di Mario Tiberi
Nelle precedenti puntate, ho avuto modo di affrontare argomenti di natura prevalentemente politica e concettuale. A chi potrebbe obiettare che, nel cambiare le regole del funzionamento dei poteri statuali, sono anche presenti questioni più squisitamente tecniche, mi sento di replicare che l’architettura complessiva di uno Stato non può e non deve mai essere solo e solamente la risultanza di alchimie arzigogolate da “apprendisti stregoni” ma, e quasi del tutto esclusivamente, derivare da specifiche e ben sperimentate volontà decisorie con finalità strutturali, filtrate attraverso il crivello della “buona politica”.
Le riforme costituzionali, infatti, non sono di per sé né forme di tecnicismi e né forme di tatticismi se è vero, come è vero, che ad ogni modifica della collocazione delle competenze decisionali e delle procedure ad esse sottese corrisponde, sempre e consequenzialmente, una differente strutturazione dei poteri potestativi.
Volendo tradurre quanto sopra esposto e rapportarlo al testo di riforma che ci occupa, non sembra lontano dalla verità il poter sostenere che, per effetto del combinato disposto tra la revisione della Costituzione e la legge elettorale “Italicum”, chi ne esce umiliato e dequalificato è unicamente il Parlamento della Repubblica a tutto vantaggio dell’esecutivo di governo.
Basti per tutti, quanto scritto per esteso nel decreto autoproclamatosi “riformatore” e sfociato sostanzialmente nel famigerato articolo 70: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione, per le altre leggi costituzionali e per quelle di attuazione delle disposizioni concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, per i referendum popolari e per le altre forme di consultazione di cui all’articolo 71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione Europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57 sesto comma, 80 secondo periodo, 114 terzo comma, 116 terzo comma, 117 quinto e nono comma, 119 sesto comma, 120 secondo comma, 122 primo comma e 132 secondo comma”.
Ci avete capito qualcosa??? Io, francamente NO!!! Sembra proprio un testo scritto con i piedi per confondere e intorbidire ancor più le acque già melmose nelle quali da tempo arranchiamo ma, così e testardamente, lo ha voluto l’ineffabile ministra Maria “Etruria” Boschi.
Di vero pasticcio, e solo di vero pasticcio, è d’uopo dire poiché, in tal maniera, la nostra Costituzione è stata non soltanto maltrattata ma, fatto ben più grave, è stata ridotta a dozzinale zerbino su cui strofinare dei calzari imbrattati di incapacità e incompetenze.
Vi è anche di più: nel capoverso sopra riportato si fa esplicito riferimento alle “due Camere” e, ciò, vuol significare che il Senato rimane e con esso il bicameralismo con la conseguenza che, se la seconda Camera non si arenerà su dei binari morti, i suoi rapporti con la prima Camera apriranno ineludibilmente la stura a numerosi quanto imprevedibili conflitti di attribuzione legislativa.
Ancor meno chiara è la futura composizione del Senato e se i senatori rappresenteranno le Regioni in quanto enti autarchici territoriali, oppure i gruppi consiliari o le popolazioni residenti nelle Regioni stesse. Nelle norme transitorie e finali è scritto, ritengo io in modo raffazzonato, che i senatori saranno scelti dai consigli regionali in conformità alle indicazioni di voto espresse dagli elettori per i candidati consiglieri. Sorge allora il dubbio: se queste scelte saranno vincolanti, non si dovrà procedere per elezione trattandosi, tutt’al più, di ratifiche “sic et simpliciter”; se invece non saranno vincolanti, non si potrà certo parlare di conformità alla volontà popolare.
Un vero pasticcio, ribadisco! Agli insensati fautori di norme come codeste, mi viene da chiedere se per avventura si siano posti la domanda di cosa realmente abbiano avuto tra le mani. Forse risponderanno, da navigati quanto miserevoli mestieranti della politica, che le colpe non sono le loro e, bensì, dei tecnici dei quali si sono avvalsi. Ma, se detti tecnici non hanno fornito egregia prova di sé, probabilmente sarà stato perché hanno dovuto nascondere, nell’oscurità dell’inintelligibilità, l’assenza di chiarezza che ha regnato nelle menti di quelli che hanno affidato loro il mandato di redigere tali e siffatte sconsiderate norme.
Se lo vorrete, continueremo a dialogare per il tramite della sesta puntata.