di Mario Tiberi
Prendendo spunto da alcuni commenti inerenti all’editoriale a mia firma della scorsa settimana, mi corre l’obbligo di precisare quali, in prospettiva, potranno essere le linee direttrici e ideali di un diverso modo di intendere la funzione del governo pubblico basato sull’onestà e sulla competenza amministrativa. Qui di seguito le risultanze delle mie riflessioni in proposito.
Popoli e singoli individui aspirano da sempre alla propria liberazione: la ricerca del “bene comune”, connessa alla crescita civile e economica, è il segno del loro desiderio di superare i molteplici ostacoli che impediscono di fruire di una “vita più umana”. Di ciò, ogni onesta intelligenza ne è perfettamente consapevole.
E’ opportuno aggiungere che l’aspirazione alla liberazione da ogni forma di schiavitù, relativa sia al singolo che alla società nel suo complesso, è qualcosa di “nobile e utile”. E, infatti, a questo mira propriamente lo sviluppo delle civiltà, o meglio lo sviluppo e la liberazione insieme, tenuto conto dell’intima connessione esistente tra queste due realtà.
Uno sviluppo soltanto economico non è in grado di liberare l’uomo; anzi, al contrario, finisce con l’asservirlo ancora di più. Uno sviluppo, cioè, che non comprenda le dimensioni culturali e spirituali di una società e che non riconosca l’esistenza di tali dimensioni e non orienti ad esse i propri traguardi e priorità, ancor meno contribuisce alla vera liberazione. L’essere umano è totalmente libero solo quando è se stesso, nella pienezza dei suoi diritti e doveri e, così, vale pure per la società nella sua interezza.
L’ostacolo principale da superare per una vera e reale liberazione è l’abbattimento delle ingiustizie e delle diffuse disuguaglianze e, ciò, per il mezzo di una conversione volta al servizio verso gli altri. Solo in tal modo i processi di crescita possono concretarsi in esercizio di solidarietà sociale, ossia di amore e di dedizione al “prossimo”, con speciale attenzione ai più poveri.
Nel quadro delle tristi esperienze degli anni recenti e del panorama prevalentemente negativo del momento presente, la politica deve riaffermare con forza la possibilità del superamento degli intralci che si frappongono al dispiegarsi di una rimodellata giustizia uguale per tutti. Nonostante segnali all’opposto, non sono però e comunque giustificabili né la disperazione, né la rassegnazione e né la passività. Anche se con amarezza, è giusto affermare che, come si può cadere in tentazione per egoismo o per brama di guadagno esagerato e di potere, così anche si può mancare, di fronte alle urgenti necessità di moltitudini di popolo immerse nella miseria, per incapacità e riluttanza a decidere in equità e dunque, in fondo, per codardia. Siamo tutti chiamati, anzi obbligati, ad affrontare la tremenda sfida volta al ribaltamento di una politica, quella attuale, che non tiene in alcun conto l’essere umano come persona e come titolare di diritti naturali derivanti dalla sua stessa condizione umana. Sono in gioco, difatti, la integrità e la dignità dell’essere “Uomo”, la cui difesa e promozione ci sono state affidate dalla nostra essenza di “creature”, e di cui debbono farsi paladini, con rigore e responsabilità, gli uomini e le donne in ogni congiuntura della storia. Lo scenario odierno, “ictu oculi”, non è affatto rispondente a detti valori e, quindi, per la loro riaffermazione altra via non vi è se non quella dell’onestà degli intelletti e delle volontà.