di Pier Giorgio Oliveti, Presidente Anpi Orvieto
Ricordare la Shoah non è come il Giorno dei Morti, quando una tantum tutti doverosamente ci ricordiamo dei nostri cari trapassati. E’ molto di più, è un impegno attivo che deve essere mantenuto 365 giorni all’anno per evitare altre “fini del mondo”, altre catastrofi epocali come appunto significa in ebraico “Shoah”…
Da tredici anni è stata fissata questa data per ricordare il giorno in cui nell’inverno 1945 furono spalancate le porte di Auschwitz di fronte ai pochi ischeletriti superstiti… Da allora altre stragi e genocidi hanno offuscato il sole in molte zone del pianeta, mai nessuna, però, ha avuto il carattere di “industria della morte” qual’erano Auschwitz e i suoi sobborghi tristemente noti. A Birkenau a duemila per volta venivano annientati – come ci spiegò pochi anni fa in persona al Liceo di Orvieto, Shlomo Venezia, testimone diretto suo malgrado delle Sonderkommando, unità speciali addette alla “ripulitura” delle camere a gas grandi come palasport – ebrei, e poi zingari, slavi, anziani, bambini, famiglie intere di varie etnie, partigiani, prigionieri di guerra, semplici cittadini.
Le vittime predestinate dell’insensato odio nazi-fascista affluivano con tre “trasporti” al giorno, come venivano chiamati i convogli disumani che strappavano dalle loro vite milioni di incolpevoli concittadini, da Roma come da Salonicco, Parigi od Amsterdam…Questo pogrom fu preceduto, come sappiamo, da prove tecniche domestiche, Aktion T4, l’innominabile Programma nazista che sotto responsabilità medica prevedeva la soppressione di tutti i cittadini tedeschi disabili e portatori di handicap: l’”eutanasia” di Stato per “pulire la razza eletta”…
Oggi questa memoria ancora e sempre bruciante,…, che ci interpella sul nostro passato ma soprattutto sul nostro futuro di uomini, diventa una metafora per la Memoria tout court, il dovere di sapere e ricordare.
Le democrazie occidentali ancora una volta – è già successo nella storia…- sembrano navigare a vista verso un piano inclinato, mettendo a rischio ogni giorno che passa i fondamenti della convivenza civile e la pace.
Della serie: se le isole artificiali del Mar Giallo valgono di più della distensione e cooperazione tra i popoli… ecco l’affermarsi dietro ai confini di populismi e popolarismi. In questo periodo di “passaggio/crisi permanente effettivo”, è difficile tanto per gli analisti quanto per ogni singolo cittadino, comprendere le dinamiche su cui si indirizza il mondo. Un fatto è certo: la “sotto-democrazia” è dietro l’angolo.
Lo conferma il fatto stesso che – oggi come nel 1932 – da più parti si invochi l’”uomo forte” al comando come urgenza e necessità, il male minore rispetto alla “con-fusione” e al caos quotidiani. Film già visto, grazie. Sappiamo bene come è andata a finire: Aventino, fine delle libertà individuali e collettive, leggi razziali, guerra di conquista, sopraffazione del più forte sui più deboli, olio di ricino e manganelli. In tutte le comunità italiane c’è stato un tributo di sangue agli errori del passato, ad Orvieto basti citare Giovanni Ciuco, Angelo Costanzi e i Sette Martiri di Camorena. E non saranno certo i crescenti rigurgiti di totalitarismo a dare soluzioni per un mondo migliore.
Oggi gli ingredienti della venefica torta alla base del nazi-fascismo , sono di nuovo tutti sul tavolo. Ricordiamolo: distacco dalle istituzioni democratiche, incapacità dei sistemi elettivi a dare risposte alla sempre più complessa situazione a livello locale e planetario, scetticismo crescente, crisi sistemica economica e sociale, incertezza per il futuro. Ciò rischia di offuscare anche le opportunità incredibili che pur offre la nostra epoca, la comunicazione digitale, la comunità globale, la possibilità di viaggiare, l’accesso ai saperi mai facile e veloce come oggi.
Ai due ragazzi estradati altoatesini (e soprattutto ai loro genitori) che hanno strappato e vilipeso la bandiera Tailandese e hanno detto “scusate, ma nel nostro paese la bandiera non è così importante”, vorrei dire rileggete i libri di storia, europea, nazionale, sudtirolese, abbiate memoria. La bandiera non è la giustapposizione di qualche tela colorata; rappresenta il grumo di storie, vite e morti, di milioni di persone che si sono spese per un futuro migliore per tutti, il simbolo di una comunità e di un popolo plurale ma unito.