La reazione al mondo del rumore può essere l’etica del silenzio e con essa l’esercizio del pensiero critico
di Franco Raimondo Barbabella
Viviamo nella società del rumore e del tutto uguale. Stentiamo a distinguere il vero dal falso, il naturale dall’artificiale. Riusciamo nel contempo a sperare nella scienza e a sospettare delle sue acquisizioni scoraggiandone la ricerca. Corriamo ad acquistare l’ultimo grido dei gingilli tecnologici e non riusciamo a trattenerci dal dare ascolto a chi ne demonizza l’uso anche se chiaramente corretto o a chi con essi ci fa scambiare lucciole per lanterne. E così i rapporti sociali, invece di arricchirsi, si impoveriscono, quando non si immiseriscono. Si litiga su tutto, la tv e i social amplificano qualsiasi diceria e banalità. Tutto diventa esagerato. Di tutto si fa chiacchiera. Su tutto prevale lo strillo. E spariscono dalla nostra normale prospettiva il pensiero, la bellezza della solitudine e l’utilità del silenzio. Sto dicendo delle società industriali avanzate, in sostanza del mondo occidentale, il nostro mondo.
Ho parlato nel precedente elzeviro della diffusa presenza dell’irrazionale. Leggo su La Lettura del Corriere della sera di due domeniche fa che nel nostro orizzonte ci sarebbe, oltre a tutto il resto, anche la normalità del culto di Satana: “Dalla Polonia al Bataclan invocare Lucifero sta diventando normale”. Sembra anche che a Salem, Massachusetts, gli adoratori del demonio abbiano aperto un tempio a lui dedicato e che ormai aspirino ad ottenere il riconoscimento ufficiale del culto di Satana come religione tra le altre religioni.
La parola d’ordine è sdoganare. In base ai principi di libertà sembra che il politicamente corretto sia oggi sdoganare tutto: da quella che una volta era ritenuta parolaccia all’offesa e al colpo basso. La globalizzazione, essendo fenomeno generale, diventa globalizzazione, oltre che delle scemenze, anche delle carognate. E, se il dibattito tra i candidati alla presidenza degli Stati Uniti diventa volgare e violento, allora anche la nostra campagna referendaria deve per forza essere occasione per tirar fuori il peggio, accuse, volgarità, violenza verbale. Sembra che al peggio non ci sia mai fine.
Come si vede scrivo in un momento di meditato sconforto. E come non sentirsi in questa condizione? Se fai qualcosa per la comunità in modo disinteressato come minimo ti prendono per uno che bara. Se non strilli e protesti non ti ascolta nessuno. Se fai vedere che sai fare qualcosa diventi un potenziale sovversivo da tenere a debita distanza. Se provi a dimostrare di saper fare qualcosa ovviamente sei solo un presuntuoso. Il regno dell’indifferenza è sempre saturo e quello del saputismo minimale individualista è sempre più affollato.
Troppo? Direi troppo poco, guardatevi intorno. Fermatevi un attimo, osservate e riflettete, e poi ditemi. Ma anche per non mettere in difficoltà il mio amico Pier Luigi, che mi vede come uno che anche quando la realtà mi costringe a considerazioni amare trovo che “c’è sempre la possibilità di fare qualcosa di positivo con l’impegno quotidiano”, anche con questo stato d’animo voglio trovare un po’ di luce da qualche parte. La trovo nelle parole del cardinale Robert Sarah e del Papa emerito Benedetto XVI°.
Scrive il cardinale Sarah nel suo ultimo libro, La forza del silenzio, “Abbiamo la sensazione che il silenzio sia divenuto un’oasi inattingibile. Senza rumore, l’uomo postmoderno cade in una inquietudine sorda e lancinante. È abituato ad un rumore di fondo permanente, che lo rende malato e lo rassicura.” Aveva detto Papa Ratzinger nel 2010 a Sulmona: “Viviamo in una società in cui ogni spazio, ogni momento sembra debba essere riempito da iniziative, da attività, da suoni; spesso non c’è il tempo neppure per ascoltare e dialogare. Non abbiamo paura di fare silenzio fuori e dentro di noi, se vogliamo essere capaci non solo di percepire la voce di Dio, ma anche la voce di chi ci sta accanto, la voce degli altri.”
Parole importanti, degne di riflessione attenta e partecipe. Con esse mi pare possa congiungersi l’esigenza impellente di riscoprire l’esercizio del pensiero critico, la forza della moderna razionalità dubitativa, che si sposa perfettamente con l’etica del silenzio e fa di questa la base, direi la piattaforma, degli spiriti liberi che non intendono lasciarsi soggiogare dal fiume distruttivo del niente. Restiamo in attesa di accadimenti che ci confortino in questa che oggi tuttavia resta solo una flebile speranza.
