericolo che il sisma potesse coinvolgere anche il territorio del bacino idroelettrico di Campotosto sebbene, in assenza di dati certi e di danni alla struttura, gli esperti scelsero di non informare la popolazione per il solito timore di procurare un inutile allarmismo. Oggi, nelle zone dell’Italia Centrale falcidiate dalle onde sismiche, la probabilità che si verifichino eventi simili o più forti di quelli appena passati resta, quindi, molto elevata, ponendo problemi per la futura ricostruzione, per l’accoglienza e l’ospitalità degli sfollati e per coloro che hanno il compito di dover gestire un’emergenza che potrebbe innescarsi da un momento all’altro, anche in più parti di un territorio già ampiamente martoriato.Le attività sismiche di cui abbiamo appena accennato interesseranno inevitabilmente anche il nostro territorio che del resto ha già ampiamente avvertito gli effetti dei terremoti precedenti attenuati da una distanza che sino ad oggi ha consentito di ridurre la minimo i danni sulle infrastrutture e risparmiare alla nostra comunità residente perdite in vite umane che invece con immenso dolore abbiamo dovuto registrare in occasione del sisma delle 3.36 del 24 agosto ad Amatrice, con la perdita di Barbara e Matteo. Un altro elemento non trascurabile e di elevata criticità che incombe sul territorio colpito dal sisma e stretto nella morsa della neve e del gelo è la mancanza di certezze che il maltempo sia definitivamente passato. Ci troviamo solo all’inizio del periodo dell’anno in cui l’inverno fa sentire maggiormente i suoi effetti: un elemento di criticità che dovrebbe fare in modo che l’intero Sistema di Protezione Civile Nazionale sia sempre pronto ad intervenire nel più breve tempo possibile con uomini e mezzi idonei, quanto meno in quelle zone maggiormente colpite dalle emergenze.Senza cedere ad inutili allarmismi o peggio ancora ai consueti sensazionalismi mediatici, mi sembra che sia, tuttavia, giunto il momento che le Autorità preposte informino la popolazione sui rischi naturali a cui ciascun territorio è esposto e lo faccia con il massimo realismo possibile, utilizzando i moderni sistemi d’informazione e di comunicazione utilizzando anche la rete, senza trincerarsi dietro la solita inutile e sterile raccomandazione…“presso tutti i Comuni italiani è possibile consultare i piani di emergenza del proprio territorio”. Avete mai provato a recarvi al vostro Comune e chiedere di farvi consultare i piani di emergenza? Il più delle volte nessuno sa dove siano. Eppure è necessario che ogni cittadino possa conoscere la mappa dei rischi del luogo in cui vive,lavora o studia anche in considerazione del fatto che le condizioni climatiche nel mondo, Italia compresa, stanno mutando, determinando la formazione di eventi naturali catastrofici come cicloni, tornado, tempeste di neve e di ghiaccio anche in paesi in cui solitamente tali fenomeni si osservavano solo nei documentari del National Geographic o nei films. In Italia l’attività sismica e quella vulcanica, soprattutto nei crateri della Campania e in alcuni apparentemente silenti della Sicilia, sono in evoluzione e si stanno facendo sempre più intense e superficiali, accrescendo i pericoli per le popolazioni che vivono nei territori interessati. Il tentativo, non sempre disinteressato, da parte di alcuni di attribuire le calamità naturali alla fatalità o alle insidie di una natura imprevedibile e crudele, equivale a non voler ammettere gli errori che, nel corso della storia dell’umanità, uomini sprovveduti hanno commesso nei confronti del complesso ecosistema che ci circonda. La natura è per sua indole buona, ma, sebbene sia sempre al servizio dei bisogni esistenziali primari di ogni essere vivente, può divenirne anche il peggiore nemico, contro cui è facile perdere ogni battaglia: la natura non resta mai semplice spettatrice degli sfregi e delle violenze subite da parte dell’uomo. In proposito, occorre ricordare che i terremoti di per sé non uccidono, ma uccidono le case malcostruite in zone palesemente dichiarate ad elevato rischio sismico; uccide la mancanza di corrette e mirate informazioni nella popolazione sulle misure di prevenzione e sui comportamenti virtuosi per proteggersi nel caso in cui ci si trovi ad essere coinvolti da un evento sismico. Anche i fiumi in piena e le frane non ucciderebbero se non si concedesse a chiunque di urbanizzare aree geografiche notoriamente soggette ad esondazione ed a rischio idraulico e idrogeologico. Le valanghe e le slavine non ucciderebbero se non si fosse ricorso soprattutto in questi ultimi secoli al disboscamento progressivo di intere montagne e se non si fossero rilasciati permessi per costruire alberghi, case, scuole e fabbriche in zone esposte al rischio di eventi simili. La gravità e la vastità’ dei danni dovuti al sisma e più recentemente alla valanga di Rigopiano sono dipese sia dalla forza dei terremoti e dall’intensità delle nevicate, come anche dalle azioni di uomini che hanno sempre sottovalutato i rischi del proprio operato giocandosi la loro sfida mortale