di Pier Luigi Leoni
La democrazia e la sovranità popolare sono elementi quasi unanimemente condivisi nella nostra convivenza nazionale. Quindi tanto di cappello al risultato del referendum costituzionale del 4 dicembre scorso. Ma il rispetto formale e sostanziale di quegli inviolabili princìpi non vieta di ragionare. E la ragione può portare, almeno nel mio caso, ad alcune considerazioni.
L’esercizio della sovranità popolare col suffragio universale non comporta l’infallibilità del corpo elettorale. Il 7 ottobre 2011 il corpo elettorale, col 64,21 per cento di SÌ e il 35,79 per cento di NO, approvò la riforma del titolo V della seconda parte della costituzione, deliberata dalla maggioranza parlamentare di centrosinistra. Le conseguenze, a detta anche di molti dei politici che avevano voluto la riforma per arginare le deriva separatista della Lega Nord, furono deleterie. Si introdusse una tale confusione fra le attribuzioni dello Stato e quelle delle regioni che i ricorsi alla corte costituzionale e le conseguenti sentenze fioccarono, si impantanarono leggi nazionali e regionali e si bloccarono varie opere strategiche.
Il 4 dicembre scorso la nuova riforma deliberata da una maggioranza parlamentare meno delimitata, ma comunque prevalentemente di centrosinistra, è stata respinta dal corpo elettorale con il 59,11 per cento di NO a fronte del 40,89 di SÌ. Se questa volta il corpo elettorale ci ha azzeccato lo si vedrà. Ma l’esercizio della ragione porta anche alla considerazione che il corpo elettorale può cambiare orientamento. Se disgraziatamente, invece delle elezioni, si desse valore formale ai sondaggi d’opinione, i governi nazionali durerebbero poche ore, o non nascerebbero mai.
Quindi, mentre i grillini sperano di vincere le prossime elezioni politiche e di governare da soli, mentre Berlusconi spera di tornare a galla e la Lega Nord di sfondare, gli elettori che hanno perso il referendum, se sono convinti delle loro buone ragioni, devono superare la frustrazione e adoperarsi perché quel 40,89 per cento di voti possa crescere. Tanto per cominciare, il partito democratico ha l’occasione di capitalizzare quei voti di centrodestra, e persino grillini, che sono andati al SÌ. Altrettanto hanno l’occasione di fare le piccole formazioni di centro che hanno scelto il SÌ. Ci riusciranno? Molto dipenderà da quel che sapranno fare. E molto dipenderà da quel che sapranno fare gli altri.