Commento di Pier Luigi Leoni
Blaise Pascal, il filosofo che la Chiesa non ha ancora beatificato perché se l’era presa troppo coi gesuiti, ha scritto che “i guai di un uomo derivano dalla sua incapacità di starsene seduto tranquillo nella sua stanza”. Ma non è facile stare in solitudine e in silenzio se il frastuono ti arriva attraverso quelle finestre che sono i mezzi di comunicazione sociale e le indispensabili relazioni umane. Tuttavia, a pensarci bene, i nostri contemporanei non fanno altro che ciò che gli esseri umani (citando ancora Pascal) hanno sempre fatto: cercare di distrarsi dalla paura delle malattie e della morte. La “distrazione” può essere il gioco, l’arte, lo spettacolo, la droga, l’innamoramento, ma anche il bigottismo nella scienza, nella filosofia, nella teologia e nella pratica religiosa, e persino l’eccessiva dedizione al lavoro. Certamente la tecnica, non solo in Occidente, ha reso le “distrazioni” più ossessive e sempre più inquietanti. Ma se ciò amareggia Franco è perché egli ama questa umanità fragile e la vorrebbe felice. Sono sicuro che, quando passa accanto a quei gruppetti di ragazzi e di ragazze tutti impegnati nei loro smartphone, egli, che ha passato la vita a cercare di preparare i giovani al loro futuro, soffre per loro e teme il peggio. Vorrei convincerlo che potrà salvarli solo il suo e il nostro amore e non solo il pensiero critico, che non risolve il problema della sofferenza e della morte se non raccomandando, nel migliore dei casi, una disumana rassegnazione alla loro ineluttabilità.
Commento di Dante Freddi
E sì, anche a me sembra “flebile la speranza” di “accadimenti che ci confortino” e ci facciano vedere un mondo in cui ci si fermi a pensare per pensare, per esercitare la capacità di argomentazione sui temi che ci circondano, nel silenzio o nel tranquillo spazio del confronto, quando le idee degli altri sono offerte e accettate come doni.
Ma questo spazio è davvero esile, quando l’informazione ci riempi di gracchianti espressioni di politici e commentatori, considerato il pane giusto per alimentare un pubblico da anfiteatro, mal considerato dai costruttori di palinsesti, dai piloti delle trasmissioni, da tutta la filiera degli attori.
Quando i tribuni di questo popolo annichilito dal rumore urlano, io “scendo” da quel mondo e mi trovo nel silenzio in cui stanno le tue parole e quelle di Piero, che mi lasciano lo spazio per pensare.
Ciò che Papa Bergoglio cerca di farci capire
di Pier Luigi Leoni
L’insistenza con cui Papa Francesco raccomanda il salvataggio e l’accoglienza degli immigrati è accolta con fastidio da tutta la cosiddetta stampa indipendente, compresa quella non sfacciatamente laicista. Eppure si tratta di giornalisti che sanno di avere tra i loro lettori molti cattolici. Ma sanno anche che la maggior parte di coloro che si professano cattolici sono impauriti da questa immigrazione illegale, che continua al di fuori di un efficace controllo da parte dello Stato e dell’Unione Europea.
Certamente è viva, anche da parte dei cattolici, la preoccupazione per l’ordine pubblico. E il fatto che l’ordine pubblico, in almeno la metà dell’Italia, è un ordine mafioso non è una consolazione. Ma il Papa è a capo di una Chiesa universale per la quale il nero stipato sul barcone, sia esso maschio o femmina, adulto o bambino, cristiano o maomettano, ha la stessa dignità del negoziante padano che vive nella sua villetta blindata e va regolarmente a messa la domenica. Il cristianesimo è una fede radicale.
La sequela di Cristo richiede un eroismo di cui pochi sono capaci. Compreso ovviamente il sottoscritto. Il radicalismo del cristianesimo, sintetizzato nel Discorso della Montagna e nelle Opere di Misericordia corporali e spirituali comporta la rinuncia a se stesso per la salvezza degli altri come unica strada per la propria salvezza. San Paolo, sebbene ebreo, aveva colto il messaggio universalistico di Gesù e aveva dovuto faticare un bel po’ per convincere San Pietro, che lo riteneva destinato solo agli Ebrei.
L’antropologia culturale c’insegna che l’umanità è ricca di culture diverse e tra loro spesso distanti sia geograficamente che filosoficamente e religiosamente. Ma l’antropologia cristiana ci ha sempre insegnato che nel cuore di ogni uomo si agitano bisogni e valori universali e quindi è doveroso il rispetto, è necessaria la tolleranza, è possibile il dialogo, l’amicizia e l’amore. Il Papa ce loro ricorda e non si limita a predicare, ma mette continuamente in agitazione le diocesi, le parrocchie e il volontariato. L’alternativa all’amore tra i popoli è la distruzione dei ricchi, che sono in minoranza, da parte dei poveri, che sono in larga maggioranza e che non sono più così sprovveduti da non rendersi conto della loro forza. Il Papa cerca di farcelo capire, ma più convincenti saranno i fatti.