contro madre natura. In occasione di emergenze di grandi proporzioni che hanno interessato il nostro paese, le critiche sulla gestione dei soccorsi hanno sempre fatto parte dello scenario mediatico,politico e sociale. Nel caso di Rigopiano possono certamente esserci stati ritardi nell’organizzazione dei soccorsi, vista anche l’emergenza già in atto a cui si è sovrapposto un fenomeno naturale di eccezionale intensità ed estensione.Tuttavia, i soccorsi, seppure nei tempi che conosciamo, sono arrivati. Nelle zone del sisma sono impegnati da quattro mesi circa ottomila uomini e migliaia di mezzi vari. In occasione del disastro di Rigopiano si sono levate moltissime critiche sui soccorsi, ad esempio sul mancato utilizzo degli elicotteri. Ai critici da casa va ricordato, perché forse non lo sanno,che i velivoli ad ala rotante a disposizione dei vari Corpi preposti al soccorso, sono di vario tipo e molti di questi sono fermi per problemi di manutenzione o sono guasti e non vengono riparati per mancanza di fondi oppure non sono in grado di operare di notte per mancanza delle dotazioni di bordo necessarie come, ad esempio, il radar o il personale pilota non è abilitato ad operare in contesti ambientali a criticità molto elevata e specifica come, ad esempio, le tempeste di neve. A coloro che criticano soccorritori e soccorsi va ricordato, perché forse non lo sanno, che nella zona dell’emergenza operano 3300 militari dell’Esercito Italiano con 1370 mezzi, tra cui anche molti mezzi speciali idonei ad operare sulla neve e molti altri sono stati fatti arrivare dopo le forti nevicate per effettuare lo sgombero della neve, oltre alle varie specialità dei Vigili del Fuoco, agli uomini del Soccorso Alpino Speleologico della Guardia di Finanza e a quelli del Servizio di Soccorso Alpino Nazionale, ai volontari della Croce Rossa Italiana, ai volontari della Protezione Civile, ai Carabinieri, alla Polizia di Stato e ad alcuni elicotteri e ad un aereo AMX del 51° Stormo dell’Aeronautica Militare utilizzato per la fotoricognizione delle zone interessate dall’emergenza. A coloro che criticano soccorritori e soccorsi va ricordato, perché forse non lo sanno, che nell’intento di salvare il maggior numero possibile di vite umane, i soccorritori hanno impiegato 20 ore per percorrere a piedi, muniti solo di sci e pelli di foca, circa 20 chilometri, dovendo resistere al vento gelido che soffiava ad una trentina di nodi o forse più, alle basse temperature percepite vicine ai 15 gradi sotto zero, alla neve che cadeva fitta a tormenta, nel buio più totale e dovendo superare a volte muri di neve e ghiaccio alti sino a 4 metri.I soccorritori dei vari Corpi hanno operato e stanno operando in condizioni estreme di disagio e di pericolo, ignorando, le regole di ingaggio, ovvero l’insieme delle norme e delle disposizioni che prevedono prima di tutto e di tutti la messa in sicurezza delle zone di operazioni, non certo per codardia, ma per evitare che tutti i soggetti che, a qualsiasi titolo, prestano la propria opera di assistenza e soccorso subiscano la medesima sorte di coloro che sono andati a portare in salvo. A coloro che criticano gli Enti preposti al monitoraggio della sismicità nel nostro paese va ricordato, perché forse non lo sanno, che l’attività sismica sulla nostra catena appenninica è costantemente monitorata dai 300 sismografi della Rete Sismica Nazionale, ai quali si aggiungono i sismografi delle Stazioni Mobili, le ricerche sul campo effettuate dagli esperti di INGV, ENEA e CNR e le analisi delle immagini provenienti da almeno quattro satelliti dell’Agenzia Spaziale Europea. La task force della stampa nazionale presente sui luoghi dell’emergenza non è certo lì per trascorrere una vacanza di piacere ed oltretutto è richiesta proprio dalla gente che spera in questo modo di allontanare l’incubo dell’abbandono.I corrispondenti operano tutti i giorni per garantire una corretta informazione sui fatti e sulle persone e far sì che quella gente e quel territorio siano sempre all’attenzione di coloro che hanno il compito di adottare tutto il necessario per portare assistenza, conforto e le necessarie risorse per ricostruire.Poi certamente ci sono alcune deprecabili esagerazioni sensazionalistiche da parte di alcuni esponenti del mondo della comunicazione, ma nella stragrande maggioranza dei casi la massa di giornalisti e di operatori della televisione e delle radio svolge un lavoro straordinariamente utile per sensibilizzare l’opinione pubblica e le Autorità e per mantenere alto il livello di attenzione e di guardia da parte del Governo.Nessuno sta con le mani in mano e a nessuno piace contare i morti e tanto meno andarli a cercare sotto le macerie, rischiando magari anche la propria vita. Forse sarebbe il caso di smetterla con questa abitudine tutta italiana di addossare sempre le colpe all’altro e riflettiamo ogni tanto, non dico sempre, ma ogni tanto ne varrebbe la pena, su cosa abbiamo fatto o cosa stiamo facendo noi per migliorare la sicurezza di noi stessi, dei nostri figli e del nostro territorio.