L’amore e il sesso al tempo degli Etruschi, ma anche dei Romani e dei Greci. E’ un viaggio nell’eros dell’antichità quello che ci propone il nuovo libro di Claudio Lattanzi dal titolo “Amore e sesso al tempo degli Etruschi. Maschile e femminile nella civiltà dei Tirreni, dei Greci e dei Romani” che uscirà tra pochi giorni per Intermedia Edizioni. In realtà, questo saggio, parlando dell’eros e dei rapporti uomo-donna nelle tre grandi civiltà mette a fuoco alcune caratteristiche fondamentali della cultura etrusca.
Cosa sappiamo di questa dimensione così intima della vita etrusca?
Sappiamo soprattutto ciò che ci è stato raccontato dai Greci che, con gli Etruschi, ebbero rapporti intensi, di scontro militare e di contaminazione culturale. Gli autori greci hanno tramandato una sorta di leggenda nera su quella che oggi chiameremmo condotta morale degli Etruschi, o Tirreni. Li etichettarono come dissoluti, licenziosi, sensuali.
Ad un certo punto, la parola “etrusca” divenne per i Greci sinonimo di prostituta. Da qui ha preso origine la concezione giunta fino a noi di un popolo lascivo, promiscuo e addirittura perverso, con una concezione della famiglia molto aleatoria. La realtà è diversa e quello degli scrittori greci del quarto secolo è soprattutto il frutto di un pregiudizio causato da due motivi. Il primo è il risentimento anti etrusco, legato al fatto che i due popoli erano stati lungamente nemici.
L’insediamento degli Tirreni nell’attuale Campania aveva infatti ostacolato l’espansione greca nella penisola italiana, confinandola nella Magna Grecia mentre il predominio sui mari degli Etruschi, alleati con i Cartaginesi, aveva ridimensionato le ambizioni greche di controllo del Mediterraneo. Accanto a questi motivi di tipo campanilistico e politico, ce ne sono altri culturali. I Greci non potevano comprendere la dimensione in cui si muoveva la donna etrusca a cui erano concessi spazi di autonomia del tutto inconcepibili per le greche. Le donne greche sposate vivevano da recluse nei ginecei, non avevano il diritto ad alcun tipo d’istruzione, non potevano partecipare a nessuna forma di vita pubblica, ad eccezione delle rappresentazioni delle tragedie. Le etrusche godevano invece di una condizione di autonomia. Pur non potendo dire quale fosse esattamente il loro status giuridico, sappiamo che era loro riconosciuto il diritto di proprietà, prendevano parte ai banchetti con gli uomini ed era spesso applicato il matronimico, cioè l’attribuzione al figlio del nome della madre. La società etrusca presenta delle forme di autonomia della sfera femminile sorprendenti e molto interessanti, soprattutto se confrontate con le civiltà coeve, Roma compresa.
Come può essere letta questa forma di modernità nella condizione femminile etrusca?
L’aspetto paradossale di questa condizione è che non si tratta affatto di una forma di modernità ante litteram, ma della sopravvivenza di una concezione della vita e dei rapporti tra maschile e femminile di provenienza arcaica. Nel mondo etrusco sopravvivono infatti le ultime propaggini di quel primitivismo che, solo ultimamente, è diventato oggetto di studi sistematici. Si tratta di un mondo del tutto alternativo in cui la sacralità della figura femminile era al centro di un universo di valori ancora non stravolto dalle grandi migrazioni dei popoli del nord est i quali cambiarono per sempre i valori delle popolazioni europee.
A varie ondate, questi popoli invasero il continente, affermando un sistema di nuovi valori economici e e sociali come l’allevamento del bestiame al posto dell’agricoltura, la costruzione delle città fortificate, l’impiego dei cavalli per motivi militari, lo schiavismo, l’uso sistematico della violenza e della distruzione. L’antica civiltà europea che era nata intorno al culto della Grande Dea e alla sacralità del femminile viene soppiantata da un modello gerarchico in cui la dominanza maschile sostituisce il mutualismo e la cooperazione tra i sessi. Si afferma così il patriarcato, ovvero il potere dell’uomo sulla donna. Questi popoli guerrieri e distruttori furono gli Achei che distrussero Creta, gli Ittiti in Anatolia, gli Ebrei in Palestina, i Kurgan nell’Europa dell’est.
Questo cambiamento ebbe anche rivolti religiosi. Le figure divine femminili divennero delle semplici mogli e consorti degli dei maschili. In quest’ottica può essere letto anche l’Antico Testamento in cui domina non solo la figura di un Dio Padre vendicativo e spietato, ma in cui si fa riferimento a numerosi comportamenti brutali tutt’altro che vietati dalla legge; ad esempio quello di Lot. Il personaggio di Lot che aveva offerto le sue due bambini vergini ad una folla di uomini inferociti fu l’unico a salvarsi dalla distruzione divina di Sodoma e Gomorra. Oltre alla Bibbia, questi nuovi valori di un patriarcato destinato a durare in occidente fino al secolo scorso, vengono affermati nelle tragedie come l’Orestea. Oreste uccide la madre Clitemnestra che ha pugnalato a morte il marito Agamennone, ma viene assolto “perché solo i padri sono genitori dei loro figli”
E cosa c’entrano gli Etruschi?
Gli Etruschi rappresentarono in Italia la cultura di passaggio tra quel mondo primitivo ed il modello razionale e patriarcale greco-romano. La donna etrusca mantiene, ad esempio, ancora il potere di “creare i re”, in connessione con quel potere femminile retaggio del passato, perduto per sempre.
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