di Mario Tiberi
Scrissi e pubblicai, tra maggio e giugno dell’anno in corso, un componimento monografico suddiviso in sette paragrafi, l’ultimo dei quali riassuntivo dei sei precedenti, al fine di analizzare e illustrare le ragioni morali, giuridiche, sociali, politiche, istituzionali e culturali poste a fondamento di un voto NON confermativo della legge di revisione costituzionale promossa dal trio Renzi-Boschi-Verdini.
Reputo utile, a meno di due mesi dalla consultazione referendaria, riproporlo in versione riveduta e aggiornata onde offrire al corpo elettorale fondati motivi di opposizione a quella che non esito a definire come una vera e propria “kako-riforma (pessima riforma)”. “Repetita Iuvant”! Procediamo con ordine, principiando dall’esame sintetico dei cambiamenti che interverranno qualora detta “pessima riforma” dovesse essere, malauguratamente, confermata dal voto popolare.
L’aspetto di maggiore rilevanza risiede nella cancellazione, per la verità solo apparente, del cosiddetto bicameralismo paritario. Scomparirebbe, infatti, l’attuale Senato elettivo e, al suo posto, subentrerebbe un organo di secondo livello composto da 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 senatori scelti dal presidente della Repubblica, tutti nominati e in carica per ben sette anni.
Detto organo, denominato il Senato delle Autonomie, avrà poteri decisamente più limitati rispetto alla Camera dei Deputati: non gli spetterà più il voto di fiducia al governo, i disegni di legge ordinari non dovranno passare ancora per entrambi i rami del Parlamento, fatta eccezione per riforme e leggi costituzionali. Su tutte le altre leggi, Palazzo Madama potrà esprimere dei pareri e chiedere eventuali modifiche alla Camera che, comunque, rimane l’unica assemblea legislativa.
Cambieranno pure sia il plenum che le modalità di elezione del Capo dello Stato: spariranno i 58 cosiddetti “grandi elettori”, cioè i rappresentanti delle Regioni, e cambierà il quorum con una progressione per la quale sarà sufficiente la maggioranza assoluta dei votanti a partire dal nono scrutinio.
Infine, molteplici competenze verranno tolte alle Regioni per ritornare allo Stato centrale e, tra esse, le politiche energetiche e le infrastrutture strategiche. Colmo dei colmi, inoltre, sarà che la Camera, su proposta del governo, potrà approvare leggi anche su materie di competenza regionale quando ciò lo richieda il superiore interesse nazionale. Vi è solo da domandarsi, a tal punto, a cosa servano delle Regioni così svuotate di poteri e, dunque, inutili oltreché costosissime.
Dalla lettura di quanto precede, balza subito evidente, agli occhi di chi sprovveduto non è, di come basterebbe annotare il seguente motivo fondamentale per respingere il subdolo tentativo riformatore: la Costituzione italiana, democratica e repubblicana, così non viene riformata, bensì totalmente snaturata e chi la vuole difendere non sia tacciato di conservatorismo dell’esistente mentre, anzi, è onesto sostenitore di revisioni delle istituzioni che conferiscano più voce ai cittadini e non alle oligofreniche oligarchie provvisoriamente dominanti. Chi voterà NO, non è per l’immobilismo istituzionale, tutt’altro, e ciò perché si batterà per non addossare alla Carta Costituzionale responsabilità che appartengono, invece, ad un ceto politico corrotto e inadeguato. In tal maniera, però, passerei per un semplicista e, non volendo sottrarmi a più dettagliate argomentazioni, Vi rimando ad esse nelle prossime puntate.