Commento di Franco Raimondo Barbabella
Quando si parla di migranti è facile che si argomenti intersecando piani di discorso diversi, ad esempio quello della coerenza dei comportamenti individuali con l’etica cristiana e quello della coerenza delle azioni di governo con i principi dello stato laico e democratico. Non sono piani inconciliabili, ma certamente vanno tenuti distinti.
Papa Bergoglio fa bene a richiamare costantemente il valore universale della fratellanza da cui deriva il dovere della solidarietà essendo gli uomini tutti figli dello stesso Padre. Invocare amore significa parlare alle coscienze ed è da lì che poi passa la scelta di ognuno – possibile o no, consapevole o no, libera o no – di tradurre quell’invocazione in linea di condotta. Senza questo richiamo il nostro orizzonte sarebbe più corto e le nostre prospettive più povere.
Ma il governo pubblico delle vicende umane nel loro concreto dipanarsi storico e nel quadro delle moderne società laiche e democratiche non può sposare né una particolare ideologia né una particolare morale, giacché deve conciliare esigenze, interessi e orientamenti diversi, anche quelli di coloro che si ispirano a principi morali non riconducibili al cristianesimo. E allora fa bene il presidente Mattarella a ricordare a NATO e ad Unione Europea che l’Italia non può essere lasciata sola nella gravosa e complicata gestione dei flussi migratori del Mediterraneo. E sarebbe bene che il Governo uscisse dalle evidenti ambiguità che continuano a contraddistinguerne l’azione al di là delle dichiarazioni buoniste, perché se in giro c’è già una buona dose di preoccupazione che non è solo razzismo, le ambiguità accentuano le difficoltà di gestione e funzionano come la benzina sul fuoco anche delle tendenze razziste e di chi ne vuole trarre vantaggio.
Dunque l’invito rivolto ai popoli ad amarsi è un grande messaggio, ma non può tradursi in linea politica effettuale. Non certo per cattiveria o insensibilità dei governanti, chiunque essi siano e da qualunque esperienza vengano. I quali governanti hanno senza dubbio il sacrosanto dovere di salvare la vita dei migranti ma anche e senza incertezze quello di tutelare la sicurezza e il benessere dei loro popoli, insieme alle ragioni dello stare insieme e all’integrità dello stato.
Sinceramente non credo che sul piano storico effettuale dei rapporti tra i popoli sia possibile l’alternativa o trionfo dell’amore o rivoluzione sociale comunitaristica in conseguenza dei flussi migratori. Se così fosse, i ricchi potrebbero dormire sogni tranquillissimi. E comunque, tralasciando qui ogni tentativo di approfondire il tema, con ogni probabilità i ricchi continueranno ancora ad essere tali senza preoccuparsene troppo, almeno fin tanto che ignoranza, approssimazione e menefreghismo non saranno sostituiti da sapere, competenza e responsabilità, con il che cambierebbero i ruoli sociali e anche lo stesso concetto di ricchezza. Ma al momento la cosa mi pare alquanto lontana.
Commento di Dante Freddi
Ogni parola di questo pensiero di Pier Luigi Leoni la sento mia e posso soltanto a fatica offrire un contributo ricordando che la Chiesa si occupa da decenni dei più deboli del mondo, da Cristo. Sono i cristiani che si costruiscono una loro fede su misura, smussata degli angoli più aguzzi e fastidiosi, che nutrono una paura incoerente, che dovrebbe essere vinta dalla testimonianza comune e continua e manifesta dell’amore per il prossimo lontano. Quanta ignoranza in quel manifesto esposto durante la festa della Lega, in cui un cattolico “grida” una scritta che dice “Il mio papa è Benedetto XVI” .
Riporto un brano di Paolo VI citato da papa Francesco nella ricostruzione del pensiero dei suoi predecessori nei confronti dell’equilibrio di questo mondo, in cui sostiene : «l’urgenza e la necessità di un mutamento radicale nella condotta dell’umanità», perché «i progressi scientifici più straordinari, le prodezze tecniche più strabilianti, la crescita economica più prodigiosa, se non sono congiunte ad un autentico progresso sociale e morale, si rivolgono, in definitiva, contro l’uomo». Francesco è soltanto l’interprete più adatto che lo Spirito Santo ha regalato alla Chiesa per tentare di ritrovare la carità. evangelica.